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Gdem Izik: indipendenza o protesta sociale?
di Nicola Quatrano

Per il Marocco si tratterebbe di una protesta di carattere esclusivamente socio-economico, il Polisario ne rivendica invece la valenza politica di lotta per l’indipendenza. In realtà l’accampamento della dignità di Gdem Izik sembra essere qualcosa di molto più complesso, una manifestazione che si sottrae a tutti gli schemi conosciuti

Il 26 ottobre scorso, il giornale marocchino Albayane riportava la notizia dell’uccisione del piccolo Najem el-Guareh, presso l’accampamento della Dignità di Gdeim Izik in un articolo dal titolo “Le bugie dell’agenzia di stampa algerina”. Ecco la traduzione fedele:
“La morte del giovane saharawi Najem El Guareh a Laayoune, nel corso di uno scontro a fuoco tra un gruppo di pregiudicati e le forze dell’ordine, è stato – come ci si poteva spettare peraltro – sfruttato scandalosamente dall’Algeria e dalla sua creatura, il “Polisario”, in occasione della visita di Christopher Ross nella regione. L’agenzia ufficiale algerina pretende che “l’esercito marocchino abbia mitragliato l’auto a bordo della quale si trovavano i Saharawi, mentre questi portavano cibo, acqua e medicine “ nel campo d’Izik, vicino a Laayoune.
La vittima viene presentata dall’APS come il “fratello di un ex prigioniero politico, El-Gharhi Daoudi” (sic).
Secondo le nostre fonti a Laayoune, il giovane Najem El Guareh non è stato ferito da pallottole, ma è stato investito dal 4x4 pick-up che si è rovesciato su di lui, a seguito del conflitto a fuoco.
Per contro suo fratello, il presunto prigioniero politico, è stato ferito da colpi d’arma da fuoco al ventre. Secondo le nostre fonti, egli si trova in condizioni critiche ma i medici dell’ospedale militare lo hanno “miracolosamente salvato”, ieri.

Scontro a fuoco tra pregiudicati e forze dell’ordine
Il presunto “prigioniero politico” è conosciutissimo dalla popolazione di Laayoune, come pregiudicato e contrabbandiere notorio, soprattutto di sigarette e stupefacenti. Più volte condannato per delitti di diritto comune, “aveva intenzione di bruciare il campo di Izik”, perché ne era stato cacciato, il giorno prima, dopo un tentativo di stupro dagli abitanti che lo avevano legato ed espulso, quindi avvisato le autorità locali, chiedendo che gli fosse impedito di accedere al campo.
D’altronde un comunicato del ministero dell’interno afferma che “27 bottiglie molotov ed altre armi bianche sono state sequestrate nella sua auto”.
Il capo della banda, Daoudi alias Djija, era accompagnato da una decina di complici, tre dei quali sono stati arrestati. Hanno precedenti giudiziari e sono conosciuti come devianti sociali. Gli altri complici del 4x4 da cui sono partiti i primi colpi d’arma da fuoco mentre tentava di forzare il posto di blocco della gendarmeria, sono attivamente ricercati. Egli è conosciuto per essere stato talvolta strumentalizzato da qualche separatista.
La sua visita al campo, insieme ad una decina di energumeni, doveva seminare zizzania e strumentalizzare una rivendicazione legittima dei cittadini.
D’altronde occorre ricordare che la famosa Aminattou Haidar è stata cacciata, la settimana scorsa dai manifestanti del capo. E analogo trattamento è riservato agli attivisti al soldo di Algeri.
Anche il deputato Ramid (PJD) ed altri rappresentanti di partiti nazionali sono stati ringraziati gentilmente dai protestanti che rifiutano “ogni interferenza politica su una rivendicazione di cittadini”.

Il 27 ottobre, anche Aujourd’hui le Maroc ha scoperto che nei pressi di Laayoune è successo qualcosa di grave e – riprendendo i dispacci che finalmente l’agenzia di stampa ufficiale, la MAP, si è decisa a dedicare alla vicenda – ha scritto un articolo nel quale parla dell’arresto di un tal Ahmed Daoudi, alias “Djija”, che sarebbe responsabile dello scontro a fuoco con la gendarmeria marocchina, nel corso del quale è morto il piccolo Najem. Il giornale arriva a chiedersi per quale ragione una banda di criminali si portasse con sé un bambino di 14 anni, ma non fornisce risposta, e non menziona nemmeno il fatto che tra i feriti ricoverati all’ospedale militare di Laayoune figura anche una donna.
“Tutto è cominciato – racconta il cronista Kawtar Tali ricopiando i comunicati della MAP – nella notte tra il 22 e il 23 ottobre. Ahmed Daoudi si trovava nel campo ma, in stato di ebbrezza e sotto l’azione di sostanze stupefacenti, si è abbandonato ad atti di violenza che hanno determinato la sua espulsione dal campo”.
Dunque, secondo Aujourd’hui le Maroc, egli ha forzato il blocco della polizia, perché voleva rientrare nel campo insieme ad altri malviventi, per “creare disordine e vendicarsi dell’espulsione”. Quanti erano? Sette in tutto. Tanto pazzi evidentemente da voler mettersi contro 20.000 persone! Ma, afferma sempre il giornale, nell’auto che conducevano sono state trovate delle bottiglie molotov e delle armi bianche.
Comunque, secondo Aujourd’hui le Maroc, questo Ahmed Daudi è davvero un poco di buono. Tanto da essere stato condannato ben cinque volte per furto aggravato e altri atti di violenza e, una volta, addirittura per omosessualità!

Scende in campo la macchina della propaganda ufficiale

In un evidente sforzo di accreditare una versione dei fatti diversa da quella che, oramai, ha fatto il giro del mondo, l’agenzia ufficiale MAP ha lanciato una serie di dispacci sull’argomento. In particolare, nel tentativo di smentire la tesi che il piccolo Najem sia stato sepolto di nascosto e in tutta fretta, riferisce che il corpo del povero bimbo ucciso sarebbe stato inumato alla presenza dei familiari, dopo l’espletamento dell’autopsia. Sarebbe stato interessante divulgare glie siti di questa autopsia, per sapere se effettivamente il bimbo è stato ucciso da colpi d’arma da fuoco o piuttosto schiacciato dal ribaltamento del 4x4, come ipotizza Albayane. Ma niente, non una parola viene spese sull’argomento. Si afferma invece più volte che l’autorizzazione all’interro sarebbe stata firmata dal padre, che vi ha apposto addirittura le sue impronte digitali. La MAP non dà notizia di quanto apparso sulla stampa spagnola a proposito della denuncia presentata dalla madre del piccolo contro gli assassini del figlio e delle sue dichiarazioni a proposito del fatto che il bimbo sarebbe stato assassinato mentre tentava di entrare, insieme alla sua famiglia, nel campo per unirsi ai manifestanti.
Un altro dispaccio riferisce delle dichiarazioni del ministro delle comunicazioni, portavoce del governo, Khalid Naciri. Egli ha affermato, a proposito delle proteste della popolazione di Laayoune, che esse sono legittime, in quanto rivendicazioni di carattere esclusivamente sociale ed economico, senza alcun risvolto politico. Aggiungendo che i manifestanti hanno dimostrato “grande attaccamento alla cittadinanza” marocchina, deludendo coloro che volevano strumentalizzare la protesta in nome dell’indipendentismo.

A chi, come me, è abituato a leggere gli atti della polizia marocchina nei confronti dei dissidenti (saharawi e marocchini), queste affermazioni – di evidente fonte poliziesca – non forniscono alcuna rassicurazione. La polizia marocchina è abituata a mentire e costruisce sistematicamente prove false. Niente di strano che lo abbia fatto anche questa volta.
Quello che mi pare importante nei due articoli che ho riportato è un’altra cosa, una cosa che dovrebbe essere oggetto di grande attenzione da parte dei militanti per l’indipendenza saharawi.
E il punto è che effettivamente la protesta in corso ha natura eminentemente sociale e politica e non prende posizione sul tema dell’indipendenza del Sahara Occidentale.

Protesta sociale
Diverse persone che ho contattato telefonicamente mi hanno confermato che i rifugiati del campo hanno deciso di non issare nessuna bandiera marocchina… ma neppure nessuna bandiera della RASD. E che i manifestanti non perdono occasione per ribadire che la loro protesta è unicamente diretta contro l’emarginazione sociale ed economica di cui è vittima la popolazione saharawi.
Vero è anche che quasi tutti i militanti per l’indipendenza si sono recati al campo e sono stati accolti fraternamente, come è vero anche che la gran parte dei rifugiati nutre simpatie per il Polisario e desidera l’indipendenza del Sahara occidentale. Vero è ancora che la loro scelta di caratterizzare la protesta solo sul versante delle rivendicazioni economico-sociali è anche una scelta di prudenza, consapevoli come sono che manifestare per l’indipendenza significherebbe provocare un intervento brutale delle forze di sicurezza e, probabilmente, un massacro.
Ma è vero anche che la ragione principale della protesta non è la rivendicazione dell’indipendenza… ma  è la fame, è la mancanza di lavoro, è l’assenza di prospettive per i figli.
Aminattou Haidar non è stata cacciata dal campo, come afferma Albayane. La nota militante saharawi si è recata 3 volte a rendere visita ai rifugiati ed è stata accolta con gratitudine e simpatia. Quando però, alla terza visita, ha comunicato l’appoggio del Polisario, vi è stato qualcuno che non ha gradito e le ha chiesto di non politicizzare la manifestazione.
Dunque l’iniziativa di Gdeim Izik ha un carattere complesso, non facilmente riducibile negli schemi tipici della lotta per l’indipendenza. Essa interpella soprattutto il Marocco, per la sua incapacità – nonostante tutto il denaro investito nelle “province del sud” – di dare risposte ai bisogni elementari della popolazione. Ma interpella anche il Fronte Polisario e i militanti per l’indipendenza, chiamati a misurarsi coi problemi sociali della regione, che sono drammatici e, per la soluzione dei quali, non basta la prospettiva futura e incerta di un referendum per l’autodeterminazione.
D’altra parte il carattere di massa di questa manifestazione dimostra che l’egemonia politica in questa regione deve fare i conti con i drammatici problemi sociali che essa denuncia. In Sahara vincerà chi riuscirà a fornire risposte e prospettive a questi bisogni. Al momento, né l’ipotesi tutta mediatica dell’autonomia, né quella esclusivamente politica dell’indipendenza hanno speranza di farcela.