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 Analisi, gennaio 2011 - La contestazione esprime la disperazione di una gioventù maghrebina alla ricerca di punti di riferimento, colpita dalla disoccupazione e frustrata dall’assenza di prospettive









Jeune Afrique – 16/22 gennaio 2011

Le ragioni della rabbia
di Leila Slimani

La contestazione esprime la disperazione di una gioventù maghrebina alla ricerca di punti di riferimento, colpita dalla disoccupazione e frustrata dall’assenza di prospettive


Giovane e maghrebino. La combinazione è esplosiva. Da qualche settimana un vento di rivolta soffia sul Maghreb, in gran parte a opera di liceali, studenti medi o diplomati della secondaria, che provengono dalle classi popolari e medie. “In Maghreb i giovani sono la società!” ricorda la ricercatrice algerina Amel Boubekeur. Ma questa superiorità numerica non trova sbocchi nella realtà economica e politica. Emarginata, senza prospettive né punti di riferimento, la gioventù della regione non è mai sembrata tanto disperata.
Prima rivendicazione: il lavoro. La disoccupazione giovanile è da record. E il peggio è che il numero più elevato è tra i diplomati (il 19,8% dei giovani diplomati in Algeria, il 20% in Marocco, il 21,6% in Tunisia) piuttosto che tra i meno istruiti (meno del 5% nei tre paesi). “Non si è pensato ai meccanismi di inserimento nel mercato del lavoro”, ritiene Driss Benali, professore di economia all’Università Mohammed V di Rabat. La situazione è diventata più preoccupante da quando la crisi mondiale ha bloccato l’emigrazione in Europa, che funzionava come una valvola di sfogo. “Ora che la crescita è rallentata, il contratto alla cinese proposta da questi regimi – crescita contro limitazione delle libertà – non funziona più. La gioventù sente di non avere né l’una né l’altra e rifiuta l’imbroglio”, spiega un ricercatore tunisino che si cela dietro l’anonimato. In società che sono sempre più materialiste, dove sono cresciute le diseguaglianze, la disoccupazione è quasi simbolo di morte sociale. “Non si può vivere con dignità quando, a 30 anni, si dipende ancora dalla famiglia. Io mi arrangio con qualche lavoretto ma, spesso, devo chiedere i soldi a mio padre per comprare le sigarette o un caffè”, racconta Karim, un giovane marocchino.
Politicamente il risultato è esplosivo. Senza lavoro, pervasi da un sentimento di ingiustizia e frustrazione, i diplomati disoccupati vedono il mondo andare avanti mentre essi sono confinati in una dolorosa inutilità sociale. A Sidi Bouzid, dove il suicidio il 17 dicembre ha dato il via alla contestazione tunisina, Mohamed Bouaziz è diventato il simbolo della disperazione maghrebina.
“Questa rivolta era prevedibile. Tutti i demografi hanno dimostrato che nel Maghreb, tra il 2007 e il 2015, la pressione della gioventù sull’educazione, il servizio sanitario e la richiesta di lavoro sarebbe stata massima. Ciascuno paese aveva il compito di governare le tensioni che ciò avrebbe generato”, sostiene il politologo marocchino Mohamed Tozy. A lungo l’impegno della Tunisia in materia di educazione di massa è stato considerato esemplare. Con il 78% di alfabetizzazione (contro il 60% del Marocco) il paese si trova tuttavia di fronte a un paradosso: gli studenti sono troppo numerosi in rapporto ai bisogni del mercato del lavoro e il settore informale non è sufficiente ad assorbire l’eccedenza. Secondo gli specialisti, occorrerebbe una crescita dell’8% per assicurare un lavoro a tutti i disoccupati. “Dopo l’11 settembre e la minaccia dell’islamismo, non s’ fatto più niente per guadagnare la pace sociale. Le politiche sociali sono state abbandonate e le autorità hanno dimostrato un’assoluta mancanza di immaginazione politica nei confronti dei giovani”, deplora il ricercatore tunisino.


Classe politica vecchia
In Algeria le proteste contro il costo della vita e la disoccupazione non sono nuove. I giovani hanno l’idea che le ricchezze siano sprecate e che i cittadini non ne beneficino. “Non bisogna ridurre questi giovani a dei tubi digerenti. Essi non chiedono solo pane e lavoro, ma il rispetto delle regole del gioco, la fine del nepotismo e della corruzione generalizzata”, precisa Amel Boubekeur. I giovani si sarebbero dunque risvegliati dall’apatia nella quale erano caduti? Quelli della Tunisia e dell’Algeria rifiutano in ogni caso in blocco la loro classe dirigente, giudicata vecchia e lontana dalla realtà. “In tutti questi paesi, le strutture intermedie, come i sindacati o i partiti politici, non riescono più a svolgere la loro funzione, e il potere si trova ad ogni momento esposto direttamente alla rabbia della piazza. In Marocco il potere ha capito che bisognava proteggere i legami sociali e ha consentito che si sviluppasse una forte società civile”, spiega Tozy.
“In Marocco la decentralizzazione ha permesso, come dimostrato dalle ultime elezioni comunali, di collocare dei giovani in posizione di responsabilità”, aggiunge Amel Boubekeur. L’altra particolarità di questo paese, la monarchia, dà un senso di stabilità. Al contrario, in Algeria e Tunisia, l’avvenire è fonte di angoscia e i giovani non hanno alcuna visibilità, nemmeno a medio termine. “A 30 anni, io non ho mai partecipato ad un’elezione libera e non so di che sarà fatto il domani”, si lamenta Samy, un ragazzo di Tunisi.


Desiderio di modernità
E tuttavia sarebbe falso dire che niente cambia. In Marocco e in Algeria soprattutto, le autorità hanno molto investito nel sociale, e le condizioni di vita vanno migliorando. Nuovi quartieri sorgono alle periferie delle grandi città e vengono assegnati alloggi popolari. Ma, sul piano culturale, tutto si concentra nelle grandi città, e i divertimenti sono riservati solo a chi ha i soldi. Aspirando alla modernità, i giovani del Maghreb sono ancora più frustrati in quanto il facile accesso ai mezzi di comunicazione moderni, a internet – e soprattutto Facebook – ha considerevolmente ridotto la distanza con l’occidente. “Attraverso i media l’Europa è a portata di mano. Nello stesso tempo essi ne sono esclusi di fatto. Di conseguenza essi sentono che la mondializzazione si fa, non solo senza di loro, ma contro di loro”, aggiunge Khadija Mohsen Finan. “Anch’io vorrei andarmene in giro con la mia ragazza, viaggiare, inserirmi nella società”, dice desolato Karim.
In trent’anni il Maghreb ha conosciuto dei rivolgimenti che, in Occidente, hanno avuto bisogno di 3 o 4 generazioni. I valori e i modi di vita sono cambiati. I tradizionali legami sociali si sono rotti. Non in sintonia coi leader politici, i giovani lo sono anche coi genitori, la cui autorità è diminuita. “I miei genitori hanno passato la loro vita sottomessi e impauriti della loro stessa ombra. Io invece sono diplomato, parlo tre lingue. Non voglio fare la loro stessa vita”, dice Samy.
Il domani. Ecco ciò che reclama con forza la gioventù maghrebina. Una risposta puramente economica o repressiva non sarà sufficiente a lenire il suo malessere. Dopo le grandi narrazioni dell’indipendenza, dell’islamismo e del liberalismo economico, le nuove generazioni hanno disperato bisogno di utopie da condividere e di un progetto di società da costruire
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