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Interventi, giugno 2010 - Se gli USA non riescono a portare la pace in Medio oriente, dovranno pensarci i Russi? Hanno esperienza della regione e non sono paralizzati da una lobbie israeliana. Un intervento di Robert Fisk su The Independent





The Independent – 27 maggio 2010

Il potere di cambiare
di Robert Fisk

Se gli USA non riescono a portare la pace in Medio oriente, dovranno pensarci i Russi? Hanno esperienza della regione e non sono paralizzati da una lobbie israeliana.

Ho sempre sostenuto che da qualche parte dell’altro lato dell’Atlantico – o forse del Mediterraneo – vi sia una linea di frattura geologica, o una specie di schermo o un velo, attraverso il quale il caro vecchio Occidente (talvolta chiamato Cristianità) vede il Medio Oriente in modo da interpretare all’incontrario tutto quello che vede. Un’offerta iraniana di soluzione nucleare pacifica diventa una minaccia e produce sanzioni. Le prossime elezioni in Egitto sono considerate un avanzamento sulla strada della democrazia e non il prolungamento del regno del partito unico di un dittatore di 81 anni.

L’avvio – uno di più –dei pourparler “indiretti” tra palestinesi e Israeliani diventa un altro successo parziale del processo di pace USA, piuttosto che un segno scandaloso della mancanza di ogni speranza per i Palestinesi.  E i crescenti massacri in Iraq e in Afghanistan sono indizio della “disperazione” dei Talebani e non la prova che abbiamo perso la guerra in entrambi i paesi.

Per contro le linee di frattura tra la Russia e il Medio Oriente non sono così profonde e non occultano altrettante verità. E ciò per molte ragioni. La vecchia Unione Sovietica ha mantenuto un potere più che coloniale su un pugno di repubbliche mussulmane – infatti la Russia zarista ha combattuto contro la Cecenia nel XIX° secolo. Leggete Haaji Murat di Tolstoi: “Nessuno parlava dell’odio dei Russi”, scrive Tolstoi a proposito degli uomini i cui discendenti combatteranno contro l’esercito di Putin più di un secolo dopo. “I sentimenti che li animavano, dal più giovane al più vecchio, erano più forti dell’odio. Non si trattava di odio, perché essi non consideravano affatto questi cani come degli esseri umani, ma era piuttosto repulsione, disgusto e stupore dinanzi alla crudeltà gratuita di queste creature”. Avrebbe potuto descrivere allo stesso modo la collera incendiaria del popolo di Grosny o il furore selvaggio degli Afghani dopo l’invasione sovietica del 1979.

Tuttavia i Russi hanno capito molte cose in Afghanistan; e la nostra occupazione dura oramai da più tempo della loro – anche se ciò non sarà mai ammesso dai nostri generali e dai nostri Primi Ministri. I nostri grandi progetti per la battaglia di Kandahar, una battaglia che sospetto non ci sarà mai – sono meno ambizioni di quelli sovietici per Herat e Kandahar. Ma i Russi si ricordano delle lezioni che sono state loro inflitte.

Bin Laden si è vantato una volta davanti a me di avere distrutto l’esercito sovietico in Afghanistan – un’affermazione che ha il merito di avere un fondo di verità. A Mosca, cinque anni fa, ho ascoltato dei veterani sovietici – alcuni di loro molto debilitati dall’abuso di droghe – parlare degli IED (congegni esplosivi artigianali) che hanno ucciso tanti loro compagni nelle province di Helmand e di Kandahar, e dei soldati sovietici catturati vivi, cui hanno strappato la pelle e le membra. Bisogna ricordare che i Sovietici invasero l’Afghanistan per interesse personale – Breznev temeva che la perdita del suo alleato comunista di Kabul avrebbe rafforzato l’insorgenza dei mussulmani all’interno dell’Unione Sovietica -  pur sostenendo che intendevano liberare il popolo da un leader corrotto, portare l’uguaglianza socialista specialmente nelle scuole e nel campo dell’assistenza medica e addestrare l’esercito afghano. Non dico di più…

Ma i Sovietici hanno ben conosciuto il mondo mussulmano, almeno la sua parte araba. Hanno passato decine di anni ad insegnare ai loro dittatori le ferree regole del Cremlino, instituendo centinaia di mini KGB per reprimere ogni opposizione, fornendo loro armi e aerei militari e addestrando i loro soldati a combattere il proprio popolo.

E quando Israele vinse la guerra del 1967, poi quella del 1973 e ancora quella del 1982 – ricordo il momento indimenticabile durante l’assedio di Beirut da parte di Israele, quando il leader del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina supplicava Mosca di paracadutare le armi nella capitale libanese assediata – sono stati testimoni dell’umiliazione degli Arabi. I diplomatici russi parlavano l’arabo molto meglio dei loro omologhi USA (ed è così ancora oggi) e sapevano bene quali false dichiarazioni di sostegno dovevano fare nei confronti della causa “araba”.

Così quando il Presidente Dmitry Medvedev è giunto a Damasco per incontrare il Presidente Bashar Assad all’inizio del mese, gli Arabi lo hanno naturalmente ascoltato con attenzione – e noi, altrettanto naturalmente, non lo abbiamo fatto. Per nulla impressionato dal “processo di pace”, Medvedev ha detto che la situazione in Medio oriente era “molto molto cattiva” e ha chiesto agli USA di passare seriamente all’azione.  “Il processo di pace in Medio oriente si è profondamente deteriorato” ha detto. “Se la situazione in Medio oriente continua a peggiorare, vi sarà un’esplosione catastrofica”. E gli USA l’hanno ascoltato? Per niente. In compenso la Clinton si è precipitata sulla Collina (al Congresso, ndt) per dire ai legislatori USA che il nuovo accordo nucleare tra la Turchia, il Brasile e l’Iran non era abbastanza soddisfacente e che le sanzioni sarebbero state applicate – con l’aiuto della Russia. Questo si vedrà.

Dopo questo avvertimento, il Presidente della Russia – che è membro dell’infame sedicente Quartetto, diretto dal non meno infame Tony Blair – ha fatto quello che Blair e molti diplomatici inglesi avrebbero dovuto fare da molto tempo – ha incontrato Khaled Meshaal, il leader di Hamas, a Damasco, e gli ha chiesto di liberare il soldato israeliano imprigionato a Gaza – che le eroiche truppe israeliane, è il caso di ricordare, non sono state capaci di ritrovare quando hanno invaso e devastato questo piccolo territorio, simbolo estremo di miseria e ingiustizia, quasi un anno e mezzo fa. Gli Israeliani non hanno molto criticato Medvedev – come avrebbero fatto se la visita fosse stata effettuata da Blair, Hague o Obama – ma bisogna dire che il folle ministro degli Affari Esteri di Israele, Avigdor Lieberman, è russo, non è così?

E dopo? Ebbene Medvedev butta benzina sul fuoco annunciando ufficialmente la vendita di un sistema di difesa aereo alla Siria – un missile suolo-aria Pantsir di debole portata, delle batteria anti-aeree e degli aerei da combattimento Mig 29. E lo stesso giorno che cosa fa Obama?  Chiede al Congresso di approvare la spesa di 133 milioni di sterline per lo scudo antimissile di Israele.  E ciò esattamente un mese dopo che il presidente Shimon Peres aveva affermato che la Siria aveva inviato numerosi missili Scud potenti  (e antiquati) ad Hezbollah in Libano – cosa di cui gli USA dubitano fortemente, anche se non possono manifestare apertamente il loro scetticismo agli Israeliani. Questi vecchi mostri non sarebbero molto utili a Hezbollah, anche se quest’ultima – che ha già dichiarato di possedere 20.000 razzi pronti ad essere lanciati su Israele – preferisce per ragioni tattiche non smentire questa fantastica consegna di Scud.

Questo enorme spreco di fondi pubblici che fanno gli USA, la Russia e la Siria - ma non Israele, la cui economia è florida grazie al sostegno finanziario degli USA – non è avvertito da un Occidente troppo occupato nei suoi giochetti – le sanzioni dell’ONU e l’inquietudine per la “sicurezza” di Israele (ma nessuna per quella dei palestinesi). Idem per Obama che stende – letteralmente – un tappeto rosso per Hamid Karzai, un Presidente (afghano) tanto corrotto quanto corruttore.

Io non cesso di chiedermi perché, ma perché Obama, che ha passato mesi a discutere di un “rafforzamento della presenza militare” (come detesto questa espressione!) in Afghanistan,  non convochi tutti i suoi esperti di politica estera per trovare una soluzione alla tragedia che si aggrava in questa regione? Da un mare scintillante all’altro, gli USA possiedono eserciti di decani di dipartimenti di studi sul Medio oriente, di studi islamici, di studi ebraici, di studi arabi – e tuttavia nessuno fa appello ai loro saperi. Perché? Perché gli  “esperti” in politica estera – e le loro copie conformi sulla CNN, Fox news, ABC, NBC, CBS ecc. – non vogliono. Per Harvard, c’è solo l’Institut Brookings; per Berkeley, la ditta Rand, ecc. ecc. (“Think tanks” statunitensi conservatori, ndt).

Cosa si nasconde dietro tutto questo? Mi rivolgo al mio vecchio amico John Mearsheimer, coautore del libro “La lobbie israeliana e la politica estera USA”, diventato un bestseller per lo statunitense medio – a onta delle abituali proteste di Alan Dershowitz (colui che ha proferito l’ignobile frase: “Il giudice Goldstone è un uomo ingiusto”) – e che ha appena pubblicato un altro articolo coraggioso sulla deplorevole influenza della lobbie israeliana a Washington; si tratta della lobbie del Likud, ma per il momento questo non ha importanza.  Mearsheimer dice che il presidente Barack Obama ha “finalmente ottenuto che i Palestinesi e gli israeliani tornino al tavolo dei negoziati”, sperando che ciò porterà alla creazione di uno Stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania. “Malauguratamente ciò non accadrà mai”, afferma Mearsheimer. “In compenso queste terre saranno quasi certamente inglobate in una “Grande Israele” che diventerà uno Stato di apartheid molto simile all’Africa del Sud dominata dai bianchi”.

Nessun presidente USA è in grado di esercitare pressioni su Israele per farle cambiare politica verso i palestinesi. Mearsheimer parla senza mezzi termini. “La causa principale di ciò è la lobbie israeliana, una coalizione potente che raggruppa ebrei USA e cristiani evangelisti e che ha una profonda influenza sulla politica USA in Medio oriente. Alan Dershowitz – sì proprio lui – ha avuto ragione di dire: “Gli ebrei della mia generazione… fanno parte della lobbie e dell’organizzazione di raccolta di fondi più potente della storia della democrazia”.

 Non è la prima volta che un universitario USA utilizza espressioni così dirette. Dal 1967, tutti i presidenti USA hanno alzato la voce contro la colonizzazione – riconosciuta come illegale dalla comunità internazionale – delle terre palestinesi in Cisgiordania. Nessuno è riuscito ad ottenere risultati. Obama non avrà migliori opportunità dei suoi predecessori. Quando è diventato presidente, ha chiesto a Netanyahu di fermare l’espansione delle colonie. Netanyahu gli ha risposto mandandolo al diavolo. Obama, come ha osservato giustamente Mearsheimer, “ha capitolato”. Quando Obama ha chiesto di arrestare la costruzione di nuove case israeliane a Gerusalemme est, Netanyahu gli ha risposto che non si cesserà di costruire perché Gerusalemme est “faceva parte integrante dello Stato ebraico”. Obama ha fallito di nuovo.

Netanyahu non ha mai smesso di ripetere che non si sarebbe fermata la costruzione di nuove case israeliane in questa parte di Gerusalemme dove i Palestinesi devono erigere la loro capitale. Obama non ha protestato. E non crediate nemmeno per un momento che lo farà la Clinton. Lei vuole  essere il prossimo presidente dopo Obama.

L’errore degli Europei è evidentemente ch’essi non intendono prendere delle misure contro Israele perché – come sostengono gloriosamente tutti i ministri degli affari esteri europei – sono gli USA ad avere “influenza” su Israele. Sì, gli Stati Uniti dovrebbero avere una certa influenza su Israele, considerando le sue massicce sovvenzioni , ma in effetti non ne ha perché, come dice Mearsheimer, la lobbie ha troppo potere sulla politica USA in Medio oriente. Io non mi riferisco affatto ad una sorta di “complotto” ebraico, intendo solo dire che la lobbie israeliana del Likud priva gli USA di ogni capacità di negoziato indipendente, castra la politica statunitense e mette in pericolo le relazioni USA con il resto della regione.

L’ex Primo Ministro Ehud Olmert – che, come molti ex-ministri o presidenti , esprime l’evidente verità solo quando non ha più i mezzi per operare – dice che, se la soluzione dei due Stati diventerà impossibile, (e lo è diventata) “Israele si troverà di fronte ad una lotta di tipo Sud Africano” e che “se accadrà ciò, sarà la fine dello Stato di Israele”. Come dice Mearsheimer, “la lobbie israeliana negli USA aiuta Israele a distruggere il suo stesso avvenire come Stato ebraico”.

E noi cosa facciamo? Noi continuiamo a sostenere tutti i peggiori dittatori e potentati della regione, incoraggiandoli ad aver fiducia negli Stati uniti, a fare maggiori concessioni a Israele e ad opprimere i loro popoli. Di tanto in tanto domandiamo loro di essere più “democratici”. Era l’idea di George W. Bush riassunta da sua moglie, che trovava che Abdullah di Giordania e consorte erano un buon esempio di democratici – e si tratta di una monarchia incostituzionale! Io sono talvolta sbalordito dal ridicolo (e dall’ipocrisia) dei paesi europei che vogliono portare la democrazia agli Arabi.

E tuttavia è così. I capi di Stato arabi sono oramai tanto sicuri di sé che si possono permettere perfino di mandare a quel paese la gallina dalle uova d’oro. Quando l’amministrazione Obama ha criticato la decisione dell’amministrazione di Hosni Mubarak di prorogare le leggi eccezionali in vigore da 30 anni – Clinton gli fece presente che questa proroga non teneva conto di tutte le sensibilità presenti in Egitto – il ministro egiziano degli affari esteri le ha risposto che questa dichiarazione era “troppo politicizzata”, aggiungendo che era destinata ai media e ai gruppi di difesa dei diritti umani USA. Il che era perfettamente vero.

Dunque l’era dell’egemonia USA è alla fine? Ahimè, non ancora. Ma è possibile che qualcuna delle nostre illusioni sul Medio Oriente sia caduta. Può darsi che gli ultimi attacchi in Iraq e gli attacchi ancora più spettacolari in Afghanistan, ivi compreso il sorprendente attacco all’aeroporto di Bagram – mi sembrava che avessimo programmato di batterci a Kandahar, non a Bagram – ci costringerà ad ammettere qualche verità. Che i popoli mussulmani, non già i loro leader corrotti, non si faranno vincere, anche se le loro rivolte contro l’Occidente sono tanto violente quanto rudimentali. Ma siamo capaci di intendere la lezione? Gli USA hanno inviato una quantità di droni  sul Pakistan, di missili sul Waziristan, poi un cittadino USA nato in Pakistan ha tentato di far saltare un’auto-bomba in Times Square per vendicarsi, poi gli Stati Uniti si sono vendicati uccidendo 15 Pakistani di più lanciando dei droni e poi… Lascio ai lettori di scrivere il seguito.

In più, noi proiettiamo le nostre idee preconcette della storia su questo immenso conflitto. Mi ricordo spesso del modo in cui siamo approdati in Irlanda agli inizi degli anni 1970. Noialtri giornalisti vi siamo arrivati con pochissime conoscenze storiche, a parte delle vaghe immagini di Irlandesi ubriachi e armati di coltello, pronti ad uccidere senza ragione tutti gli eleganti inglesi che erano venuti ad invadere il loro paese, e il vago ricordo che l’Irlanda cattolica era neutrale durante la seconda guerra mondiale (vero), che De Valera aveva reso una visita di condoglianze alla delegazione tedesca alla morte di Hitler (vero) e che gli Irlandesi avevano rifornito di combustibile i sottomarini tedeschi (falso).

E’ la stessa cosa con i mussulmani: noi crediamo che essi vogliano islamizzare l’Occidente (cosa falsa), che vogliano espandersi in Occidente (cosa altrettanto falsa, l’hanno fatto solo in Andalusia) e che lo faranno con la guerra. Crediamo davvero che l’Indonesia, il più grande paese mussulmano del mondo, sia stato invaso dagli Arabi? Così come la storia che durante la seconda guerra mondiale gli Arabi erano filo-nazisti. E’ vero che il Gran Mufti di Gerusalemme ha incontrato Hitler ed ha fatto qualche vergognosa dichiarazione contro gli Ebrei alla radio, ma non è mai andato ad Auschwitz come sostiene la propaganda israeliana. E non bisogna dimenticare che Anwar Sadat era una spia di Rommel in Egitto – e sarebbe stato felice se la Wehrmacht fosse entrata in Palestina – ma è lo stesso diventato il migliore amico arabo di Israele e venne invitato a Gerusalemme quando si decise a firmare la pace.

Ma i nostri pregiudizi risalgono ancora più indietro, risalgono a quando abbiamo cominciato a usare la parola “Turco” al posto di “mussulmano”. In Italia l’espressione “turco” era un insulto già prima del XVI° secolo. Come ha scoperto un diplomatico svedese studiando un documento che aveva inviato a Istanbul nel 2005, gli Italiani usavano l’espressione “puzza come un Turco”. Ancora oggi noi usiamo l’espressione “parlare turco” e il mio dizionario del collegio USA Random House del 1949 definisce il “Turco” come una persona “crudele, barbara e tirannica”.

E così di seguito, non senza l’aiuto del nostro caro Papa nel suo discorso di Regensburg. Di fatto degli Arabi sono diventati imperatori romani e raggiunsero l’Oriente prima di noi. Quando Vasco de Gama ha “scoperto” l’India ed è giunto a Calicut (Calcutta) il 20 maggio 1498 – ho letto questa storia forse apocrifa nell’interessante opera “Out of Arabia” di Warwick Ball – è stato accolto da un Arabo di Tunisia che gli ha detto: “Il diavolo vi porti! Cosa venite a fare qui?” E una cronaca dell’Hadramaut (oggi lo Yemen) della stessa epoca racconta come delle navi francesi che facevano capo sull’India apparvero un giorno sul mare. “Hanno catturato sette navi (arabe), hanno ucciso tutti coloro che si trovavano a bordo e hanno fatto qualche prigioniero. Questa fu la loro prima azione. Che siano maledetti!” Gli Europei sono entrati nell’Oceano indiano mentre noi credevamo che gli Arabi cercassero di entrare in Europa.

Questa fu forse la prima linea di frattura. A meno che non siano state le Crociate. O l’Impero Ottomano – vi ricordate quando la Turchia era considerata come “il malato d’Europa”?
O le nostre menzogne sulla Palestina? O la rivoluzione iraniana? O il nostro incondizionato sostegno a Israele? O il nostro aiuto a queste orribili dittature? Ma è tempo di superare le linee di frattura e di guardare in faccia la realtà storica e di ascoltare – oserei ripeterlo? – della gente come Dmitry Medvedev.   



Per leggere alcuni estratti del libro di John J. Mearheimer e Stephen M. Walt, “Israel Lobby e la politica estera americana”, vai al dossier di Ossin:

Le guerre di Bush