Camerun, agosto 2009 - Intervista di Jean Marc Soboth a Rebecca J. Tickle, neo presidente della Fondazione Moumié di Ginevra




(Rebecca J. Tickle)





Rebecca J. Tickle, segretaria generale della Fondazione Moumié a Ginevra: “La Svizzera mostra un’ingiustificata indulgenza nei confronti del sig. Biya”

Intervista di Jean Marc Soboth

Di origine inglese ma nata in Svizzera, Rebecca J. Tickle è prima di tutto una donna innamorata dell’Africa. Ha preso molto presto dimestichezza con il continente, per il tramite di suo padre, un giornalista che ha percorso in lungo e in largo l’Africa durante la guerra fredda. Laureata in scienze sociali e politiche, questa ex infermiera si è poi occupata di mediazione internazionale e comunicazione.
Si reca regolarmente in Africa centrale ed è impegnata contro gli abusi di potere e l’impunità. Collabora con la Fondazione Moumié dal gennaio 2009 e ne è diventata la segretaria generale nel luglio 2009



Da qualche anno è attiva in Svizzera una Fondazione Moumié, in memoria del nazionalista camerunese.  Assegna dei premi nel corso di manifestazioni annuali…  In quanto camerunese, che cosa potrei segnalare come obiettivo simbolico di questa Fondazione?

La Fondazione è formalmente nata a Ginevra nell’autunno 2007, attraverso il Premio Moumié assegnato a persone attentamente selezionate, in Camerun e in Africa, che abbiano dato concreta prova di un impegno indefettibile per una nuova etica socio-politica e di adesione all’ideale di un nuovo Camerun, più giusto, e globalmente prospero. Questa lotta cui la Fondazione si associa passa per il rispetto della memoria di quelli che sono morti per la loro patria, come soprattutto il dott. Félix Moumié, nazionalista e grande speranza per il Camerun post-coloniale,  avvelenato e ucciso il 3 novembre 1960 a Ginevra.
L’affrancamento del Camerun dalle sue catene richiede il superamento di questa negazione storica, e l’avvio di un cammino verso l’Africa che i Camerunesi e gli Africani sognano, dove le violazioni delle libertà e dei diritti umani non siano più niente altro che un ricordo. L’oblio è dunque un’arma politica che la Fondazione Moumié intende combattere con tutti i mezzi.
La Conferenza internazionale sul Camerun, organizzata a margine della’assegnazione del 2° Premio Moumié il 30 maggio 2009, è stata l’occasione per riunire degli esperti e lanciare un solenne appello contro un sistema politico-economico disastroso, che non mira ad altro se non a mantenere la popolazione sottomessa ad un giogo neocoloniale sempre più insopportabile.
La giovanissima Fondazione Mounié si batte a tutto campo per l’umanizzazione del Camerun e dell’Africa, e per un’Africa emancipata. Coltivare il ricordo del dott. Moumié, attraverso diversi progetti camerunensi ed a vocazione panafricana, diventa così un simbolo forte della lotta contro l’impunità e l’indifferenza in Camerun e in Africa.



Una Svizzera dirigente di una Fondazione dedicata ad un nazionalista camerunense assassinato a Ginevra… Come è approdata alla Fondazione Moumié?

Per la verità io sono di origine anglo-tedesca. I miei genitori hanno scelto la Svizzera per stabilirvi la famiglia. Io mi sono occupata molto presto dei meandri della vita socio-politica africana. Insieme a mio padre, giornalista, che traversava in lungo e in largo l’Africa durante gli anni della guerra fredda, e che ha conosciuto il Camerun di Ahidjo, la Nigeria di Azikiwe, il Ghana di N’Krumah, o il Congo di Lumumba, l’Africa è sempre stata nel mio orizzonte. Inoltre, durante la mia adolescenza, sono stata fortemente segnata dall’assassinio di Steve Biko, e le mie convinzioni ne sono risultate rafforzate.
Dopo il baccalaureato in lingue moderne a Losanna, nel 1984 ho preso un diploma di infermiera, e ho lavorato per alcuni anni in modo molto intenso. Una laurea in scienze sociali e politiche, presa nel 1997 dopo sei anni di studi a distanza, mi ha consentito di avvicinarmi in modo più approfondito alla mia passione per l’Africa. Nel 1999 ho cominciato a lavorare nell’ambito della mediazione internazionale e della comunicazione, concentrandomi sul continente africano.
Profondamente legata all’Africa, da una decina di anni mi reco regolarmente in Camerun e nella Repubblica Centrafricana. Affamata di giustizia sociale, mi sono solennemente impegnata contro gli abusi di potere e di autorità e contro l’onnipotente impunità in Africa centrale. Ho accettato con gioia, dunque, l’offerta di collaborare con la Fondazione Moumié ricevuta nel gennaio 2009 come esperta in comunicazione. Per merito del mio entusiasmo e del mio dinamismo (sorride), sono stata nominata segretaria generale nel luglio 2009.



Non è stata mai fatta piena luce sull’assassinio di Félix Roland Moumié a Ginevra nel 1960, da parte di William Bechtel, uno pseudo giornalista e spia francese… Si potrebbe dire che non è stata fatta giustizia. Cosa fa la Fondazione per fare luce in questa vicenda e per ottenere giustizia?

Questa è evidentemente una questione cruciale per la Fondazione Moumié, e deve essere affrontata con vigore, come d’altra parte anche gli interrogativi circa la sparizione della sua salma in Guinea Conakry. Come sa, la Fondazione è in piena fase di ristrutturazione, e la nostra prima preoccupazione è quella di sviluppare un solido progetto attorno a queste questioni. Abbiamo già preso dei contatti con le Autorità di Ginevra, che intendiamo consolidare nei prossimi mesi. Come può immaginare, si tratta di iniziative che richiedono tempo, perché questioni politiche di tal genere richiedono una analisi del passato, e toccano punti più sensibili di altre.



Félix Roland Moumié, Ossendé Afana, Um Nyobé, Ernest Ouandié… Una intera generazione decapitata nell’ambito di una strategia “anti-indipendentista”  di Parigi. Pierre Messmer, che all’epoca era Alto Commissario – e che diventerà più tardi Primo Ministro in Francia – confessa che furono costretti a eliminare fisicamente dei Camerunesi. Pensa che la Francia abbia oggi una responsabilità in questi assassinii? Quale?

Io penso che lei ha risposto già alla domanda. Messmer ha confessato la responsabilità francese nell’omicidio di personaggi-chiave per la liberazione potenziale del Camerun. Era l’epoca della guerra fredda, dunque questi omicidi sono stati globalmente appoggiati da un Occidente che combatteva assai ferocemente ogni “minaccia comunista”! Bisogna d’altra parte aggiungere alla lista anche Sankara, Lumuba, Boganda, Olympio, tra gli altri.
Questi martiri sono stati considerati dall’Europa e dagli USA come dei pericolosi uomini di sinistra che costituivano un pericolo a causa della loro ideologia politica. In realtà gli esperti sanno che il pericolo era costituito dalla loro competenza e dal fatto che, per questo motivo, una assunzione di responsabilità di governo da parte loro avrebbe avuto conseguenze nefaste per gl i interessi economici della ex potenza coloniale. Dunque queste persone, che hanno davvero versato il loro sangue per la patria, sono state demonizzate, e in seguito  sommariamente eliminate, perché essi rappresentavano una seria minaccia per i progetti neo-coloniali dell’epoca.  In quella occasione è nato anche una forma di revisionismo, alimentato successivamente da negazioni storiche, che risponde al bisogno dell’Occidente di far dimenticare il più possibile questi avvenimenti. E così che Sarkozy è arrivato al punto di dire che l’uomo africano non è ancora entrato nella storia!
Félix Moumié è stato poi ucciso una seconda volta quando le sue spoglie sono state fatte sparire in Guinea. Non solo hanno pensato che, negandogli il diritto di essere inumato nella terra dei suoi antenati, i Camerunensi lo avrebbero dimenticato, ma hanno anche fatto sparire i suoi resti perché la sua tomba non diventasse un monumento. Questo significa conoscere molto male lo spirito patriottico dei Camerunesi, e soprattutto la loro sete di verità e di giustizia nei confronti di un tiranno – la Francia – che ha saccheggiato economicamente e politicamente il loro paese, con l’aiuto di marionette che arma e mantiene al potere dal 1960, malgrado il paese sia ufficialmente indipendente! Il revisionismo è diventata un’arma politica, sostenuta dal concetto  dei “nostri antenati, i Galli”.



Anche la Svizzera è stata accusata di connivenza in questa vicenda che sarebbe stata archiviata senza altre conseguenze, mentre William Bechtel è andato a spassarsela nella campagna francese…

Nella storia del 20° secolo, la Svizzera è stata molte volte ingiustamente compiacente. E’ stata molto compiacente verso la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale, e purtroppo anche per ragioni ideologiche, non solo economiche. E’ ancora oggi compiacente nei confronti di alcuni dittatori, soprattutto di Paul Biya, che soggiorna a Ginevra in modo molto confortevole e impunemente per sei mesi all’anno.
Il fascicolo relativo all’uccisione di Félix Moumié è stato archiviato dalla autorità ginevrine dell’epoca senza che fosse fatta giustizia. All’epoca era anche normale, e nessuno si aspettava altro. Tutti sanno oggi che la neutralità svizzera non è stata sempre ben utilizzata.
Noi della Fondazione speriamo che le autorità svizzere e ginevrine sapranno guardare in maniera critica al passato e che ci sosterranno sulla strada della ricerca della verità a proposito dell’assassinio di Félix Moumié a Gibevra. Noi contiamo sulla loro collaborazione e sostegno, in quanto co-testimoni di questo avvenimento, nella nostra attività a Ginevra in onore del dott. Félix Moumié.



Cosa prova quando vede il presidente Paul Biya soggiornare con armi e bagagli sei mesi all’anno all’hotel Intercontinental di Ginevra?

Il fatto che Biya venga a spendere i suoi soldi a Ginevra ed a profitto di un’impresa svizzera  è evidentemente molto positivo in termini economici. Nondimeno mi amareggia molto constatare ancora che gli imperativi economici sopravanzano largamente la questione del rispetto dei diritti dell’uomo che la Svizzera dovrebbe promuovere. Sappiamo già che le banche svizzere guadagnano coi soldi sporchi depositati nelle sue casse, in termini di utili e interessi.
La Svizzera dunque, a mio avviso, ha un atteggiamento di ingiustificata indulgenza nei confronti del signor Biya, che soggiorna in modo confortevole, impunemente e beneficiando di una sicurezza che non è capace di assicurare nel suo paese ai cittadini comuni, e che è definito senza mezzi termini il principale becchino del popolo camerunense. Il governo svizzero ha veramente bisogno di studiare con serietà la possibilità di un comportamento più etico nei confronti di personaggi di tale spessore, e dei soldi che spendono, che sono il frutto di grossolane lacune democratiche, di violazioni sistematiche dei diritti umani, di repressione sanguinaria e violenta.



Marthe Ekemeyong-Moumié  ha scritto il libro “Vittime del colonialismo” con la prefazione di Ahmed Ben Bella. Ha parlato anche lei delle responsabilità della Francia, prima di morire in Camerun in circostanze che molti considerano come un assassinio politico. Lei cosa ne pensa?

L’uccisione di Marthe Moumié non ha lasciato nessuno indifferente. E la Fondazione, come molti altri, non ha un’idea chiara sulle circostanze della sua sparizione, che richiedono una indagine assai minuziosa , come quelle dell’uccisione dello stesso Félix Moumié. Il regista svizzero Frank Garbely ha tentato per diversi mesi di mettere insieme disparati elementi relativi agli annessi e i connessi della vita politica di Félix Moumié, oltre alle circostanze della sua morte. Noi gli siamo infinitamente riconoscenti per aver offerto al mondo il fil intitolato “Morta a Ginevra”, che è un documento immensamente ricco, per il Camerun e l’Africa soprattutto.
Sappiamo in ogni caso che la signora Moumié avrebbe ben potuto essere uccisa per il suo coinvolgimento nella ricerca della verità sulla morte di suo marito.



Molti chiacchierano oggi a proposito della presunta fine della Francafrica, questo periodo di saccheggio delle risorse naturali del continente, di assassinio dei nazionalisti, di colpi di Stato orchestrati a Parigi. Se ne è parlato anche in occasione della morte dell’ultimo simbolo del villaggio franco-africano, il presidente gabonese Omar Bongo Ondimba che – anche lui – ha lavorato per i servizi segreti francesi… Siamo alla fine della geostrategia francese in Africa?

Quelli che pensano che la Francafrica sia morta sono dei sognatori ingenui. La Francia ha impegnato enormi risorse in Africa in termini di sfruttamento delle risorse naturali. Si batterà fino in fondo per questo. D’altronde ha dei complici numerosi e multiformi, soprattutto le multinazionali che hanno fatto man bassa delle risorse naturali africane. Imprese come Bouygues, Areva, Bolloré o British Petroleum , per non parlare che di loro, sono praticamente più potenti degli Stati cui appartengono e hanno saccheggiato le terre che sfruttano, violando sistematicamente i diritti umani e distruggendo l’ambiente vitale dei popoli autoctoni. Noi sappiamo che queste multinazionali finanziano con larghezza di mezzi le frodi elettorali e il mantenimento al potere dei Biya, Sassou N’Guesso, Bozizé, Deby, e consorti.
D’altronde tutti sanno che Omar Bongo era il vero padrino della Francafrica e che, da oggi in poi, in assenza di un consenso francese alla successione del figlio di Bongo, la Francafrica   si rivolge a Paul Biya perché assuma questo ruolo. Ciò che significa evidentemente che beneficerà di un sostegno supplementare da parte del governo francese. Non facciamoci dunque delle illusioni.
Per contro  quelli che pensano che la Francafrica si evolva e che occorre aspettare il momento e i mezzi, vale a dire la breccia, per indebolire la sua forza devastatrice, sono più realisti. Bisogna tenere sotto osservazione le forze esterne alla Francafrica, che fino ad oggi hanno più o meno approvato. Se comincia a diffondersi una certa disapprovazione da parte della opinione pubblica mondiale, saremo già sulla buona strada!
Ma è un enorme lavoro quello di suscitare un movimento di opinione mondiale contro la Francafrica.
I nuovi Moumié sono là alla rinfusa, Agbobli in Togo, Wanfiyo in RCA, Ossebi in Congo, o Omar Salh in Ciad. Sono tutti stati eliminati in circostanze non chiare, con inchieste conclusesi tutte con archiviazioni gettate come polvere negli occhi del mondo.  I poteri in piazza si lavano le mani, già da tempo macchiate di sangue, contando sull’ipotetica amnesia dei loro compatrioti e del mondo. L’impunità allo stato puro!
La Fondazione Moumié si impegna ad impedire che questi nuovi martiri cadano in un oblio politico, e che il mondo possa conoscere la profondità dei danni provocati dalla Francafrica.

 

Il presidente Barack Obama ha evocato ad Accra la prospettiva di un’Africa per gli Africani, mentre il presidente francese Nicolas Sarkozy  ha accusato gli Africani, a Dakar, di essere i soli responsabili dei loro guai… Da che parte stare in questo dibattito?

Questa questione della responsabilità alimenta una grande polemica che fa bene. Perché la gente che polemizza è costretta a esaminare profondamente i vari elementi e, soprattutto, a rimettere in discussione cose che sembrano evidenti.
Io penso personalmente che bisognerebbe tenersi lontano per quanto possibile dalla questione delle responsabilità passate, pur rifiutando l’estremismo revisionista, lo ripeto, di Sarkozy. E’ meglio occuparsi delle responsabilità per il successo dell’Africa di oggi e di domani.  D’altra parte, io sono perfettamente cosciente come tanti altri, che senza perdono non si può costruire un domani in spirito collaborativo.
Detto questo, collegandomi alla logica di Barack Obama, io dico che nessuno può semplificare la situazione minimizzando le responsabilità dell’Occidente. Occorre per forza che le grandi potenze del mondo rimettano in discussione in modo totale i sistemi economici assolutamente iniqui, che hanno lasciato l’Africa deliberatamente indietro per l’esclusivo beneficio delle economie occidentali.  In questo quadro dovranno essere analizzate a fondo anche ruolo e responsabilità delle multinazionali.
In questa ottica, la Fondazione Moumié intende studiare una strategia tendente a promuovere una nuova etica di comportamenti delle multinazionali in Africa. Non si tratta di vietare radicalmente l’accesso in Africa al mondo occidentale, quanto piuttosto di elaborare meccanismi che consentano vantaggi paritari. E’ l’unico modo che può funzionare a mio avviso.  Ciò non vuol dire che l’Africa debba fare altri compromessi, perché penso che ne abbia già fatto abbastanza. Ma si tratta di dimostrare che tutto il mondo ha da guadagnare se l’Africa si emancipa nell’obiettivo di uno sviluppo efficace.
Come la Francia e l’Occidente riescono cosi bene a difendere i loro interessi in Africa, nessuno offrirà agli Africani la libertà e il successo su di un piatto d’argento. Spetta dunque agli Africani, come ha detto Barack Obama in Ghana, di battersi per la loro salute, la loro libertà, il loro successo.
Il compito è evidentemente immenso, ed i processi avviati devono essere compresi e sostenuti dal mondo, o almeno dal tradizionale gendarme del mondo che è il grande zio Sam. E’ qui che avrei delle riserve sul discorso di Obama.



Secondo lei, l’Africa ha un avvenire?
Bella domanda! Cero che ha un avvenire, eccome!
Si legge nella Bibbia che “così gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi”, e io ci credo personalmente in modo assoluto! Malgrado uno scetticismo giustificatissimo da assai inquietanti circostanze, non bisogna abbassare le braccia, soprattutto adesso.
L’Africa ha bisogno dei suoi figli, soprattutto di quelli che sono partiti per cercare altrove dell’erba più verde, ed anche di quelli che i regimi nemici del loro popolo hanno ingiustamente rinnegato. Non è il momento di divertirsi. Tucidide, uomo politico ateniese, diceva: “Bisogna scegliere:  riposarsi o essere liberi”. Colui che vive lontano dalla sua terra natale per esservi stato costretto, anche se vive bene e crede così di aver strappato la libertà ad un destino morboso, di fatto è un prigioniero. Non ha anche la libertà di contribuire ad una scelta libera e democratica dei dirigenti del paese dei suoi avi. Questo dolore, che cerca di dissimulare e dimenticare per forza, potrebbe anche essere uno stimolo perché possa ritrovare la sua vera libertà.
Noi siamo tutti responsabili dell’avvenire dell’Africa, e dobbiamo tutti giocare un ruolo da moltiplicatore… Un giorno l’Africa vincerà, ed ogni giorno che passa ci avviciniamo a quel momento! 
 

   
 
 

Torna alla home
Dichiarazione per la Privacy - Condizioni d'Uso - P.I. 95086110632 - Copyright (c) 2000-2024