Stampa
 Analisi, gennaio 2011 - Dopo che la rivoluzione del “gelsomino” ha provocato la caduta di Ben Ali in Tunisia, l’entusiasmo comincia a diffondersi tra tutta la popolazione araba, assetata di libertà e speranzosa che il vento di cambiamento che ha soffiato in Tunisia travolga tutta la regione nel suo insieme








www.unmondelibre.org – 21 gennaio 2011

Dopo la Tunisia, è possibile un effetto “domino” nel mondo arabo?
di Errachid Majidi


Dopo che la rivoluzione del “gelsomino” ha provocato la caduta di Ben Ali in Tunisia, l’entusiasmo comincia a diffondersi tra tutta la popolazione araba, assetata di libertà e speranzosa che il vento di cambiamento che ha soffiato in Tunisia travolga tutta la regione nel suo insieme. Alcuni osservatori paragonano la situazione a quanto accaduto nell’Europa dell’Est dopo la caduta dei regimi comunisti: la caduta del regime di Ben Ali è il primo atto di un movimento globale che travolgerà tutte le dittature della regione?


La specificità del caso tunisino
La rivolta tunisina è il punto di congiunzione di diversi fattori che, presi isolatamente, non avrebbero provocato lo stesso risultato. Questo paese ha conosciuto un primo tentativo di modernizzazione nella seconda metà del XIX secolo con Keiredinne Pacha: riforma dell’educazione e progetto di costituzione. Sebbene la parte politica di questa riforma sia abortita, quella legata all’educazione ha costituito il primo passo di un processo che sarebbe proseguito dopo l’indipendenza sia ad opera del regime di Bourguiba che da quello di Ben Ali. Nel 2010 il tasso di alfabetizzazione tunisino è stato tra i più elevati del mondo arabo: 94,3% tra la popolazione dai 15 ai 24 anni. Questo fattore spiega l’elevato livello di coscienza politica della gioventù, il carattere determinato e pacifico della rivolta, la sua organizzazione e il carattere decentrato, facilitato dall’uso delle reti sociali di internet.
All’esito di un processo di indipendenza, governato e molto meno violento che in Algeria, la Tunisia ha visto emergere una classe media urbana, istruita e moderata. Contrariamente a quanto è accaduto in Marocco durante gli anni ’70 e ’80, essa è stata risparmiata dalle tentazioni “rivoluzionarie”, come anche dalle massicce incursioni dei gruppi religiosi come in Algeria durante gli anni 1990. Questo dinamismo della società tunisina si scontrava con lo spazio di libertà accordato da Ben Ali, che era incontestabilmente il più ristretto della regione, laddove il Marocco, l’Algeria e l’Egitto lasciano un margine di libertà ai cittadini, che permette loro di canalizzare la contestazione.
Per altro verso, la situazione tunisina nella quale l’esercito ha giocato un ruolo determinante nella caduta del regime di Ben Ali non sembra esportabile negli altri paesi della regione. In effetti puntando esclusivamente sulla polizia, questo regime aveva deliberatamente scelto di ridimensionare il ruolo dell’esercito, cosa che si è rivelata fatale per esso. In Algeria per esempio l’esercito, a causa degli introiti petroliferi, sarebbe molto più motivato a bloccare ogni cambiamento politico che rischiasse di nuocere ai propri interessi. In questo quadro, l’assenza di ricchezze naturali in Tunisia potrebbe indirettamente spiegare la sorprendente rapidità con la quale Ben Ali ha lasciato il potere.


Il mondo arabo non è l’Europa dell’Est
La situazione dei paesi arabi attualmente non presenta somiglianze con quella dei paesi dell’Europa dell’Est prima della caduta del blocco comunista. Prima di tutto, il mondo arabo non è affatto un blocco globalmente omogeneo come quello dei paesi satelliti dell’ex-Unione Sovietica. Questi ultimi condividevano la stessa struttura politico-economica: partito unico ed economia pianificata. Nel mondo arabo la situazione è fondamentalmente differente, perché ogni paese ha la sua specificità. Vi sono monarchie e repubbliche, regimi che tollerano un certo livello di pluralismo e altri a partito unico, economie pianificate ed economie aperte e infine, fatto importante che era assente nell’Europa dell’Est, l’esistenza di ricchezze naturali che motivano fortemente le dittature al potere a bloccare ogni cambiamento istituzionale.
Poi le dittature dell’est erano teleguidate da un oppressore centrale che si trovava a Mosca. E c’è l’indebolimento del regime sovietico e la sua incapacità a sostenere in modo effettivo le dittature, ciò che ha molto facilitato i movimenti di liberazione politica, soprattutto nella Germania dell’est. Questi paesi erano parte di un grande impero: la loro caduta è avvenuta quando si è toccato il cuore di questo impero. Ora, nel caso del mondo arabo, questo cuore non esiste. Ogni regime ha i suoi propri interessi, la sua propria strategia e le sue proprie alleanze internazionali.
D’altro canto il sostegno dei paesi occidentali è stato determinante nella caduta dei regimi dell’Europa dell’Est. E non è questa la situazione del mondo arabo: lo status quo è largamente sostenuto dalle democrazie occidentali, come è stato ben dimostrato dalle reazioni francesi fino alla vigilia della caduta di Ben Ali.    Cosi il blocco politico si può spiegare anche con l’obiettivo di questi democratici di mantenere nei paesi arabi uno status quo politico che costituirebbe per prima cosa un “bastione” contro l’islamismo radicale e, in secondo luogo, nel caso di certi paesi come l’Algeria, garantirebbe la continuità dell’accesso occidentale alle risorse naturali.


Delle ragioni per essere ottimista
Infine, perché vi sia una speranza di effetto domino, occorre che la rivolta tunisina produca un reale cambiamento politico, cosa che non è ancora certa. Un eventuale fallimento della transizione democratica in Tunisia, soprattutto se accompagnata da instabilità politica, renderebbe il costo di questo “tentativo” troppo elevato agli occhi degli altri popoli della regione.
Tuttavia la rivolta del popolo tunisino e la sua aspirazione alla democrazia hanno rimesso in gioco la tesi di una eccezione autoritaria araba: in nome di un relativismo culturale, la struttura della società araba sarebbe stata incompatibile coi valori della democrazia e più adatta ad una forma dittatoriale di governo. Il caso tunisino ha provato che non c’è fatalismo autoritario arabo, ma che c’è un insieme di fattori che spiegano il blocco politico. Se è difficile immaginare nell’immediato una caduta dei regimi dittatoriali nel mondo arabo, non è escluso a breve, quando si dovessero verificare certe condizioni, che emergano dei cambiamenti politici profondi nella regione, a seguito di evoluzioni progressive o rivoluzioni brutali.