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ProfileIntervento, 3 dicembre 2017 - Gli Stati Uniti pretendono di incarnare la civiltà, il Bene contro il Male, mentre è del tutto evidente che la disfatta di questo Impero criminale sarebbe un'eccellente notizia...

 

Oumma, 30 novembre 2017 (trad.ossin)
 
Che bello il mondo libero !
Bruno Guigue
 
Prodigo di belle parole, l’Occidente pretende di essere l’incarnazione dei valori universali. Questo esempio di democrazia, questo campione dei  “diritti dell’uomo” chiama sempre a raccolta tutte le sue sedicenti virtù a sostegno delle proprie mire egemoniche. Come se una fatina buona si impegnasse, magnanima, a far coincidere la sua morale coi suoi interessi,  l’Occidente riveste le sue ambizioni materiali con gli orpelli della giustizia e del diritto. E’ così che il “mondo libero” bombarda i paesi stranieri per finalità “democratiche” ma, di preferenza, quelli ricchi di idrocarburi e di risorse minerarie. Coniugando valori tradizionali e rapacità capitalista, si comporta come se potesse convertire la sua potenza economica in privilegio morale.
 
 
Il resto del mondo non è stupido, ma alla fine importa poco. “Il mondo libero” ha sempre ragione perché sta dalla parte del Bene, e non rischia mai la contraddizione perché da lungo tempo è il più forte. La barbarie congenita che attribuisce agli altri è il rovescio del suo monopolio autoproclamato di civiltà. Adornato dell’aureola del sacrosanto “diritto di ingerenza”, questo matrimonio riuscito tra sacchi di sabbia modello GI men e sacchi di riso modello Kouchner, l’Occidente vassallo di Washington crede senz’altro di salvare il mondo, sottomettendolo all’impietosa razzia degli avvoltoi della finanza e delle multinazionali delle armi.
 
Questa impresa di dominazione, si sa, non data da ieri. Si iscrive nella lunga durata storica cara a Fernand Braudel, quella della costituzione di una  “economia-mondo”. Portato dalla sua superiorità tecnologica, il mondo occidentale si è lanciato, dal Rinascimento, alla conquista dell’orbe terrestre. Pazientemente si è appropriato del mondo degli altri, lo ha plasmato a sua immagine, costringendolo a obbedirgli o a imitarlo, eliminando en passant tutti quelli che giudicava inassimilabili. Senza farsi turbare nelle sue certezze da questo abile raggiro, l’Occidente si è pensato come una metafora del mondo. Ne era solo una parte, ma voleva diventare il tutto, allo stesso modo in cui dei paesi che rappresentano il  10% della popolazione mondiale, oggi si considerano come la “comunità internazionale”.
 
La conquista coloniale illustrò, nel corso di tre decenni, questa propensione dell’Occidente ad estendere la sua impresa oltre le frontiere, pretendendo di esportare i benefici della “civiltà”. Questo progetto di dominazione planetaria fallì a causa della rivolta generalizzata dei popoli colonizzati nel XX secolo, ma ebbe una seconda opportunità con la sua escrescenza nord-americana. L’“America”, questo estremo Occidente scoperto da un Cristoforo Colombo alla ricerca di un estremo Oriente, ha ereditato dal Vecchio Continente le sue ambizioni di conquista e la sua rapacità commerciale. Convertendo la loro assenza di passato in promessa d’avvenire, questi “Stati Uniti”, sorti dal nulla nell’atmosfera del puritanesimo anglosassone, hanno esaltato questa ambizione uniformandola al loro profitto. A costo del genocidio degli Amerindiani, “l’America” è diventata allora la nuova metafora del mondo.
 
Non è sicuro che quest’ultimo ci abbia guadagnato nel cambio. Gli imperi coloniali sono crollati perché insopportabilmente arcaici, mentre l’egemonia statunitense viene esercitata attraverso i molteplici canali della modernità tecnologica, da Google ai droni da combattimento. Di colpo, essa si è fatta più duttile e più tenace. E’ questo che le attribuisce la sua flessibilità di comando e anche la sua resistenza. Dal casco bianco dell’amministratore coloniale europeo allo schermo digitale della cibernetica militare USA, c’è stata una rivoluzione. Essa ha sostituito ad una dominazione improvvisa, liquidata nel corso di una sanguinosa decolonizzazione, una impresa egemonica multiforme. Eredi delle tre  “M” del colonialismo classico, le ONG made in USA hanno sostituito i “missionari” cristiani, i “mercanti” sono diventati multinazionali e i “militari” sono oramai imbottiti di alta tecnologia.
 
Forte della buona coscienza incrollabile dei “convertiti” del Middle West, l’Impero USA proietta oggi sul mondo il suo manicheismo devastatore. Sogna ad occhi aperti una divisione definitiva tra i buoni e i cattivi, pilastro indistruttibile di un etnocentrismo senza complessi. Il diritto è necessariamente dalla sua parte, giacché incarna i valori cardinali della  “democrazia liberale”, dei “diritti dell’uomo” e dell’ “economia di mercato”. E’, di tutta evidenza, una ideologia grossolana, maschera fraudolenta dei più sordidi interessi, ma bisogna ammettere che è efficace. Se non lo fosse, pochissimi nel mondo crederebbero che gli USA hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale, che il capitalismo è un buon sistema, che Cuba è un gulag tropicale, che Assad è peggio di Hitler, che la Corea del Nord minacci il mondo.
 
Da questa presunta intimità col Bene, i turiferari dell’Impero USA deducono logicamente un diritto preventivo a braccare il Male in tutte le latitudini. Nessuno scrupolo deve inibire la sua frenesia salvatrice, la civiltà al singolare di cui si crede l’incarnazione si attribuisce l’espressa prerogativa di ridurre la barbarie con qualunque mezzo. E’ per questo che l’imperialismo contemporaneo funziona come una specie di tribunale universale, che distribuisce ricompense e infligge punizioni a chiunque gli aggrada. Dinanzi questa giurisdizione altamente “morale”, la CIA svolge i compiti di giudice istruttore, il Pentagono di braccio secolare, e il Presidente degli Stati Uniti di giudice supremo, una specie di “deus ex machina” di una giustizia divina che colpisce con la folgore gli sgherri dell’ “Asse del Male” e altri guastafeste del cortile di casa dell’Impero del Bene.
 
Manifestamente, questa tendenza a considerarsi l’incarnazione della Morale ha natura strutturale, giacché la successione congiunturale – e trepidante – degli inquilini della “White House” non cambia niente. A Washington, la crociata contro i barbari è invariabilmente il perizoma dietro cui si nasconde la cupidigia senza limiti del complesso militar-industriale e la secolare attività dello Stato profondo. Da Harry Truman a Donald Trump, passando per Barack Obama, dalla Corea alla Siria, passando per il Vietnam, l’Indonesia, l’Angola, il Mozambico, il Salvador, il Nicaragua, il Cile, l’Africa del Sud, la Serbia, l’Afghanistan, il Sudan, la Somalia, l’Iraq e la Libia, si somministra la morte, direttamente o tramite  “proxy”, a tutti quelli che si oppongono al regno salvifico della giustizia universale.
 
Per soddisfare i suoi bassi bisogni, gli “Stati Uniti” benefattori hanno sempre saputo utilizzare la mano d’opera locale. Franco, Hitler e Mussolini (fino al 1939), Chiang Kai-Shek, Somoza, Syngman Rhee, Ngo Dinh Diem, Salazar, Batista, Mobutu, Marcos, Trujillo, Pik Botha, Duvalier, Suharto, Papadopoulos, Castelo Branco, Videla, Pinochet, Stroessner, Reza Shah Pahlavi, Zia Ul Haqq, Bin Laden, Uribe, il re Salman, Netanyahu, i nazisti ucraini e i “terroristi moderati” del Medio Oriente hanno fornito preziosi contributi. Leader incontestati del meraviglioso “mondo libero”, gli “Stati Uniti” pretendono di incarnare la civiltà nel momento in cui vetrificano intere popolazioni con l’arma atomica, il napalm o con missili da crociera, o infliggendo loro una morte lenta con l’agente  orange, l’uranio impoverito o l’embargo sulle medicine. E non mancano di zelanti ammiratori che assicurano che gli USA rendono servizi insostituibili all’umanità, mentre è del tutto evidente che la disfatta di questo Impero criminale sarebbe un’eccellente notizia.