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Fsm2013, marzo 2013 (trad. ossin)



Intervista di Marilza de Melo Foucher-Médiapart
Chico Whitaker: Fms2013


1. Sig. Whitaker, lei è uno dei fondatori del Mondial Social Forum, nato nel 2001. Dopo dodici anni, che bilancio ne fa?


Per poter fare un bilancio, bisogna comparare i risultati con gli obiettivi che ci eravamo fissati. Mi consenta dunque di ricordare questi obiettivi. Infatti essi sono stati completati e meglio definiti nel corso dei Forum che si sono svolti ogni anno dal 2001.

Mi limiterò a quattro obiettivi principali.

Il primo era quello di far intendere nel mondo un grido di speranza: quando sembrava, dopo la caduta del muro di Berlino, che il mondo non avesse altra alternativa che sottomettere ogni attività umana alla logica del mercato – TINA (non ci sono alternative), come diceva Thatcher – al Social Forum si è dichiarato che “un altro mondo è possibile”. Era la contestazione del “pensiero unico”, diffuso nel mondo intero dal Forum Economico Mondiale di Davos, che occupava sempre tutte le pagine dei giornali. In opposizione a questo pensiero, è stato realizzato un Forum che non era Economico, ma Sociale, col quale si poteva dimostrare che era  possibile costruire un mondo fondato, non sugli interessi del denaro e del profitto, ma sui bisogni degli esseri umani.


Questo obiettivo è in via di essere raggiunto in una certa misura, con la moltiplicazione, dal 2001, di Forum Sociali a tutti i livelli (mondiali, regionali, nazionali e locali), nei quali il riferimento è sempre “l’altro mondo”. E si può vedere adesso che esso era già in costruzione, attraverso l’azione di cittadini scontenti e inquieti con le difficili prospettive che l’umanità aveva di fronte. Ma il messaggio di speranza non ha toccato ancora tutte le regioni e paesi e tutti gli angoli di ogni paese.


I promotori del FMS si sono così resi conto, organizzando un incontro nel quale si riunivano i più diversi movimenti e organizzazioni che si battono per cambiare il mondo, che era necessario innovare le pratiche politiche. Hanno allora affermato – era il secondo obiettivo del FMS – la necessità di costruire una nuova cultura politica fondata sulla diversità, sulla orizzontalità e sul perseguimento dell’unità di tutti – per diventare più forti. Questa ricerca di una nuova cultura politica era già stata avviata, molti anni prima, dagli Zapatisti del Messico, con la loro prospettiva di “dirigere obbedendo”. Dopo il primo Forum, i suoi organizzatori hanno allora redatto quella che hanno chiamato la Carta dei valori del FSM, vale a dire quella che considerano come la base su cui fondare la costruzione di una nuova cultura politica.


Dove siamo oggi con questi obiettivi, dopo dodici anni? L’idea che una nuova cultura politica è necessaria – e perfino assolutamente necessaria per cambiare il mondo – si è nettamente rafforzata, ma ci si è resi conto che è un compito estremamente difficile. Vi sono stati passi avanti e ripiegamenti, perché si richiedono dei cambiamenti da parte dei partecipanti per “disimparare” le abitudini e i metodi radicati della sinistra da più di un centinaio di anni.


Quali che siano le difficoltà, si va avanti.  Porto come prova il fatto che gli avvenimenti mondiali – quello che noi definiamo il “processus del Forum Social Mondial” – continuano ad
essere essenzialmente degli “spazi liberi” orizzontali, dove si cerca di rispettare al massimo la Carta dei principi:  sono incontri di scambio di conoscenze e di esperienze, senza dirigenti o portavoce, senza dichiarazioni finali uniche, con una presenza molto diversa dei partecipanti che si rispettano mutualmente nella diversità, e che vengono al Forum per partecipare ad attività che hanno essi stessi proposto (nel FSM gli argomenti da discutere non sono decisi dall’alto, sono i partecipanti che li propongono). Questo approccio è una alternativa all’organizzazione piramidale – nella quale la lotta per i potere, che è la motivazione fondamentale della “vecchia” cultura politica – si insinua sempre. Si è riaffermata l’orizzontalità degli incontri ed ha consentito che si esprimano nuove alleanze.


Ma ciò non vuole dire che questi principi di una nuova cultura politica siano tranquillamente assimilati dai movimenti e dalle organizzazioni nelle loro proprie strutture e modi di funzionamento. In altre parole, abbiamo ancora un lungo cammino davanti a noi.


In terzo luogo, il primo Forum partiva anche dalla constatazione dell’emergere, nel mondo, di un nuovo attore politico: la “società civile” – autonoma dai partiti e dai governi. La grande manifestazione di due anni prima contro l’OMC a Seattle, negli Stati Uniti, aveva dimostrato che questa “società civile” esisteva già effettivamente – e che, peraltro, l’organizzazione orizzontale in rete era la più adatta e la più efficace. Gli organizzatori del FSM hanno allora ritenuto di riservare questi incontri mondiali ai movimenti e alle organizzazioni della società civile, che fino a quel momento non disponevano di alcuna piattaforma di questa importanza dove poter riconoscersi mutualmente, scambiare esperienze, individuare convergenze, costruire delle alternative di azione e lanciare nuove iniziative per costruire un mondo più giusto e più uguale.


Su questo punto, non v’è alcun dubbio che il FSM abbia molto contribuito all’affermazione della società civile come un attore politico autonomo, come per esempio nelle mobilitazioni parallele alle grandi conferenze tematiche delle Nazioni Unite, e più recentemente nell’emergere, in molte parti del mondo, di iniziative come quelle degli “indignati” in Spagna e degli “occupy” negli Stati Uniti. Come le manifestazioni popolari che hanno rovesciato le dittature nella primavera araba, queste mobilitazioni sociali sono una prova evidente che la
“società civile” non ha effettivamente bisogno di partiti o di governi per esprimersi ed avere un potere politico.


In quarto luogo, le organizzazioni del Forum hanno affermato che, nella fase della lotta contro il dominio della vigente logica del profitto e del mercato, era essenziale, non solo resistere e protestare, come molti fanno, ma anche proporre alternative concrete di risoluzione dei problemi del mondo e di costruzione di un’altra società.


Le crisi che attanagliano il sistema capitalista sono state chiaramente identificate, sono state proposte delle alternative negli spazi creati dal processo del Forum come nei molti altri spazi di discussione su quanto succede nel mondo. E nuove questioni sono state inserite, in particolare quelle relative all’ambiente, che è diventata una preoccupazione più diffusa. Ma la realizzazione di queste alternative è molto più difficile della loro individuazione. Perché? Perché, per rendere possibili dei cambiamenti strutturali, occorre l’azione dei governi e dello Stato, ivi compresi cambiamenti legislativi. Ebbene, siamo in presenza di un rapporto di forze: da un lato, un capitalismo che si è considerato vincente con la caduta del muro di Berlino e che, finita la guerra fredda, si è allargato considerevolmente, senza limiti etici che possano imbrigliarlo, avendo imposto la sua logica al mondo intero, ivi compresi i grandi bastioni del socialismo come la Cina; e dall’altro lato solo qualche partito orientato effettivamente al cambiamento piuttosto che alla sola lotta per il potere, e una società civile ancora estremamente frammentata.


Aggiungiamo a ciò che l’accesso ai media è molto sproporzionato. Il sistema capitalista, al quale si ispirano quasi tutti i governi, dispone di una enorme macchina di propaganda, di controllo e di manipolazione dell’informazione e di promozione  del consumismo (grazie ad una pubblicità onnipresente), di fronte alla quale non abbiamo quasi altra scelta che quella di “manifestare” nelle piazze, anche se oggi la comunicazione di internet comincia a darci una mano. Nel mondo di oggi è in corso una grande battaglia nel campo della comunicazione, per conquistare i cuori e gli spiriti. Chi pensa, oggi, che un altro mondo è effettivamente possibile? Noi che ci battiamo per questo diciamo già che questo altro mondo è, non solo possibile, ma è assolutamente necessario ed estremamente urgente… Ma siamo ancora ben lontani da una presa di coscienza generalizzata. Semplicemente dei risultati elettorali più favorevoli al cambiamento sembrano già più difficili da ottenere.


2. Nel 2001 lei aveva pensato che gli attori locali dei diversi paesi, nella loro pluralità e diversità, avevano delle alternative da proporre alle politiche neoliberali. I primi FSM hanno visto sfilare i leader politici dei diversi paesi, quali sono le proposte venute fuori da questi Forum che sono stati tenuti?


Nella mia lunga risposta alla sua prima domanda, credo di avere cominciato a rispondere anche a questa seconda. Ma si può dire che molte proposte discusse nel processus del FMS - e in altri spazi di ricerca di alternative che si articolano nel mondo intero – si vanno affermando, spingendo alcuni candidati alle presidenze e perfino capi di Stato eletti a partecipare ai FSM per affermare il loro impegno. E alcune questioni sollevate nei primi forum – come per esempio quelle sui paradisi fiscali e sul controllo delle transazioni finanziarie internazionali – cominciano a essere finalmente prese in considerazione nei programmi dei governi.


Ma è evidente la potenza dei grandi interessi, quando si vede la difficoltà dei governi a realizzare queste promesse o ad assumere effettivamente altri impegni, come quelli drammaticamente richiesti dal riscaldamento climatico e da altre questioni ambientali, che mettono sempre più in pericolo la perpetuazione della vita sul pianeta. Quando riusciremo per esempio a ottenere che i governi vietino l’utilizzazione e la commercializzazione  dei diversi tipi di veleno che arrivano sulle nostre tavole? Come fare per “modificare” l’insaziabile voglia di profitto delle imprese che agiscono in questo modo? Non parliamo delle guerre come l’invasione dell’Iraq, un buon esempio dell’ampiezza delle difficoltà.

Rispondendo ad un appello, non all’iniziativa del FSM – che è uno spazio e non un movimento – ma a quello dei movimenti e delle organizzazioni che l’hanno avanzata durante il Forum Sociale Europeo del 2002 e il Forum Mondiale del 2003, 15 milioni di persone hanno manifestato per la pace nelle piazze, nel febbraio 2003. Ma perfino questa gigantesca mobilitazione . la più grande nella storia dell’umanità, secondo il “Guinness Book dei Record” – non ha malauguratamente mutato la decisione del governo nord-americano.




3. Quest’anno il FSM si svolgerà nel paese dei “gelsomini”, dove i giovani hanno infranto il muro della paura ed hanno fatto una rivoluzione endogena senza essere telecomandati dall’esterno
Questi giovani chiedevano più libertà, sognavano la democrazia…  Ma la primavera araba ha rafforzato il polo conservatore. Il partito Ennahda di Rached Ghannouchi, estraneo al movimento che ha cacciato Ben Ali, ha tuttavia raccolto la maggioranza dei suffragi durante le prime elezioni libere dell’ottobre 2011.
Tra l’entusiasmo e l’inquietudine esistente oggi nella società civile tunisina, soprattutto tra le organizzazioni femminili, quale spazio per un FSM in Tunisia?
Quali sono le sfide principali del FSM?


Quello che i giovani chiedevano in Tunisia non era solo la libertà. Essi hanno sognato la democrazia come la sola via per risolvere problemi come la loro sopravvivenza economica – lavoro e impiego – che avvertivano dolorosamente. E sono stati capaci di risvegliare il coraggio dei concittadini per lottare e rovesciare la dittatura. Ma una democrazia non è, evidentemente, una nuova dittatura al servizio di quelli che erano gli oppressi. E’ l’apertura di tutti alla discussione, alla libertà di espressione e di organizzazione. E i problemi sociali ed economici di un paese che ha sofferto per venti anni le conseguenze di una dittatura corrotta al servizio del “big business” non sono semplici. E nessun partito sarebbe stato in grado di soddisfare i bisogni e le aspirazioni di tutti nel poco tempo disponibile tra il rovesciamento della dittatura e le prime elezioni libere.

Evidentemente nella lotta di comunicazione democratica, che è anche uno scontro di “spiegazione” di quello che succede e di quello che si può fare, vi è spazio per ogni tipo di proposta e di critica. E’ dunque normale in tali condizioni che, nel momento delle “prime elezioni libere di ottobre 2011”, come lei dice, la popolazione non abbia ancora considerato sufficienti i cambiamenti realizzati. Altri risultati egualmente “deludenti” potranno ancora prodursi in occasione delle prossime elezioni. La democrazia dopo una dittatura è un cammino da percorrere, nel quale i cittadini devono ricostruire anche, poco a poco, la fiducia e il rispetto reciproco. E vi saranno quei passi avanti e ripiegamenti, che ho menzionato parlando della nuova cultura politica, la grande sfida è quello di non uscire dalla democrazia.


Lei cita la questione delle donne: si tratta di una sfida ancora più grande in paesi dove per molti anni l’uguaglianza dei diritti di uomini e donne era quasi impensabile. Il cammino da percorrere in questo campo è molto lungo, forse ancora più lungo di quello di altre questioni sociali. Sull’organizzazione di un FSM in Tunisia, bisogna prima di tutto dire che la decisione di realizzare dei FSM in questo o quel paese non viene dall’alto. Nel processo del FSM non vi è un’istanza direttiva che prende questa decisione, neppure per dare il suo avallo a che si organizzino forum social regionali, nazionali o locali che utilizzino questo nome. Il Consiglio internazionale del FSM non possiede queste attribuzioni. Non è un consiglio di amministrazione né un Direttivo o un organo di governo. Questa decisione è assunta collettivamente e in modo consensuale nel corso delle riunioni di questo consiglio, a partire dalle proposte presentate dai movimenti e organizzazioni sociali dei diversi paesi. Il consenso si forma intorno alla scelta più opportuna dal punto di vista politico, nella prospettiva della lotta per un mondo più giusto e uguale, che superi il neoliberalismo.     Un FSM in Tunisia è sembrato a tutti estremamente propizio in ragione del significato della primavera araba in rapporto a questa lotta.

Ricordiamo che è questo movimento sociale che ha ispirato molti giovani che si accampano oggi in migliaia di posti nel mondo, esigendo cambiamenti, esattamente come le società civili tunisine ed egiziane, per rovesciare le dittature nei loro paesi.

A Tunisi verrà gente da tutto il mondo. Per loro il FSM sarà l’occasione per parlare direttamente coi protagonisti della “rivoluzione” – come essi chiamano il loro movimento – per capire meglio quello che è successo in Tunisia e come i diversi settori sociali si sono inseriti nel processo; per imparare il coraggio, la tenacia e la speranza di coloro che hanno cominciato il cammino della primavera araba e che proseguono nella loro marcia. E, per quanto riguarda quelli che verranno, essi hanno vissuto delle esperienze simili o altre che i Tunisini vivranno più tardi, o stanno cercando di costruire le soluzioni ai loro problemi. E questo potrà essere, per i tunisini, una importante fonte di ispirazione e di rinnovamento delle loro speranze.

In questa prospettiva, giacché i dibattiti in un Forum Sociale sono i più diversi, vi saranno probabilmente dei francesi, per esempio, che proporranno discussioni sul gas di scisto, questione che si pone anche in Tunisia; e vi saranno certamente dei brasiliani (come me) che parleranno delle loro esperienze di partecipazione popolare nella produzione legislativa, dalla loro Assemblea Costituente del 1988 (cosa che ha prodotto un anno fa l’approvazione da parte del Congresso di una nuova legge che modifica la cultura brasiliana in tema di corruzione; la legge del casellario pulito). Se si consideri che, mentre parlo, il numero di attività in autogestione, iscritte da parte di movimenti e organizzazioni dei più diversi paesi, è di 1390, possiamo immaginare la ricchezza e la varietà delle esperienze delle quali non solo i Tunisini, ma anche gli altri potranno profittare. E giacché molte delle attività che si svolgeranno a Tunisi saranno collegate via internet ad altri gruppi nel mondo che non hanno potuto venire (quello che si chiama “FSM-Tunisi allargato), la possibilità degli approfondimenti sarà ancora più ampia.

La principale sfida del FSM in Tunisia è infatti che diventi una occasione e uno strumento effettivamente utile nella lotta dei Tunisini per un paese giusto ed egualitario, e che consenta di fare un passo in più per tutti coloro che lottano per “un altro mondo possibile” nella ricerca dei modi di affrontare  nuove proposte e nuove articolazioni – le enormi sfide che si pongono per l’umanità oggi.


4. In che cosa pensa che i paesi del Sud come il Brasile, con la vitalità delle sue reti e della sua società civile, potranno aiutare le organizzazioni tunisine?

Io credo di avere già un po’ affrontato questa questione nelle mie risposte precedenti. Ma, tenuto conto dell’obiettivo del FSM che è quello di aumentare l’intercomunicazione effettiva tra le esperienze di lotta che si sviluppano nei diversi paesi del mondo, le organizzazioni e i movimenti brasiliani che verranno a Tunisi potranno condividere coi Tunisini – e con i movimenti di altri paesi – molto di quanto  stanno imparando e costruendo. Vi sono molte questioni, come per esempio quelle dell’economia solidale, dell’organizzazione delle donne, della lotta per la terra o, più largamente, il concetto di “vivere bene” proposto dai popoli autoctoni dei paesi andini dell’America Latina al FSM del 2009, e secondo i quali il mondo oggi vive una vera e propria crisi di civiltà, al di là delle crisi economiche e delle conseguenze ambientali della crescita economica come unico obiettivo nazionale. Il Forum Sociale mondiale si iscrive infatti in una lunga e profonda ricerca dell’utopia, e Tunisi sarà una nuova tappa di questo cammino.