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ProfileAnalisi, agosto 2015 - La mondializzazione o globalizzazione dei mercati si accompagna ad una muta della società. La società era organizzata fino a poco fa attorno, ma soprattutto all’interno degli Stati-nazione, mentre oggi il potere è privato e transnazionale...

 

 

Le blog de Liliane Held-Khawam, 21 giugno 2015 (trad. ossin)


La grande muta: dallo Stato-Nazione allo Stato Transnazionale
Liliane Held-Khawam


La mondializzazione o globalizzazione dei mercati si accompagna ad una muta della società. Il Larousse descrive la muta, tra l’altro, come “l’esuvia (strato superficiale del tegumento) dell’animale che ha subito la muta”. Di lato, un esempio della muta di una cicala. Si vede bene che, alla fine della muta, la cicala emerge e abbandona un guscio che le assomiglia ma è privo di qualsiasi sostanza

 

E’ esattamente quello che avviene attualmente per quanto riguarda l’organizzazione della società sul piano mondiale. La società era organizzata fino a poco fa attorno, ma soprattutto all’interno degli Stati-nazione. Così le classi lavoratrici avevano sviluppato tutto un sistema di relazioni coi datori di lavoro attraverso strutture pubbliche o private, legislative, sindacali, politiche o sociali.

Queste classi subalterne sono oggi poste ai margini, sia sul piano politico che professionale, a tutti i livelli decisionali, che siano statali, regionali o locali. Esse non capiscono più cosa succede e continuano ad osservare questo involucro che era lo Stato-Nazione, che a sua volta resta inerte come l’involucro della nostra cicala.


Cos’è successo?

Una nuova organizzazione globalizzata, essenzialmente privata, è venuta fuori dal guscio degli Stati-Nazione, relegando questi ultimi alla storia. Essa è il prodotto di tre fattori che si sono succeduti ma che, analizzandoli uno per uno ci forniscono una interessante visione della nuova organizzazione del mondo.

Il primo fattore è la globalizzazione del mercato commerciale. Lo spazio economico europeo lo ha chiamato libera circolazione dei beni e delle merci. Essa è una delle quattro libertà care all’Unione Europea e costitutive della globalizzazione.

Il 2° fattore è la globalizzazione dei mercati finanziari. Chiamato anche libera circolazione dei capitali, questo fattore si realizza dando libero corso a tutti gli investimenti finanziari transfrontalieri, senza alcuna limitazione, alcun ostacolo, nessuna limitazione in quantità, qualità o velocità. Abbiamo così visto venir fuori dei prodotti finanziari speculativi che si sono col tempo resi autonomi rispetto alle merci che avrebbero dovuto valorizzare.

Di recente la Deutsche Bank si è fatta notare per la sua straordinaria esposizione al rischio. Essa è impegnata attraverso i suoi prodotti derivati per una somma che tocca i 54 trilioni di dollari US, vale a dire 54.000.000.000.000 di dollari US. Si tenga conto che il PIL della Germania raggiunge i 3,64 trilioni, vale a dire 18 volte in meno rispetto agli impegni di una delle sue banche. Cifre del genere, che ci sembrano aberranti, si raggiungono solo in quanto dei governi democraticamente eletti hanno trasferito il potere sovrano di “battere moneta” a delle istituzioni private.

Il 3° fattore essenziale a questa ristrutturazione del mondo è la globalizzazione della produzione. Essa è stata resa possibile grazie alla libera circolazione delle persone. Tale definizione ha tratto in inganno più di qualcuno. Infatti lascerebbe intendere che essa si riferisca alla libera circolazione di individui in un mondo aperto. In realtà questa categoria di libertà riguarda le persone giuridiche, che sono le imprese e anche i loro dirigenti. Grazie a questa libertà è diventato possibile spostare i processi produttivi attraverso il mondo per approfittare di qualsiasi opportunità che permetta di ridurre i costi e massimizzare il profitto.

Grazie a questa libera circolazione delle imprese e dei loro dirigenti, sono state superate le limitazioni relative alle competenze locali. La libera circolazione degli individui ha prodotto in un primo tempo una mobilità delle competenze dai paesi industrializzati verso quelli in via di sviluppo, per poi diventare una mobilità di individui a basso costo provenienti dai paesi poveri, che hanno rimesso in discussione potere d’acquisto e protezione sociale dei lavoratori…

Di conseguenza, la globalizzazione è l’integrazione dei tre fattori. Alla fine sono comparse delle imprese transnazionali molto più potenti degli Stati-Nazione. E lo sono al punto che i PIL nazionali costituiscono oramai indicatori meno rilevanti dei flussi finanziari transnazionali che esse producono coi loro investimenti.

La CNUCED (organismo dell’ONU: Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) segue questi movimenti o flussi finanziari in dettaglio, perché dimostrano fino a qual punto siano i paesi in via di sviluppo i destinatari degli investimenti delle multinazionali. Nel 2013, il 54% dei flussi di investimenti si sono diretti verso i paesi in via di sviluppo, l’Asia come prima regione, gli Stati Uniti come primo paese (con 188 miliardi di dollari), davanti alla Cina. In generale i paesi “ricchi” sono piuttosto trascurati dalle multinazionali che vi disinvestono. Solo paradisi fiscali come il Lussemburgo ne escono piuttosto bene. Perfino la Svizzera subisce una defezione severa degli investitori.

Ecco due quadri che rappresentano i flussi che attraversano la Francia e la Svizzera.

Quadro 1: i flussi di investimento delle multinazionali che investono in Francia in giallo, e in verde i trasferimenti all’estero. Le multinazionali francesi hanno ridotto i loro investimenti all’estero… E’ un fenomeno passeggero o stabile? Continua…

 




Quadro 2: un grafico che rappresenta l’andamento dei flussi di investimento delle multinazionali che investono in Svizzera (in giallo) e gli investimenti esteri delle multinazionali svizzere all’estero (in verde)

Si nota che gli investimenti delle multinazionali in Svizzera calano, ma che le multinazionali svizzere investono l’equivalente del 9,2% del PIL all’estero… Si è detto che la Svizzera è il paese europeo che ha più investito fuori dalle proprie frontiere in quest’anno. Complessivamente la Svizzera è al 6° posto tra gli investitori diretti. Possiamo supporre che una gran parte si debba alla Banca Nazionale Svizzera, frutto delle sue emissioni di moneta…

 




La classe del capitalismo transnazionale

Dietro tutte queste decisioni che penalizzano fortemente gli Stati-Nazione vi sono degli uomini e delle donne che hanno fatto la scelta della globalizzazione. Non accorgersi di loro e preoccuparsi solo dei rappresentanti degli Stati equivale a restare a guardare l’involucro abbandonato della muta sociale. La nuova organizzazione è già nata. Essa ha rappresentanti che vengono chiamati, fin dagli anni 1990, “Transnational Capitalist Class” (TCC) o classe del capitalismo transnazionale… E’ la nuova borghesia che rappresenta il capitalismo transnazionale e le istituzioni finanziarie private, e che pilota il sistema finanziario globale. Essa non si sente per nulla legata ad un territorio o ad una nazionalità.

Nel 2000, W. Robinson e J. Harris scrivevano che, dagli anni 1970, questa classe si è politicizzata con lo scopo di istituzionalizzare la globalizzazione del capitalismo, attraverso la nascita di uno Stato transnazionale e di un programma politico chiamato “la terza via”. Robinson e Harris rilevavano che, nel 2000, vi erano delle divisioni sul modo di guidare e realizzare una regolamentazione dell’economia globale. Si può supporre che questa élite ne abbia fatta di strada in questi 15 anni…

Così come è nata e si è costituita una élite globalizzata, si può supporre che apparirà anche la globalizzazione delle masse asservite. La massificazione dell’immigrazione non ha niente di filantropico in tale contesto ma potrebbe contribuire a uniformare culture, livelli di vita, condizioni di lavoro, ecc tra il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest del pianeta. La precarizzazione del mercato del lavoro per questa classe sociale è già fin d’ora accresciuta dal ruolo sempre più importante che svolgono i robot.

 

 


La società ha fatto la muta senza i popoli. Che fare allora? Continuare ad aspettarsi dai politici ciò che essi non sono in grado di fare, in quanto si può immaginare che essi siano privi - quasi – di ogni potere? O cercare di capire dove si è trasferito il nuovo potere? Chi lo detiene? E quale ruolo i nuovi governanti pensano di assegnare ai popoli. E’ soltanto mutando approccio che potremo capire quali sono le sfide esistenziali e il futuro della mostra società trasformata. C’è ancora tanto da fare, ma non tutto è ancora perduto.