Analisi, dicembre 2011 - Certamente non sono stati gli Stati Uniti a provocare la “primavera araba”. Le rivolte che hanno percorso la piazza araba sono conseguenza dell’assenza di democrazia, di giustizia sociale e di fiducia tra popolo e governanti. Tuttavia il coinvolgimento USA  in questo processo è evidente. Le somme investite, le formazioni offerte, l’impegno militare e le manovre diplomatiche di alto livello lo confermano. E siccome la politica estera USA non è mai stata un modello di filantropia, occorre attendersi che il governo USA potrà dire la sua nella gestione degli affari politici ed economici dei paesi arabi “liberati”? (nella foto, il logo di OTPOR/CANVAS)






Gli Stati Uniti e la “primavera araba”
Ahmed Bensaada

Il 7 ottobre scorso, il presidente Obama ha ricevuto per la prima volta nella Sala ovale un capo di governo post - “primavera araba”. Si trattava del Primo Ministro tunisino Beji Caid Essebsi, che ha avuto diritto a tutti gli onori ed a dichiarazioni ditirambiche sulla “sollevazione popolare contro il regime di Ben Ali”.
Chi avrebbe mai creduto, solo qualche mese fa, che un politico di 85 anni, ex ministro con Bourghiba e, peraltro, ex-presidente della Camera dei deputati con Ben Ali potesse diventare il degno rappresentante della gioventù tunisina appassionata di nuove tecnologie che ha fatto vacillare 23 anni di potere autocratico?
In effetti questo ricevimento è forse l’epilogo di un lungo lavoro sotterraneo, svolto con mano da maestro dall’amministrazione USA, non solo in Tunisia, ma in tutti i paesi arabi.


Le organizzazioni di esportazione della democrazia
Gli Stati Uniti dispongono di una complessa rete di organismi specializzati nella esportazione della democrazia e dei diritti dell’uomo. Queste agenzie finanziano e sostengono delle organizzazioni non governative (ONG), che hanno sede in molti paesi e soprattutto nel mondo arabo. Molto spesso i legami tra lo Stato, la politica, il denaro e lo spionaggio sono talmente stretti che viene da domandarsi come sia possibile che alcune di queste organizzazioni USA siano considerate “non governative”, o “senza scopo di lucro”. Le più emblematiche tra loro sono finanziate direttamente dall’amministrazione USA. A titolo di esempio, citiamo la United States Agency for International Development (USAID), la National Endowment for Democracy (NED), l’International Republican Institute (IRI), il National Democratic Institute for International Affairs (NDI) e la Freedom House (FH). Altre sono finanziate da capitali privati, come l’Open Society Institute (OSI), fondazione di George Soros, il celebre miliardario USA e illustre speculatore finanziario (1)
E’ stato dimostrato che tutte queste organizzazioni sono state coinvolte nelle “rivoluzioni colorate”, che hanno scosso la Serbia (2000), la Georgia (2003), l’Ucraina (2004) e il Kirghizistan (2005) (2,3)
Tutte queste organizzazioni sono attualmente in prima linea in quella che sembra essere una energica “promozione USA della democrazia” in molti paesi ed in particolare in quelli della regione del Medio Oriente e dell’Africa del Nord (MENA- Middle East and North Africa). Il loro ruolo è quello di finanziare, provocare, sostenere e consigliare i movimenti dissidenti dei paesi presi di mira, in modo da consentire loro di destabilizzare e rovesciare i governi con un approccio non violento, secondo la teoria di Gene Sharp (4).
Oltre al lavoro di fondo e di ampio respiro di queste organizzazioni, gli Stati Uniti hanno mostrato di potere anche intervenire militarmente per “imporre” la democrazia, come nel caso della Libia. Per far ciò si alleano ad altri paesi occidentali, utilizzano i meccanismi dell’ONU e agitano lo spaventapasseri della Corte penale internazionale (CPI), cui peraltro non hanno aderito.


Le nuove tecnologie
Oltre a finanziare le ONG della regione MENA, le organizzazioni USA di esportazione della democrazia formano alle nuove tecnologie i cyberdissidenti di questi paesi. Per far ciò, utilizzano enti come l’Alliance of Youth Movements (diventato poi Movements.org), che di presenta come un’organizzazione USA senza scopo di lucro (stando a quanto è scritto nel sito) che non nasconde la sua mission: 1) individuare dei cyberattivisti nelle regioni interessate; 2) metterli in contatto tra loro, con degli esperti e degli esponenti della società civile; 3) sostenerli e formarli, consigliandoli e procurando loro una piattaforma per iniziare i contatti e svilupparli nel tempo.
Tra i fondatori di Movements.org, si trova Jared Cohen, ex consigliere di Condoleeza Rice e di Hillary Clinton ed attuale direttore di Google Ideas, e Jason Liebman, che ha lavorato per il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa e Google82. Inoltre il direttore esecutivo dell’AYM, David Nassar, ha diretto dei programmi in Medio Oriente per conto del NDI, della USAID e dell’IRI (5).
Le conferenze annuali organizzate dall’AYM sono finanziate, tra gli altri, dal Dipartimento di Stato USA e da compagnie come Google, Facebook e Youtube.
D’altra parte, per consentire ai cyberdissidenti di aggirare l’inevitabile censura statale, il governo USA finanzia (direttamente o indirettamente) delle compagnie che fabbricano dei software di aggiramento. L’esempio più interessante è il software TOR, che viene messo gratuitamente a disposizione dei cyberattivisti. Sviluppato da una compagnia USA con sede nel Massachussetts, permette la navigazione anonima in internet. “La mission di TOR è di permettere alla gente di esprimere le loro opinioni in modo sicuro o di scambiare informazioni nei paesi totalitari”, afferma una rappresentante di TOR (6). E non è tutto. Il Dipartimento di Stato USA finanzia, insieme a Google, dei progetti più ambiziosi come “Commotion”, che permetterà di creare delle reti senza filo ad alta velocità, autonome “al 100%”.
E’ dunque sempre più evidente che l’amministrazione USA intrattiene delle relazioni “privilegiate”, e da molti anni, con i media sociali come Google, Facebook, Twitter e Youtube. Alcuni dispacci Wikileaks, oltre a diversi interventi del Dipartimento di Stato, dimostrano l’esistenza di una collusione tra essi (8,9).


La primavera araba
La Tunisia è il primo paese ad avere conosciuto la sua “primavera”. La rivolta, nata con l’immolazione di Mohamed Bouazizi, ha infiammato il paese. La caduta del regime di Ben Ali è stata accelerata, addirittura provocata dall’utilizzazione sapiente dei media sociali, malgrado la sorveglianza e il controllo dello Stato, tanto che sono comparsi anche degli attivisti “vedette”. Citiamo a titolo di esempio Slim Amamou, Lina Ben Mhenni o Sami Ben Gharbia. Il primo citato ha svolto le funzioni di Segretario di Stato alla Gioventù e allo Sport per più di quattro mesi dopo la fuga di Ben Ali. Dopo essersi dimesso, ha riconosciuto egli stesso di essere stato “aiutato” da organizzazioni USA in una dichiarazione filmata che farà epoca (10).
Slim Amamou è stato in contatto per qualche anno con numerosi cyberdissidenti del mondo arabo. Nel maggio 2009, per esempio, ha partecipato a due atelier organizzati al Cairo: uno dal governo USA e l’altro dall’Open Society Institute di George Soros. Per una settimana ha convissuto con gli attivisti egiziani, insieme ad altri cyberdissidenti tunisini, ciò che ha permesso loro di scambiare molti consigli su come aggirare la censura (11).
Le relazioni tra gli Stati Uniti e la Tunisia non si sono attenuate con la fuga del presidente deposto, al contrario. Appena qualche giorno dopo questo storico avvenimento, alcune personalità di alto rango sono venute a “visitare” la Tunisia, come la signora Clinton o il senatore McCain. A memoria di Tunisino, non si era mai vista una tale “ressa” alle porte di Tunisi (12). Si è anche appreso recentemente che alcuni influenti rappresentanti sindacali, sovvenzionati dal Solidarity Center, hanno incontrato i loro omologhi tunisini della UGTT (13). Notiamo qui che il Solidarity Center è una agenzia sindacale finanziata dalla NED e coinvolta nell’aiuto USA all’estero. E tutto questo senza contare le promesse della signora Clinton durante un precoce viaggio a Tunisi (16-17 marzo 2011); il coinvolgimento di Microsoft nel sostegno dei “gruppi che operano nel settore dei diritti dell’uomo, della democrazia e della educazione civica (…)” e quello della compagnia USA per l’investimento privato all’estero (Overseas Private Investment Corporation – OPIC) (14). A fine giugno, rappresentanti della General Electric, Boeing, Coca-Cola, Marriott e Dow hanno effettuato una visita per discutere le prospettive di investimento. (15)
Ad avviso di tutti gli osservatori, gli attivisti del “Movimento 6 aprile” hanno giocato un ruolo preponderante nella caduta del regime di Mubarak. Come in Tunisia, molti cyberattivisti hanno conosciuto un certa fama nel corso degli avvenimenti che hanno scosso la piazza egiziana. Citiamo, a titolo di esempio, Ahmed Maher, Adel Mohamed, IsraaAbdel Fattah e Wael Ghoneim. Quest’ultimo è capo del marketing da Google (coincidenza?) per il Medio oriente e l’Africa del Nord, con sede a Dubai. Ahmed Maher, da parte sua, ha riconosciuto di essere stato formato nel 2009 (insieme ad altri dissidenti) alla lotta non violenta secondo le teorie di Gene Sharp. Questa formazione gli venne assicurata dagli attivisti sebi di CANVAS (Center for Applied Non Violent Action and Strategies) che è un centro per giovani “rivoluzionari” creato e organizzato dalle strutture USA di “esportazione della democrazia” (16). L’adozione del logo del movimento dissidente serbo OTPOR (pugno chiuso), l’utilizzazione dello slogan breve “Irhal” (sparisci!) e la fraternizzazione con le forze dell’ordine sono alcuni esempi dei metodi di azione non violenta insegnati da CANVAS.
Altri gruppi di opposizione egiziana sono stati finanziati da organizzazioni USA. Citiamo per esempio il partito “El Ghad”, il cui segretario generale, Wael Nawara ha amesso di essere stato finanziato, tra gli altri, dalla NED dall’IRI e il NDI, oppure il movimento “Kifaya” che è sostenuto da Freedom House (17).
Alcune fonti bene informate afferma che l’amministrazione OBAMA spende circa 20 milioni di dollari all’anno in Egitto “per la promozione della democrazia e il buon governo”. (18)
Secondo il Washington Post, che ha analizzato una serie di dispacci Wikileaks riguardanti la Siria, gli Stati Uniti hanno segretamente finanziato l’opposizione siriana dal 2006. I dissidenti siriani esiliati, aderenti al “Movimento per la giustizia e lo sviluppo” hanno ricevuto qualcosa come 6 milioni di dollari per finanziare un canale televisivo, oltre che per diverse altre “attività” antigovernative all’interno della Siria. Questi finanziamenti sono cominciati con l’amministrazione Bush e sono continuati con l’amministrazione Obama almeno fino al settembre 2010. D’altro canto, un telegramma dell’ambasciata degli Stati Uniti a Damasco ha rivelato che una somma di 12 milioni di dollari è stata versata dal 2005 al 2010 alla filiale siriana di un programma del Dipartimento di Stato chiamato “Iniziativa di partenariato per il Medio oriente” (Middle East Partnership Initiative) (19).
In Libia la teoria della non violenza non è durata a lungo. Benché tutto fosse cominciato con una pagina Facebook “Free Libya” e degli inviti a manifestare pacificamente, la situazione è rapidamente degenerata e si è trasformata in una guerra civile nella quale i “ribelli” hanno beneficiato dell’aiuto di una coalizione di paesi tra cui gli Stati Uniti. Con un mandato dell’ONU ( i cui limiti sono stati largamente oltrepassati), questa coalizione ha utilizzato la forza d’urto della NATO per bombardare sistematicamente le posizioni delle forze governative filo-Gheddafi.
Il Fronte nazionale per la salvezza della Libia (FNSL), uno dei componenti della ribellione libica è stato creato nel 1981 in Sudan dal colonnello Jaafar Noumeiri, ex dittatore del Sudan (1977-1985). Secondom alcune fonti, il FNSL sarebbe stato finanziato da alcuni paesi occidentali e arabi, ma anche dalla CIA (20). Il suo più recente congresso ha avuto d’altronde luogo nel 2007 negli Stati Uniti.
La guerra civile in Libia non è ancora finita, ma tutti gli specialisti sono concordi nel dire che i droni USA hanno giocato un ruolo decisivo, in particolare per la presa di Tripoli. Il 20 settembre scorso il presidente Obama ha incontrato per la prima volta il capo del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) libico cui ha dichiarato: “La Libia rappresenta una lezione su quello che la comunità internazionale può ottenere quando è solidale” (21).
Certamente non sono stati gli Stati Uniti a provocare la “primavera araba”. Le rivolte che hanno percorso la piazza araba sono conseguenza dell’assenza di democrazia, di giustizia sociale e di fiducia tra popolo e governanti.
Tuttavia il coinvolgimento USA  in questo processo è evidente. Le somme investite, le formazioni offerte, l’impegno militare e le manovre diplomatiche di alto livello lo confermano. E siccome la politica estera USA non è mai stata un modello di filantropia, occorre attendersi che il governo USA potrà dire la sua nella gestione degli affari politici ed economici dei paesi arabi “liberati”?


Riferimenti:

1- Ahmed Bensaada, « Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la rue arabe », Éditions Michel Brûlé,  Montréal (2011), pp. 27-35.


2- G. Sussman et S. Krader, « Template Revolutions : Marketing U.S. Regime Change in Eastern Europe », Westminster Papers in Communication and Culture, University of Westminster, London, vol. 5, n° 3, 2008, p. 91-112,
http://www.westminster.ac.uk/__data/assets/pdf_file/0011/20009/WPCC-Vol5-No3-Gerald_Sussman_Sascha_Krader.pdf


3- Manon Loizeau, « États-Unis à la conquête de l’Est », 2005. Questo documento può essere letto al seguente indirizzo :
http://www.ahmedbensaada.com/index.php?option=com_content&view=article&id=120:arabesque-americaine-chapitre-1&catid=37:societe&Itemid=75


4- Ahmed Bensaada, « Libye : les limites de la théorie de la non-violence », El Watan, 2 ottobre 2011, p.11,
http://www.calameo.com/read/000366846d13cad04ca46


5- Alliance of Youth Movements, « Attendee Biography », Sommet 2010,
http://www.movements.org/pages/the-summit#2010


6- Laura Onstot, « Jacob Appelbaum, WikiLeaks Researcher Detained By Feds, Defended by His Employer », Seattle Weekly, 3 agosto 2010,
http://blogs.seattleweekly.com/dailyweekly/2010/08/employer_defends_seattle-based.php


7- Yves Eudes, « Commotion, le projet d'un Internet hors de tout contrôle », Le Monde,  30 agosto 2011,
http://www.lemonde.fr/technologies/article/2011/08/30/commotion-le-projet-d-un-internet-hors-de-tout-controle_1565282_651865.html


8- Le Monde, « Google, les États-Unis et l’Égypte », Le Monde,  3 febbraio 2011,
http://www.lemonde.fr/technologies/article/2011/02/03/google-les-etats-unis-et-l-egypte_1474508_651865.html


9- Technaute, « Iran : Washington intervient auprès de Twitter », AFP, 18 giugno 2009,  
http://technaute.cyberpresse.ca/nouvelles/internet/200906/16/01-876173-iran-washington-intervient-aupres-de-twitter.php


10- Algérie-Focus, « Interview de Slim404, le blogueur tunisien devenu ministre », 28 giugno 2011,  
http://www.youtube.com/watch?v=t9nr-TMKx1c&feature=player_embedded


11- Evgeny Morozov, « Facebook and Twitter are just places revolutionaries go », The Guardian, 7 marzo 2011,
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/mar/07/facebook-twitter-revolutionaries-cyber-utopians


12- Ahmed Bensaada, « Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la rue arabe », Op. Cit., p.89.


13- David Walsh, « De la Tunisie à « Occupons Wall Street » : Qui est Stuart Appelbaum de l’AFL-CIO? », Mondialisation.ca, 12 octobre 2011,
http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=27035


14- TAP, « Hillary Clinton : " Les Tunisiens ont montré au monde que le changement pacifique est possible" », Tunisie numérique, 17 mars 2011,
http://www.tunisienumerique.com/2011/03/hillary-clinton-les-tunisiens-ont-montre-aumonde-que-le-changement-pacifique-est-possible/


15- AFP, « Tunisie: Obama reçoit Caïd Essebsi, se dit "rassuré par les progrès" du pays », Le Parisien,  7 ottobre 2011,
http://www.leparisien.fr/flash-actualite-monde/tunisie-obama-recoit-caid-essebsi-se-dit-rassure-par-les-progres-du-pays-07-10-2011-1643071.php


16- Ahmed Bensaada, « Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la rue arabe : le cas de l'Égypte », Mondialisation.ca, 24 febbraio 2011,
http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=23365


17- Ahmed Bensaada, « Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la rue arabe », Op. Cit., pp. 54-55.


18- RT America, « US dollars fight to fund popular movements abroad », 14 gennaio 2011,
http://rt.com/usa/news/usa-funding-movements-abroad/


19- Craig Whitlock, « U.S. secretly backed Syrian opposition groups, cables released by WikiLeaks show », Washington Post, 17 aprile 2011,
http://www.washingtonpost.com/world/us-secretly-backed-syrian-opposition-groups-cables-released-by-wikileaks-show/2011/04/14/AF1p9hwD_story.html


20- David Rothscum Reports, « World cheers as the CIA plunges Libya into chaos », 2 marzo 2011,
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23474


21- Le Point, « Libye : Barack Obama salue un "nouveau chapitre" de l'histoire du pays », 20 settembre 2011,
http://www.lepoint.fr/monde/libye-barack-obama-salue-un-nouveau-chapitre-de-l-histoire-du-pays-20-09-2011-1375546_24.php

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