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La vendetta


Li avevano fatti tornare a Laayoune senza arrestarli, gli undici militanti saharawi rientrati dopo un viaggio nei campi di Tindouf. Non per bontà, o per rispetto dei diritti umani, ma solo perché i rapporti di forza sconsigliavano alle autorità marocchine di assumere iniziative repressive delle quali sarebbero state chiamate a rendere conto davanti alla comunità internazionale.
Li hanno controllati, li hanno seguiti, ma non li hanno arrestati.
La vendetta, a freddo, è scattata ieri, 9 marzo, quando una banda di poliziotti marocchini ha selvaggiamente aggredito una manifestazione pacifica a Laayoune. Ma andiamo con ordine:
Quando gli undici militanti saharawi di ritorno dai campi di Tindouf sono giunti all’aeroporto di Laayoune, centinaia di familiari lo scorso 8 marzo, amici e simpatizzanti hanno cercato di recarsi all’aeroporto per accoglierli. La polizia ha loro impedito l’accesso, cosicché si sono incontrati tutti nell’abitazione di Ahmed Sbai. Hanno festeggiato e la festa è diventata presto una manifestazione per l’autodeterminazione del popolo saharawi. Ciò nonostante la polizia non è intervenuta.
Ieri 9 marzo, è continuata la mobilitazione e alcuni degli undici, tra cui Ennaama Asfari, Brahim Sabbar e Ahmed Sbai, si sono recati nella sede della Coféderation démocratique du travail (CDT) per esprimere solidarietà alle madri di 15 militanti saharawi spariti senza lasciare tracce (che si sospetta siano illegalmente detenuti in centri segreti della polizia marocchina). All’uscita c’erano per strada decine di militanti saharawi che hanno cominciato una pacifica dimostrazione per l’autodeterminazione del popolo saharawi e contro al repressione delle forze marocchine di occupazione.
A questo punto si è scatenata la rappresaglia poliziesca: centinaia di poliziotti hanno aggredito i manifestanti, picchiandolo selvaggiamente. Trascinandoli per terra, massacrandoli con manganelli, calci e pugni. Molte le vittime:
Ennaama Asfari; ferito alla testa e con difficoltà di deambulazione;

Brahim Sabbar; ferite alla testa;
Dagna Moussaoui: ferite alla bocca;
Mariam Mrayzlate: ferite agli occhi e alla bocca;
Izana Amidane: ferite alla spalla;
ed ancora, Maina Haddi, Ahmed Hamiya, Dahba Ayachi ed altri…
Maryam Mrayzlate, una ragazza di 25 anni, ha tentato di farsi curare all’ospedale di Laayoune, ma i medici hanno rifiutato di prestarle soccorso perché lei è saharawi e i medici hanno paura di rappresaglie della polizia.
Abbiamo sentito oggi Ennaama Asfari, ci ha detto di essere che i poliziotti lo hanno scaraventato per terra, sottoponendolo ad una gragnuola di colpi di manganello, calci, pugni, che è durata quasi quindici minuti. E’ ferito al capo, ha difficoltà di deambulazione, non riesce a camminare da solo. Stamattina (10 marzo) si è recato all’ospedale di Laayoune per fare delle radiografie, onde accertare eventuali fratture, ma gli hanno detto che c’era una lista di attesa e che, prima di questa sera tardi, non avrebbe potuto essere visitato… ha preferito tornarsene a casa.
La vendetta delle Autorità marocchine è stata brutale, come è brutale loro occupazione illegale dei territori saharawi. Ma è pur sempre una manifestazione di debolezza. In fondo gli undici, e tutto il popolo saharawi, hanno già vinto, quando sono rientrati dal loro viaggio a Tindouf senza che le autorità marocchine abbiano avuto la forza di arrestarli. Tutto il resto è solo vendetta, appunto, una vigliacca vendetta.