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Analisi, gennaio 2015- L’importanza di questa tappa impone oramai che si prenda in seria considerazione la necessità di individuare il “nemico principale” (il Sistema, nella forma dell’Unione Europea – UE), e che le forze anti-Sistema se ne rendano pienamente conto (nella foto, Donald Tusk)


 

Dedefensa.org, 27 gennaio 2015 (trad. ossin)


L’Europa di Tsipras e il colpo di Stato della UE


La vittoria del partito di Tsipras in Grecia è evidentemente di estrema importanza, quanto meno perché interrompe cinque anni di un trattamento indegno e inammissibile della Grecia. In questo lasso di tempo, la Grecia è stata sottoposta ad una politica destrutturante e di dissoluzione, la cui stessa essenza è espressione della barbarie postmoderna messa in opera dal Sistema. La società greca è stata sistematicamente destrutturata e disgregata in nome dell’austerità, a vantaggio delle solite forze-Sistema e degli ambienti transnazionali, contemporaneamente responsabili e beneficiari dell’operazione, trasformando l’essere sociale che fa parte di una nazione e che partecipa dei beni pubblici che quest’ultima deve assicurare, in un individuo isolato, privo di qualsivoglia protezione, considerato come una pedina spesso inutile e costosa per il Sistema. Se questa non è una barbarie che va al di là di tutto quello che era stato fatto prima, tenuto conto del carattere insidioso e totalitario della destrutturazione e della disgregazione, allora la parola non ha alcun senso.   

Ma, al di là di questa constatazione immediata, che nulla pregiudica ma che costituisce il fatto nudo e crudo del giorno, vi è la conseguenziale interpretazione che il voto greco è una tappa supplementare, e una tappa importante, di una insurrezione anti-Sistema, che colpisce l’Europa da diversi anni, di avvenimento anti-Sistema in avvenimento anti-Sistema. L’importanza di questa tappa impone oramai che si prenda in seria considerazione la necessità di individuare il “nemico principale” (il Sistema, nella forma dell’Unione Europea – UE), cioè che le forze anti-Sistema se ne rendano pienamente conto. Essenzialmente, si tratta di evitare lo scoglio della ideologizzazione del risultato del voto greco (vittoria della “sinistra di sinistra”), che si porterebbe dietro le divisioni ideologiche del passato, rispetto alle quali il Sistema è maestro nell’arte di approfittarne per dividere il fronte anti-Sistema.

La Francia è particolarmente interessata da questo processo. Che un Melenchon (leader dell’estrema sinistra, ndt) e una Marine Le Pen (leader della destra populista, ndt) abbiano, ciascuno per suo conto e ovviamente senza alcuna concertazione, espresso la stessa soddisfazione per la vittoria di Tsipras indica la via da seguire. Si tratta di una importantissima responsabilità nella individuazione del “nemico principale”, che deve necessariamente produrre avvicinamenti che una eccessiva ideologizzazione impedirebbe.

Ognuno deve assumersi le sue responsabilità in proposito, dimostrando di avere una fondamentale coscienza strategica. In tutti i casi, un effetto positivo si è già avuto, per la Francia. Il risultato del voto greco suggerisce un’altra interpretazione del movimento designato come “lo spirito dell’11 gennaio” (la grande manifestazione dell’11 gennaio: Je suis Charlie). Invece della rivendicazione di una “libertà di espressione” accompagnata da derive islamofobe, immediatamente recuperata dal Sistema, deve oramai imporsi l’interpretazione di un movimento anti-Sistema che rovescia i tentativi di recupero.

Va detto, nonostante l’importanza dell’avvenimento, che la UE non ha reagito con gli abituali movimenti di preoccupazione prossimi al panico, come tante altre volte dall’inizio della crisi greca. E tuttavia il voto greco avrebbe giustificato una simile reazione, congeniale allo spirito della UE. La ragione è che la UE è oggi dominata da un altro avvenimento, da un’altra crisi, di singolare importanza. Si tratta di novità assolute introdotte nel processo burocratico che prepara e stabilisce l’agenda della politica estera, e che determinano, secondo un processo tipicamente burocratico, una politica assolutamente precisa e determinata – e, ovviamente, riguardanti specificamente la politica nei confronti dell’Ucraina e anti-russa.

Si tratta di quello che potremmo definire un “colpo di Stato” interno (o burocratico), realizzato dal presidente della UE, il polacco Donald Tusk, che ha trovato un alleato di peso, altrettanto determinato e istericamente antirusso come lui, nella Lettonia cui è affidata la presidenza del Consiglio per 6 mesi dal 1°gennaio. Una fonte europea spiega che, “quando era presidente Von Rompuy, il presidente curava di lasciare tutte le scelte di politica estera a Lady Ashton. Von Rompuy detestava Ashton ma rispettava le regole non scritte che attribuivano alla Alta Rappresentante queste prerogative. Tusk ha scombinato tutto. E’ lui che adesso gioca il ruolo finora devoluto alla Alta Rappresentante. Mogherini propone, lui dispone, e alla fine è la squadra di Tusk che stabilisce procedure, agende, ordini del giorno e dunque orienta a suo piacimento la politica estera della UE, nel senso anti russo quasi isterico che si può immaginare”. E i Lettoni approvano, sostengono, incoraggiano e applaudono.
 
Questo atteggiamento si accompagna a “una sorta di disprezzo, perfino di machismo, dei collaboratori di Tusk verso la Mogherini (1), che è inesperta e corre dietro ai diktat di Tusk, senza riuscire a contrastarli”. Quanto ai paesi membri, molti dei quali non condividono questa politica, essi restano prigionieri del riflesso di solidarietà, se non del necessario unanimismo, per non mettere in evidenza la debolezza della UE con lo spettacolo di una divisione catastrofica (e, da questo punto di vista, il voto della Grecia rafforza questa necessità di un consenso su tutti gli affari importanti, che avvantaggia gli antirussi isterici del tipo di Tusk). Di conseguenza essi sono propensi in generale a seguire la linea massimalista di Tusk.

Questa situazione è aggravata da valutazioni del rapporto di forza militare che incoraggiano il massimalismo, teorizzando la vittoria. Le valutazioni della UE sulla forza militare russa sul campo sono nel senso di una incapacità di queste forze a resistere alla irresistibile e sublime potenza militare del blocco BAO (Blocco nordamericano-occidentale). Questa sorprendente valutazione viene da un riflesso pavloviano che comporta l’assoluta necessità di far corrispondere la valutazione dei fatti alla narrazione: come per l’intelligence, le autorità civili devono ricevere le informazioni che la loro narrazione si aspetta. Vi è poi anche il vecchio disprezzo verso i Russi, che è più manifestazione di super machismo che di razzismo.

Ciononostante i Russi hanno dimostrato le loro capacità sul campo (attendiamo che il blocco BAO faccia altrettanto, al di là delle operazioni asimmetriche nelle quali la loro superiorità aerea e tecnologica permette una facile invasione, seguita poi dal pantano senza fine). Essi l’hanno dimostrata sia nel sostegno dei separatisti del Donbass, con le loro capacità di infiltrazione senza il rischio di un maggiore coinvolgimento, il loro equipaggiamento, la capacità di intelligence e i consigli tattici, sia nelle operazioni dirette, nell’azione di messa in sicurezza della Crimea (Si ricorderà la valutazione del generale Breedlove, rimasto senza fiato per l’ammirazione, sulla qualità e l’efficienza dell’intervento russo diretto a mettere la regione in sicurezza). Gli esperti della UE hanno evidentemente dimenticato tutto questo, se pure ne siano mai stati informati, giacché la loro memoria non va oltre le 4 o 5 settimane prima del big now).

Nel frattempo, le operazioni nel Donbass mostrerebbero una rapidissima evoluzione in favore dei separatisti. Diverse fonti indicano che importanti forze ucraine di circa 7000 uomini sono prese in una “calderone” dove sono rimaste accerchiate; che unità disertano e passano ai separatisti. Un disastro militare ucraino potrebbe portare ad una decisione di intervento più diretto da parte delle forze del blocco BAO, e si vedrà allora come si manifesterà questa affermazione super machista così presente nei cervelli lobotomizzati degli esponenti del blocco BAO, incaricati di valutare in modo autoreferenziale la loro stessa gloria militare.

Varrebbe la pena, nonostante i rischi, di viverla questa esperienza, per lo shock che provocherebbe nel Sistema prima che si faccia ricorso a misure estreme; o piuttosto per evitare che si giunga alle misure estreme (si pensi al nucleare: una sconfitta in un conflitto convenzionale non porterebbe necessariamente al ricorso al nucleare, perché verrebbero prima gli effetti al livello degli spostamenti di popolazione civile  terrorizzata, preceduti da una marea di disinformazione da parte dei capi militari; più che al nucleare, una tale disavventura porterebbe al disordine totale). Il blocco BAO, la UE sono di una fragilità estrema e un crollo delle psicologie potrebbe condurre a decisioni straordinarie, seguite da processi di dissoluzione accelerata – una caduta del Muro, questa volta psicologico, che riporterebbe all’indietro l’hybris BAO…   

D’altronde, tornando all’aspetto diplomatico e al “colpo di Stato” di Tusk, si potrebbe anche prendere in considerazione, con una semplice tecnica abituale di rovesciamento, un possibile sviluppo positivo. L’estremismo che si va sviluppando nella dirigenza della UE, pur mantenendo gli Stati membri sotto la sua vigilanza terrorista, potrebbe indurre questi stessi Stati membri a moltiplicare le iniziative extra-UE, come hanno già fatto con gli incontri del “format Normandia” (formula messa a punto durante le cerimonie di commemorazione dello sbarco del 6 giugno 1944, l’anno scorso). Ciò comporterebbe una diplomazia di Stato (i), come si è visto con la recente riunione dei paesi del “format Normandia”, di segno completamente diverso rispetto a quello della politica della UE. Questa accentuazione del fossato tra paesi della UE e la stessa UE sarebbe uno sviluppo tonico e vitale, di segno assolutamente inverso rispetto alla disgregazione irresistibilmente consigliata e messa in opera dalla UE. Tutto ciò che tiene lontane le nazioni, o quel che ne resta, dalla formula terrorista della UE costituisce uno sviluppo da considerare salutare.

Da un punto di vista concettuale, per tornare alla vittoria elettorale di Tsipras, si può osservare quanto queste evoluzioni tendano a integrare tutte le crisi al loro interno. Questo fenomeno accentua la possibilità di alleanze anti-Sistema contro il Sistema, di cui gli anti-Sistema farebbero bene ad approfittare, coscienti delle loro responsabilità e dell’enorme posta in gioco di politica estera, piuttosto che preoccuparsi in termini demagogici delle questioni interne. I nostri uomini politici farebbero bene a pensare – almeno quelli che pensano – a queste prospettive in funzione delle aspettative degli elettori, delle quali devono necessariamente tenere conto almeno una volta ogni 4 o 5 anni, e delle quali hanno già cominciato a gustare i frutti terribilmente amari per le loro rendite di posizione, che credevano acquisite per sempre.


(1)    La giovanissima donna voluta a quel posto dal premier italiano Renzi, gran promovitore di inesperti che non siano in grado di fare ombra al suo ego smisurato, ndt