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 Analisi, febbraio 2010 - Economista franco-egiziano, componente del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale e presidente del Forum Mondiale delle Alternative, Samir Amin analizza la posta politica ed economica della crisi che attraversa l’Egitto. L’intervista è stata realizzata a Dakar durante il Forum Sociale Mondiale da Rosa Moussaoui, giornalista, inviata speciale de l’Humanité (Nella foto, Samir Amin) 









Le Grand Soir – 14 febbraio 2011

Samir Amin sulla rivoluzione egiziana

Economista franco-egiziano, componente del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale e presidente del Forum Mondiale delle Alternative, Samir Amin analizza la posta politica ed economica della crisi che attraversa l’Egitto. L’intervista è stata realizzata a Dakar durante il Forum Sociale Mondiale da Rosa Moussaoui, giornalista, inviata speciale de l’Humanité

Domanda: I fatti di Tunisia ed Egitto sono semplici “rivolte popolari” o segnalano l’avvio di processi rivoluzionari?
Samir Amin: Si tratta di rivolte sociali potenzialmente creatrici di alternative che possono a lungo termine iscriversi in una prospettiva socialista. E’ la ragione per la quale il sistema capitalista, il capitale dei monopoli dominante su scala mondiale, non può tollerare lo sviluppo di questi movimenti. Metterà in campo tutti i mezzi di destabilizzazione possibili, pressioni economiche e finanziarie, fino alla minaccia militare. Sosterrà, a seconda delle circostanze, sia le false alternative fasciste o fascistoidi, sia la costituzione di dittature militari. Non bisogna credere a una sola parola di Obama. Obama è Bush, ma con un linguaggio diverso. C’è una duplicità permanente. Infatti, nel caso dell’Egitto, gli USA sostengono il regime. Potranno finire col ritenere più utile il sacrificio della persona di Mubarak. Ma non rinunceranno mai a  tutelare l’essenziale: il sistema militare e poliziesco. Possono prendere in considerazione di rinforzare questo sistema militare e poliziesco attraverso un’alleanza con i Fratelli Mussulmani. Infatti i dirigenti degli Stati Uniti hanno in mente il modello pachistano, che non è un modello democratico ma una combinazione tra un potere detto islamico e una dittatura militare. Tuttavia nel caso dell’Egitto una buona parte delle forze popolari che si sono mobilitate sono perfettamente coscienti di questi obiettivi. Il popolo egiziano è molto politicizzato. La storia dell’Egitto è quella di un paese che tenta di emerge dall’inizio del XIX secolo, che è stato sconfitto dalle sue proprie insufficienze, ma soprattutto da ripetute aggressioni esterne.


Domanda:
Queste ribellioni sono solo un fatto di giovani precari, di diplomati disoccupati? Come li spiega lei?
Samir Amin: L’Egitto di Nasser disponeva di un sistema economico e sociale criticabile ma coerente. Nasser ha fatto la scommessa dell’industrializzazione per sfuggire alla divisione internazionale e colonialista del lavoro, che confinava il paese nel ruolo di semplice esportatore di cotone. Questo sistema è stato capace di assicurare una buona distribuzione dei redditi in favore delle classi medie, ma senza impoverire quelle popolari. E’ un sistema andato in crisi dopo le aggressioni militari del 1956 e 1967 da parte di Israele. Sadat e ancor più Mubarak hanno avviato lo smantellamento del sistema produttivo egiziano, e ad esso hanno sostituito un sistema totalmente incoerente, fondato esclusivamente sulla ricerca di rendita. Il tasso di crescita egiziano, considerato elevato per tanti anni nella propaganda della Banca Mondiale, non ha in realtà alcuna rilevanza. E’ polvere negli occhi. La crescita egiziana è molto vulnerabile, dipendente dal mercato estero e dal flusso di capitali petroliferi che vengono dai paesi del Golfo. Con la crisi del sistema mondiale, questa vulnerabilità si è manifestata con un brutale affanno. Questa crescita si era accompagnata ad un incredibile aumento delle diseguaglianze e della disoccupazione, che colpisce una maggioranza di giovani. Questa situazione era esplosiva, ed è esplosa. Quella che ormai è cominciata, al di là delle rivendicazioni iniziali di dimissioni del regime e di instaurazione delle libertà democratiche, è una vera lotta politica.


Domanda: Perché i Fratelli Mussulmani tentano adesso di presentarsi come “moderati”?
Samir Amin: Perché si chiede loro di stare a questo gioco. I Fratelli mussulmani non sono mai stati dei moderati. Non sono un movimento religioso, ma un movimento politico che utilizza la religione. Fin dalla sua fondazione nel 1920 da parte degli inglesi e della monarchia, questo movimento ha svolto un attivo ruolo anticomunista, antiprogressista, antidemocratico. E’ la ragion d’essere dei Fratelli mussulmani e lo rivendicano. Lo affermano apertamente: se vincono un’elezione, sarà l’ultima, perché il regime elettorale sarebbe un regime occidentale importato, contrario alla natura islamica. E non hanno assolutamente cambiato niente su questo piano. In realtà l’islam politico è sempre stato sostenuto dagli Stati Uniti. Hanno presentato i talebani nella guerra contro l’Unione Sovietica come eroi della libertà. Quando i talebani hanno chiuso le scuole per ragazze aperte dai comunisti, si sono trovati dei movimenti femministi negli Stati Uniti per spiegare che bisognava rispettare le “Tradizioni” del paese. Si tratta di un doppio gioco. Da un lato, il sostegno. Dall’altro la strumentalizzazione degli eccessi naturali dei fondamentalismi per alimentare il rifiuto degli immigrati e giustificare le aggressioni militari. Conformemente a questa strategia, il regime di Mubarak non ha mai lottato contro l’islam politico. Al contrario, l’ha integrato in un sistema.


Domanda: Mubarak ha sottratto la società egiziana ai Fratelli mussulmani?
Samir Amin: Assolutamente no. Ha anzi affidato loro tre istituzioni fondamentali: la giustizia, l’educazione e la televisione. Ma il regime militare vuole mantenere a sé la direzione, rivendicata dai Fratelli mussulmani. Gli Stati Uniti utilizzano questo conflitto minore all’interno dell’alleanza tra militari e islamisti per assicurarsi la docilità degli uni e degli altri. L’importante è che tutti accettino il capitalismo così come è. I Fratelli mussulmani non hanno mai tentato di cambiare seriamente le cose. D’altronde durante i grandi scioperi operai del 2007-2008 i loro parlamentari hanno votato col governo contro gli scioperanti. Di fronte alle lotte dei contadini espulsi dalle loro terre dai grandi proprietari terrieri, i Fratelli mussulmani hanno preso posizione contro il movimento contadino. Per loro la proprietà privata, la libera impresa e il profitto sono sacri.


Domanda:
Quali sono i loro obiettivi per quanto riguarda il Medio Oriente?
Samir Amin: Sono tutti docilissimi. I militari, come i Fratelli mussulmani, accettano l’egemonia degli Stati Uniti nella regione e la pace con Israele così come è. Gli uni e gli altri continueranno a dare prova di quella compiacenza che permette a Israele di continuare la colonizzazione di ciò che resta della Palestina.