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 Analisi, agosto 2012 - In questo colloquio con Mouin Rabbani, Noam Chomsky parla del suo coinvolgimento nella questione palestinese. Ricorda il suo impegno precoce e la sua evoluzione. Valuta anche come le cose sono cambiate e come il conflitto israelo-palestinese dovrebbe e potrebbe evolvere. Il colloquio si è svolto nel 2009 e nel 2010. Il testo completo è disponibile nel numero di primavera 2012 del Journal of Palestine (nella foto, Noam Chomsky)




Le Grand Soir, 30 luglio 2012 (trad. Ossin)



Colloquio tra Noam Chomsky e Mouin Rabbani
Chomsky: Riflessioni sull’ impegno di una vita – il sionismo, la questione palestinese e l’impero statunitense
Noam Chomsky

In questo colloquio con Mouin Rabbani, realizzato per il Journal of Palestine Studies, Noam Chomsky parla del suo coinvolgimento nella questione palestinese.
Ricorda il suo impegno precoce e la sua evoluzione. Valuta anche come le cose sono cambiate – o meno – e come il conflitto israelo-palestinese dovrebbe e potrebbe evolvere.
Il colloquio si è svolto a Lexington, nel Massachusetts, nel 2009 e nel 2010. Il testo completo è disponibile nel numero di primavera 2012 del Journal of Palestine.


Mouin Rabbani:
Nel dibattito sulla politica statunitense in Medio Oriente, lei ha assunto una posizione molto critica verso la tesi sostenuta da John Mearsheimer e Stephen Walt (nel saggio “Le lobbie filo-israeliane e la politica estera USA”)


Noam Chomsky:
Io preferirei che avessero ragione. Vi sarebbe una conseguenza di carattere tattico che mi consentirebbe di smetterla con questo lavoro incessante, di scrivere, dare conferenze, tentare di organizzare , tutto questo sarebbe solo una perdita di tempo. Ci sarebbe solo da vestirsi in giacca e cravatta e andare alle sedi delle grandi imprese, General Electric, JP Morgan Chase, alla Camera di Commercio, al Wall Street Journal, e spiegare gentilmente che la politica statunitense in Medio oriente – il rapporto con Israele – è contraria ai loro interessi. Non è un segreto che il capitale privato ha una enorme influenza sulla politica del governo. Quindi se la “Lobbie” impone agli Stati Uniti delle politiche che sono contrarie agli interessi di questa gente che dirige effettivamente il paese, dovremmo essere in grado di convincerli. La Lobbie israeliana potrebbe essere neutralizzata in cinque secondi. La Lobbie non ha enorme influenza su questa gente. La lobbie militar-industriale è da sola molto più ricca e influente della Lobbie israeliana. Perché nessuno ha tentato di procedere in questo modo? Perché è talmente poco realista che non vale nemmeno la pena di parlarne, se non per scherzo.


Il problema principale è il rifiuto di considerare che le scelte politiche del governo non sono casuali. Mearsheimer e Walt fanno parte dei realisti, una delle scuole teoriche nelle relazioni internazionali; essi partono dal principio che il tipo di potere che esiste negli Stati Uniti non ha grande influenza sugli orientamenti di politica internazionale. La politica di Stato risponderebbe secondo questa scuola a quello che viene chiamato “l’interesse nazionale”, che sarebbe come una astrazione in grado di rappresentare gli interessi della popolazione. Ma non è così. Da secoli sappiamo che nella società agiscono forze divergenti, la ripartizione del potere è differenziata, alcuni sono più potenti di altri ecc.


Questo dovrebbe essere un truismo, ma non viene mai preso in considerazione nella teoria delle relazioni internazionali. Peraltro, se lo accettiamo come un truismo, dobbiamo anche domandarci: Perché coloro che ideano e decidono la politica del governo statunitense accettano qualcosa che è contrario ai loro interessi? Dovremmo spiegare questa strana contraddizione, nella misura in cui essi possano cambiare politica se lo desiderano. Io penso che la ragione è semplice: i principali settori del potere privato negli Stati Uniti ritengono che la politica statunitense nei confronti di Israele sia assolutamente accettabile.


Mouin Rabbani: Perché?


Noam Chomsky:
Perché Israele è una società ricca e avanzata. C’è in Israele un potente settore high-tech che è molto connesso con l’economia high-tech degli Stati Uniti, in entrambi i sensi. Israele è molto potente militarmente e molto connessa con l’industria militare degli Stati Uniti e anche alla strategia militare statunitense. Quando Obama dice: “Vi darò degli F35”, è un aiuto a Lockheed Martin – in effetti un doppio aiuto, perché prima di tutto è il contribuente a finanziare Lockheed Martin, si inviano degli aerei ultimo grido a Israele, poi l’Arabia Saudita accetta di ricevere degli equipaggiamenti di seconda categoria.


E’ quello che sta per succedere, il più grosso acquisto di materiale militare di tutti i tempi. L’Arabia Saudita ha acquistato materiale militare per 60 miliardi di dollari. Per Israele questo non costituisce un problema, si tratta di materiale di seconda categoria e quindi non possono farci granché. Ma al di là di tutto questo, i rapporti tra Israele e gli Stati Uniti sono fortissimi tanto sul piano militare che dei servizi segreti. Molte imprese statunitensi hanno costruito dei siti in Israele, Intel per esempio, il più grande fabbricante di chip informatici. Inoltre i nostri militari vanno in Israele per studiare le tecniche di guerra urbana. Israele è una testa di ponte statunitense in una regione strategicamente importante. Tutto ciò beninteso irrita l’opinione pubblica araba, cosa che non ha mai rappresentato un problema per gli Stati Uniti.


Mouin Rabbani: Vuole dire che la lobbie non ha la minima importanza?


Noam Chomsky: La lobbie è una realtà. Ha la sua importanza, è indiscutibile, nessuno l’ha mai negato, né io né nessun altro. E’ molto bene organizzata, ha ottenuto qualche vittoria. Ma se si muove contro gli interessi dello Stato o del settore privato, è destinata a fallire. Vi sono stati numerosi episodi che potrei menzionare. Finché la lobbie agisce più o meno in sintonia con gli interessi dei settori dominanti, là è vero, ha influenza. E’ vero per tutte le lobbie. Per esempio la lobbie indiana negli Stati Uniti ha apparentemente giocato un ruolo importante per fare accettare dal Congresso il trattato USA-India. Il Congresso ha autorizzato il governo degli Stati Uniti a sostenere il programma indiano di armamento nucleare.


Mouin Rabbani: Ma per tornare a quello che dicevamo prima, molti ritengono che il settore nel quale queste lobbie sono più efficaci non è tanto quello delle specifiche decisioni, ma quello della formazione dell’opinione pubblica.


Noam Chomsky: Sì, ma sfondano una porta aperta, perché vi sono delle ragioni perché gli Stati Uniti sono favorevoli a Israele. Si rammenti che questa relazione è antichissima, è perfino anteriore al sionismo. Istintivamente esiste una identificazione unica nel suo genere, il paragone con gli Indiani americani, sa, i barbari, i pellerossa che volevano impedire il progresso e lo sviluppo, che attaccano i bianchi innocenti: è il conflitto israelo-palestinese. Di fatto questo si trova anche nella Dichiarazione di Indipendenza redatta da Thomas Jefferson, il più libertario dei padri fondatori.


Una delle accuse contro George III è di averci spinto contro gli Indiani, selvaggi e crudeli, che fanno la guerra praticando la tortura e l’assassinio, ecc. Questa potrebbe essere benissimo della propaganda sionista. E’ molto radicata nella cultura statunitense, nella storia. Di fatto il paese è stato fondato da estremisti religiosi che brandivano il Libro e si consideravano come figli di Israel che tornavano alla terra promessa. Così il sionismo ha in modo naturale trovato qui un ambiente favorevole.


Mouin Rabbani: Intenderebbe situare la lobbie prima di tutto nel contesto culturale generale, gli Stati Uniti si riconoscerebbero nell’esperienza israeliana?


Noam Chomsky: A molti statunitensi viene semplicemente in modo istintivo di pensare che gli ebrei in Israele vivono una replica della nostra storia. Si riconoscono in questo specchio, riconoscono i crociati che sono riusciti a sloggiare i pagani. C’è una analogia con la conquista del territorio nazionale negli Stati Uniti; i sionisti ricorrono anch’essi a questa analogia, assolutamente positiva dal loro punto di vista. Noi portiamo la civiltà ai barbari, è questo in definitiva il messaggio di base dell’imperialismo occidentale. E’ profondamente radicato.


Mouin Rabbani: Ma lei sta parlando dell’insieme dell’opinione pubblica statunitense, dello statunitense medio se si vuole. Ma che succede con la classe intellettuale statunitense? Perché sarebbe filo-israeliana?


Noam Chomsky:
Non è perché la lobbie è improvvisamente diventata più efficiente nel 1967. Diciamo che alcuni liberali di sinistra che prima si interessavano poco a Israele, o addirittura le erano ostili, ne sono improvvisamente diventati ardenti sostenitori. La propaganda della lobbie è sempre esistita. Di fatto prima del 1967 la Lobbie aveva fallito nel tentativo di fare adottare una linea più filo-israeliana dalla rivista Commentary e dal New York Times.


Ma beninteso è difficile parlare della Lobbie. Che cosa è la Lobbie? La Lobbie sono gli intellettuali statunitensi? La Lobbie è il Wall Street Journal, il principale giornale del business nel sistema politico? La Camera di Commercio? Il Partito repubblicano che è nettamente più estremista del Partito democratico, mentre la maggioranza degli ebrei vota democratico e i contributi degli ebrei vanno principalmente ai democratici?


Mouin Rabbani: Quali sono le conseguenze di queste precisazioni per coloro che vorrebbero vedere cambiare la politica statunitense in Medio oriente?


Noam Chomsky: Io penso che dobbiamo convincerci del fatto che quello che farà cambiare la politica del governo sarà un movimento popolare di massa, abbastanza influente per essere preso in considerazione nelle decisioni politiche, così come il movimento contro la guerra degli anni 1960.


Mouin Rabbani: Lei ha spesso parlato della natura esplosiva di questo argomento, della difficoltà di discuterne negli Stati Uniti. Percepisce qualche cambiamento?


Noam Chomsky: Per un lungo periodo è stato difficilissimo discuterne, e le conferenze sull’argomento provocavano furore, concludendosi spesso con atti violenti. Ho centinaia di esempi.


Le racconto un aneddoto che risale alla fine degli anni 1980. Ero stato invitato a tenere dei seminari filosofici di una settimana all’Università di California a Los Angeles (UCLA). Ovviamente ho anche tenuto parallelamente delle conferenze politiche. Il tema principale allora era l’America Centrale, quasi tutte le conferenze politiche avevano allora ad oggetto questa regione. Ma un professore, una specie di colomba sionista, mi chiese di tenere una conferenza anche sul Medio Oriente. Risposi di sì. Pochi giorni dopo ho ricevuto una telefonata dalla polizia dell’università. Volevano che fossi protetto da poliziotti in uniforme durante tutta la mia permanenza nel campus. Hanno chiesto il mio consenso. Io non ero d’accordo. Ma comunque dei poliziotti in borghese mi hanno seguito dovunque – si sedevano nelle aule dove tenevo le conferenze, mi seguivano al club della facoltà ecc. Le loro armi erano visibili. L’avvicinarsi della mia conferenza sul Medio oriente provocò un’ebollizione, la tensione cresceva. Ho tenuto la conferenza nel più grande anfiteatro del campus – era stato organizzato un sistema di sicurezza tipo aeroporto, un solo varco di ingresso, tutto era controllato ecc. La conferenza non ha subito interruzioni ma dopo la mia partenza sono stato ferocemente attaccato dalla stampa dell’università, non solo io ma anche il professore che mi aveva invitato. Vi fu perfino un’iniziativa perché il suo incarico fosse revocato. Non è riuscito ovviamente – era una persona importante. Ma questo ci dimostra l’atmosfera dell’epoca.


Era dappertutto così, anche qui al Massachusetts Institut of Technolgy (MIT). Ogni volta che tenevo una conferenza era presente la polizia e insisteva per scortarci alla fine, con mia moglie, fino al luogo dove eravamo ospitati.


Quando Israel Shahak ha parlato qui nel 1995, la sua conferenza è stata fisicamente interrotta da alcuni studenti del MIT. Fu grottesco. Mi ricordo di un ragazzo ventenne con la kippa che si è alzato e ha detto: “Come può dire queste cose di noi, dopo che sei milioni di noi sono morti?” Si rivolgeva a Israel Shahak, sopravvissuto del ghetto di Varsavia e del campo Bergen-Belsen! Sei milioni dei “nostri” sono morti, gli ha detto il ragazzo, rumorosamente approvato dall’uditorio. Alcuni amici stavano dietro, erano rifugiati di origine europea, erano partiti intorno al 1939, hanno detto che non avevano mai visto niente di simile dopo la Gioventù hitleriana. Ed eravamo nel 1995. Dopo sono cambiati.


Avevano già cominciato a cambiare in quell’epoca, ma questi ultimi dieci o quindici anni li hanno molto cambiati.


Mouin Rabbani: Perché sono cambiati?


Noam Chomsky: Per diverse ragioni. Per prima cosa alcuni giovani studenti palestinesi cominciano davvero ad organizzarsi qui negli Stati Uniti, e non come lo faceva prima l’OLP. I temi che affrontano – l’oppressione, l’occupazione, l’aggressione – vengono presentati sulla base di principi elementari, principi liberali. Hanno cominciato ad organizzarsi come il movimento di solidarietà con l’America Centrale, come il movimento di opposizione alla guerra del Vietnam. Hanno cominciato a provocare un impatto. Era palpabile durante l’invasione di Gaza. L’invasione di Gaza ha veramente fatto arrabbiare molta gente. Era talmente evidente – c’era una forza militare enorme che devastava tutto, che se la prendeva con gente prigioniera e assolutamente indifesa.