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ProfileAnalisi, agosto 2015 - I documenti trovati nel rifugio di Osama Bin Laden ad Abbottabad, in Pakistan,fanno capire molte cose su come funziona la nebulosa che egli ha promosso. Pure con la prudenza dovuta alle finalità propagandiste dell'amministrazione USA, è tuttavia possibile trarne delle informazioni molto interessanti (nella foto, Osama Bin Laden)

 

 

Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 1° agosto 2015 (trad. ossin)


I documenti di Bin Laden trovati a Abbottabad raccontano
Come funziona Al Qaeda “canale storico”?
Alain Rodier


I documenti trovati nel rifugio di Osama Bin Laden ad Abbottabad, in Pakistan, dove il fondatore di Al Qaeda “canale storico” è stato ucciso nella notte tra il 1° e il 2 maggio 2011, fanno capire molte cose su come funziona la nebulosa che egli ha promosso. Pure con la prudenza dovuta alle evidenti finalità politiche (a uso interno ed esterno) che Washington intende perseguire diffondendone pubblicamente una selezione, è tuttavia possibile ricavarne delle informazioni molto interessanti, che aiutano a capire cosa potrebbe accadere in futuro


La sorpresa delle “primavere arabe”

Come tutti, anche Al Qaeda “canale storico” e il suo emiro sono stati presi alla sprovvista dalle “primavere arabe”. Sembra dimostrato che le spie del movimento dislocate in quelle regioni non si siano accorte per niente di quanto stava per accadere. All’inizio le manifestazioni popolari erano ispirate dall’esasperazione dei popoli nei confronti della corruzione generalizzata dei politici e delle loro amministrazioni. Poi i vari movimenti di protesta hanno finito per essere organizzati dalle uniche forze dotate di una qualche struttura, in particolare dai Fratelli Mussulmani. Da questo momento in poi è scattata la corsa a “saltare sul treno in corsa”: da un lato gli Statunitensi, attraverso fondazioni teoricamente private ma in parte finanziate dal Dipartimento di Stato; dall’altra Al Qaeda “canale storico”, che ha tentato di approfittare del disordine che era nell’aria per consolidare, o addirittura estendere le proprie posizioni.

Nonostante la morte del suo emiro, Al Qaeda ha riportato indiscutibili successi in Tunisia e in Libia, dove il movimento ha impiantato delle cellule clandestine fin dagli esordi della ribellione, nel 2011 (cellule che Parigi e Londra hanno fatto finta di non vedere) poi, poco dopo, anche in Siria. Solo due Stati hanno posto dei problemi: il Pakistan e l’Egitto, in quanto i governanti – soprattutto il maresciallo Sissi in Egitto – non si sono lasciati fare e sono passati alla controffensiva.


Gli obiettivi di Al Qaeda

Benché i media ne parlino meno che di Daech – che Bin Laden non ha conosciuto essendo morto prima che assumesse la sua attuale connotazione – occorre ricordare che l’obiettivo finale di Al Qaeda “canale storico” è, prima di tutto, la riconquista delle terre mussulmane governate dai “venduti” all’Occidente (secondo gli ideologi del movimento); poi, a termine, la realizzazione di un califfato mondiale. Sotto questo profilo, l’ideologia salafita-jihadista dei due movimenti è identica. Differiscono solo i metodi per arrivarci.

Bin Laden era animato da un odio ossessivo nei confronti degli Stati Uniti, ben maggiore comunque che nei confronti di qualsiasi altro paese occidentale. Durante la guerra contro i Sovietici in Afghanistan, non aveva mai manifestato simili sentimenti nei confronti degli Statunitensi. Il suo antiamericanismo si è formato durante la prima guerra del Golfo, non accettando che soldati “empi” avessero “invaso” le terre sante dell’Arabia Saudita. In realtà non sopportava che la famiglia Saud li avesse preferiti alle sue milizie nella guerra contro Saddam Hussein che aveva conquistato il Kuwait. Nutriva una grande frustrazione per essere stato ingannato dai Saud, cui aveva offerto la sua collaborazione, respinta nonostante tutti i servizi resi in precedenza.

 

Il "covo" di Bin Laden a Abbottabad


Il problema di Al Qaeda, ben descritto nei documenti sequestrati, era che non disponeva più dei mezzi tecnici per colpire gli Stati Uniti, di qui l’appello di Bin Laden a trovare una persona capace di realizzare un altro attentato del tipo “11 settembre”. Più preoccupante, quando un movimento all’estero veniva autorizzato a usare il “marchio” Al Qaeda, Bin Laden gli chiedeva di ridurre – perfino di interrompere – le sue azioni locali, per focalizzarsi sul nemico USA. A parte Al Qaeda nella Penisola arabica (AQPA) – ribattezzata per motivi di discrezione Ansar al-Charia nel 2012 – sembra che le sue consegne, che tuttavia non erano molto popolari tra i jihadisti di base che sognavano di battersi subito, siano state rispettate.

Scorrendo le pagine, si apprende che Bin Laden aveva chiesto che l’investitura degli Shebab somali da parte di Al Qaeda fosse mantenuta segreta. Sperava che qualche attivista, somalo o straniero, di questo movimento potesse un giorno commettere degli attentati in Occidente. Tutte le sanguinose operazioni compiute nel vicino Kenya (1) sono quindi opera di un solo ramo del movimento (2). Da notare che in queste due tragedie, le vittime deliberatamente scelte per il massacro erano cristiane.

La scelta della discrezione si perpetua anche oggi in quanto, di fatto, Al Qaeda ha numerosi rami esteri, parte dei quali non manifestano la loro obbedienza all’organizzazione centrale. A parte Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI), AQPA, Al-Mourabitoune, lo Stato Islamico del Caucaso e il recente Al Mohajiroun (Gli emigranti dell’Africa dell’est), che sono i più conosciuti, i movimenti Ansar al-Charia Libia e Tunisia, la brigata Uqba bin Nafi (Tunisia) e Ansaru (Nigeria) dipendono anch’essi dalla nebulosa, anche se qualche emiro ha fatto defezione per unirsi a Daech. I rapporti con Al Qaeda centrale sono assicurati da una catena di comando specifica, composta da emissari posti sotto l’autorità di un responsabile delle “operazioni estere” (3); ma questi movimenti comunicano anche tre di loro. Per quanto si dicesse che Al Qaeda fosse economicamente rovinata, Bin Laden proponeva aiuti finanziari ai suoi affiliati che giungevano anche a 200.000 euro.


Le difficoltà di Al Qaeda

Per sua stessa ammissione, l’organizzazione incontrava – e incontra ancora – enormi problemi a causa della guerra scatenata dagli USA contro il terrorismo. Prima di tutto, essa aveva grandi difficoltà di comunicazione rapida coi movimenti esteri in quanto le sue trasmissioni potevano essere intercettate o decriptate, di qui il ricorso ad emissari. Il comando diretto era dunque escluso. Questa impossibilità di comunicare rapidamente lasciava spazio alla circolazione di voci incontrollate e incideva negativamente sul morale dei combattenti che si sentivano isolati e talvolta abbandonati. Un responsabile locale così scriveva a Bin Laden: “Caro Sceicco, ci invii delle brevi registrazioni audio per i fratelli. Li faremo loro ascoltare e nessuno potrà trarne copia. Le conserveremo nei nostri archivi o le distruggeremo, secondo gli ordini che ci darà. Il popolo ne ha bisogno: per rassicurarlo nei suoi compiti, per incoraggiarlo a obbedire, a essere paziente…”. D’altra parte Bin Laden non pretendeva che le popolazioni fossero sistematicamente inquadrate sotto le bandiere di Al Qaeda, accontentandosi che restassero neutrali. Esortava anche ad evitare provocazioni che potessero spingerle nelle braccia del nemico.

La minaccia dei droni armati impediva anche di formare attivisti esperti. Gli addestramenti dovevano avvenire all’interno di abitazioni, per evitare di essere scoperti: dunque molta teoria ma poca pratica, ciò che non è molto produttivo quando si tratti di istruire a sparare o all’uso di esplosivi. Di conseguenze le nuove reclute erano complessivamente male addestrate. Gli spostamenti in gruppo erano diventati problematici e questo è stato di ostacolo alla capacità tattica dei gruppi di Al Qaeda. Bin Laden aveva ben chiarito che i mujaheddin presenti nelle zone tribali pakistane non dovessero raggrupparsi in più di cinque alla volta! Invitava anche i responsabili ad abbandonare la zona. Infatti la caduta di molti quadri sperimentati era considerata una vera e propria catastrofe per l’organizzazione, essendo assai complicato rimpiazzarli. La sfiducia – per non dire la paranoia – interna costringeva ad azioni di controspionaggio costose in termini di uomini e mezzi che dovevano essere distolti da altri compiti. Si aggiungeva a questo il continuo timore del tradimento, cosa che non aiuta a stabilire relazioni di fiducia. Si evidenziava anche l’indisciplina dei nuovi giunti, senza che fossero individuate delle soluzioni soddisfacenti.

 

Shebab somali


Si erano diffusi i timori più curiosi, per esempio la paura degli avvelenamenti (magari attraverso radiazioni), soprattutto delle banconote che provenivano dalle diverse attività criminali (soprattutto i rapimenti). Questo imponeva al movimento di cambiare importanti somme liquide nelle grandi città, cosa che dal punto di vista dell’efficacia, della redditività e della rapidità era un handicap. Altri documenti rivelano che Bin Laden era preoccupato del cambiamento climatico e, soprattutto, della siccità crescente in Somalia. Per assicurare il benessere della popolazione, si proponeva di varare dei progetti di irrigazione. Era anche inquieto per le piene in Pakistan. Infine chiedeva che gli inviassero dei poemi, forse per distrarsi nel profondo del suo austero rifugio…

Leggendo i documenti, si scopre una gaffe statunitense. Il 29 luglio 2010. Robert Gates rivelava la diffusione di informazioni classificate da parte di Wikileaks. La reazione non si faceva attendere: il 7 agosto Bin Laden scriveva: “Incaricate qualche fratello di scaricare i documenti usciti dal Pentagono a proposito dell’Afghanistan e del Pakistan, poi traduceteli e analizzateli perché contengono informazioni sulla politica USA nella regione. Il Segretario alla Difesa ha affermato che questi documenti sono stati rubati e che possono nuocere all’andamento della guerra”. Benché Bin Laden comunicasse verso l’esterno solo attraverso agenti di collegamento – cosa che ha contribuito alla sua fine – seguiva però l’attualità giorno per giorno alla televisione, soprattutto Al Jazeera. Disponeva anche di una bibliografia tecnica importante, una parte della quale riguardava la Francia e i suoi interessi, cosa che è assai inquietante. Per contro non aveva tante opere religiose.

Infine, per quanto riguarda i tentativi di attentato all’estero, riconosceva la carenza di “strumenti adeguati (armi, materiali)”. Per ovviare a queste lacune, intendeva orientare “i fratelli verso metodi nuovi, come usare le cose più semplici, quali coltelli da cucina, bidoni di benzina, di olio combustibile, di diesel, e altre cose come treni, aerei e auto trasformate in macchine per uccidere”. Si consigliava anche agli attivisti che si trovavano all’estero di sottrarsi “al controllo radar”, adottando comportamenti discreti. Si ammetteva l’esistenza di problemi nella formazione, in quanto non potevano troppo spesso recarsi nei campi di addestramento in Pakistan o in Somalia, per non attirare l’attenzione dei servizi di sicurezza al loro rientro. E’ sintomatico notare che Daech scriverà le stesse cose qualche anno più tardi.

Altra prova della paranoia di Bin Laden, scriveva nel 2008 una lettera ad una delle sue mogli, rifugiata in Iran, invitandola a sbarazzarsi di tutte le sue cose prima di raggiungerlo, in quanto non si fidava degli Iraniani che avrebbero potuto – d’intesa coi servizi segreti statunitensi – collocare delle microspie nei suoi effetti personali per riuscire a localizzarlo. Ella si trovava effettivamente a Abbottabad nel maggio 2011.


Conclusioni

Restano ancora migliaia di altri documenti non declassificati. Quelli resi pubblici tendono a dimostrare la fondatezza della politica anti-terrorista del governo Obama, in particolare le operazioni “homo” che si sono rivelate molto efficaci (4). La cosa è stata constata recentemente in Yemen dove i tre responsabili di AQPA che hanno fatto riferimento – e, per quanto riguarda uno di essi, anche rivendicato – gli attentati del gennaio 2015 in Francia, sono stati uccisi da droni USA. E’ quindi un omaggio indiretto al dispositivo di intelligence USA, in particolare alla NSA, la cui attività si è rivelata essere assai nociva per Al Qaeda (5). Ed è tanto meglio quando è lo stesso nemico ad affermarlo! Si tratta dunque di una giustificazione a posteriori della strategia varata dall’amministrazione democratica, la quale non va tanto per il sottile in vista delle presidenziali del 2017. Non può dubitarsi che altri documenti dello stesso tenore saranno sapientemente distillati in futuro, soprattutto per contrastare le informazioni divulgate dal celebre giornalista Seymour M. Hersch, che ha sostenuto che l’assassinio di Bin Laden non sia avvenuto nel modo in cui è stato raccontato.  Peraltro Hersh non ha forse torto su quanto racconta a proposito dei servizi segreti pakistani (ISI) che, secondo lui, mantenevano Bin Laden in residenza sorvegliata. Vi è infatti un documento che rivela come gli stessi fossero in grado di contattare Al Qaeda al più alto livello e che, nel 2010, si proponessero di negoziare una tregua.

L’impressione generale che lo studio di questi documenti fornisce è che Al Qaeda “canale storico” e il ruolo di Bin Laden sino alla sua morte siano stati sottovalutati dagli osservatori stranieri (6) e che questa strategia di dissimulazione fosse voluta (7). Due esempi attuali: in Siria, Jaish al-Fatah (L’Esercito di conquista), che rivendica la conquista della provincia di Idlib al nord-ovest del paese, è una coalizione di movimenti salafiti sostenuti da Riyadh, Doha e Ankara, costituiti per la maggior parte dal Fronte al-Nusra, il braccio armato di Al Qaeda “canale storico”; in Yemen, I Figli di Hadramaout, che controllano il porto di Moukalla e dintorni sono sotto la guida di AQPA. La nebulosa promossa da Bin Laden sa realizzare alleanze con altri movimenti, camuffandosi dietro “consigli consultivi” (choura), che essa controlla totalmente. La catastrofe sarebbe che Al Qaeda “canale storico” e Daech finissero per intendersi!


Note:

•    [1] Università di Garissa nell’aprile 2015 (147 morti); centro commerciale di Westgate nel settembre 2013, (60 morti); ecc.
•    [2] Questa espressione di “ramo”, come quelle di “regioni” o “zone regionali”, si trovano nei documenti di Abbottabad. Si ricorda che gli Shebab sono attualmente sotto il comando di Ahmed Diriyeh - alias sceicco Ahmed Omar - e Abou Obeidah.
•    [3] Questo ruolo era affidato a Abd al-Rahman Ould Muhammad al-Husayn - alias Younis al-Mauritani -, ex membro del GSPC che è stato arrestato in Pakistan nel 2011.
•    [4] Anche se i danni collaterali sono controproducenti, le carte trovate a Abbottabad affermano che il comando statunitense lancia i suoi attacchi solo quando ha individuato, con un massimo di probabilità, un significativo bersaglio umano. Non lanciano attacchi di rappresaglia.
•    [5] Al-Qaeda riconosce che i codici cifrati utilizzati dalle sue reti non sono sicuri, in quanto la NSA viene considerata molto più “professionale” dei tecnici di Al Qaeda. Un bel “tanto di cappello” ad una amministrazione per altro tanto denigrata.
•    [6] Al contrario di Daech che si abbandona ad una sfrenata propaganda.
•    [7] Soprattutto in Afghanistan dove il movimento era assai attivo militarmente