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Fsm2013.org, ottobre 2012 (trad. ossin)



Documento redatto da Samir Amin per il Social Forum Mondiale 2013
Capitalismo liberale, capitalismo di connivenza e lumpen-sviluppo. Quali risposte immediate?


Il caso dell’Egitto


A.
 Capitalismo liberale o capitalismo di connivenze?

Il capitalismo liberale (o neo liberale) che ci viene proposto e imposto come se fosse senza alternative si fonda su sette principi che si ritiene siano applicabili a tutte le società del pianeta mondializzato

1. L’economia deve essere governata da imprese private, perché solo esse si comportano istintivamente come attori attenti alle esigenze della competizione trasparente, tutto sommato conveniente per la società, alla quale si assicura crescita economica fondata sulla razionale attribuzione delle risorse e la giusta retribuzione di tutti i fattori della produzione – capitale, lavoro e risorse naturali. Di conseguenza, se sopravvivono beni di proprietà dello Stato, sfortunata eredità del “socialismo” (imprese produttive, istituzioni finanziarie, terreni urbani o terre agricole), essi devono essere privatizzati.

2. Il mercato del lavoro deve essere liberalizzato, le autoritarie “fissazioni” di un salario minimo (e a maggior ragione di una scala mobile di adeguamento automatico) devono essere soppresse. Il diritto del lavoro deve essere ridotto alle regole minime che garantiscono una moralità dei rapporti umani tra padrone e lavoratore; i diritti sindacali limitati e rinchiusi in tale ambito esclusivo. Deve accettarsi la gerarchia dei salari che deriva dalle negoziazioni individuali e libere tra padroni e lavoratori, così come la divisione del reddito nazionale netto tra i redditi da lavoro e quelli del capitale che ne conseguono.

3.
  I servizi cosiddetti sociali – la scuola, la sanità, addirittura la fornitura di acqua e di elettricità, la casa, i trasporti e le comunicazioni – che sono stati nel passato assicurati da strutture pubbliche (Stato ed Enti locali) devono essere anch’essi per quanto possibile privatizzati; il loro costo deve essere sopportato dagli utenti e non coperto dalle imposte.

4.
 Il prelievo fiscale deve essere ridotto al minimo necessario per finanziare le sole funzioni sovrane (soprattutto ordine pubblico e difesa nazionale); le aliquote impositive devono restare relativamente moderate per non scoraggiare l’iniziativa privata e per garantire che quest’ultima sia remunerativa.

5.
 La gestione del credito deve essere privata, in modo che il libero incontro tra offerta e domanda di credito si formi in un mercato monetario e finanziario razionale.

6.
 I bilanci pubblici devono essere in equilibrio e senza altri deficit che non siano occasionali e congiunturali. Se un paese soffre di un deficit strutturale ereditato da un passato che non si voglia rinnegare, il suo governo deve impegnarsi nel varo di riforme che lo riducano il più rapidamente possibile. Nell’attesa il deficit dovrà essere coperto solo ricorrendo a prestiti sul mercato finanziario privato, nazionale o estero.

7.
 I sei principi considerati devono essere applicati, non solo al livello di tutte le nazioni del pianeta mondializzato, ma anche nelle relazioni internazionali, regionali (per l’Unione Europea ad esempio) o globali. Il capitale straniero privato deve avere libera circolazione e deve godere di un trattamento uguale a quello del capitale privato locale.


Siffatti principi costituiscono nel loro insieme il “fondamentalismo liberale”. Ricordo qui l’inconsistenza delle ipotesi di partenza e la non conformità dello schema con la realtà. Molto sinteticamente dirò che la prova logica che il libero gioco dei mercati generalizzati, anche nella stravagante (e irreale) ipotesi dell’esistenza di una competizione che si possa definire trasparente, produca un equilibrio tra offerta e domanda (e per di più socialmente ottimale), non è mai stata fornita. Al contrario il ragionamento logico porta alla conclusione che il sistema si muove di squilibrio in squilibrio, senza mai tendere all’equilibrio. Siffatti squilibri successivi si producono perché questa teoria (elaborata dalla pseudo scienza economica convenzionale) esclude dal suo campo di analisi: il conflitto degli interessi sociali e nazionali. Peraltro queste ipotesi descrivono un mondo immaginario che non ha niente a che vedere con quello che è il sistema contemporaneo realmente esistente, che è quello di un capitalismo di monopoli generalizzati, finanziari e mondializzati. Questo sistema non è vitale e la sua implosione in corso lo dimostra. Rinvio qui ai miei lavori su questa critica radicale del sistema in questione e della teoria economica.


Realizzati su scala mondiale, i principi del liberalismo non producono altro, nelle periferie del “Sud” che accettano di sottomettervisi, che un capitalismo di connivenze (crony capitalism) articolato su uno Stato compradore, in opposizione allo Stato nazionale impegnato su un progetto di sviluppo economico e sociale vitale. Questo capitalismo di connivenze (e non ve n’è un altro possibile) produce dunque non lo sviluppo, ma un lumpen-sviluppo. L’esempio dell’Egitto, di cui sotto, ne fornisce un bell’esempio.


B. Capitalismo di connivenze, Stato compradore e lumpen-sviluppo: il caso dell’Egitto (1970-2012)


I governi egiziani che si sono succeduti dalla presidenza Sadat (1970) ad oggi hanno applicato con assiduità tutti i principi proposti dal fondamentalismo liberale. Ciò che ne è venuto fuori è stato oggetto di analisi precise e serie, le cui indiscutibili conclusioni sono le seguenti:


1. Il progetto nasseriano di costruzione di uno Stato nazionale orientato allo sviluppo aveva prodotto un capitalismo di Stato che Sadat si è impegnato a smantellare, come egli stesso ha dichiarato ai suoi interlocutori statunitensi (“Voglio mandare al diavolo il nasserismo, il socialismo e tutte queste stupidaggini ed ho bisogno del vostro aiuto per riuscirci”; aiuto che gli è stato fornito generosamente). I beni di proprietà pubblica – le imprese industriali, finanziarie e commerciali di Stato, i terreni agricoli e urbani, addirittura le terre desertiche – sono stati “venduti”.

A chi? A uomini di affari di connivenza vicini al governo: ufficiali, alti funzionari, ricchi commercianti rientrati dal loro esilio nei paesi del Golfo con le loro fortune (spesso aiuti politici e finanziari dei Fratelli Mussulmani).  Ma anche ad “Arabi” del Golfo e a società straniere statunitensi ed europee. A che prezzo? A prezzi derisori, smisuratamente inferiori al valore dei beni venduti.

E’ in questo modo che si è formata la nuova classe “proprietaria” egiziana e straniera che merita pienamente la definizione di capitalista di connivenza (rasmalia al mahassib, espressione egiziana che la designa, da tutti compresa).
Qualche sottolineatura.


a. La proprietà concessa all’esercito ha trasformato il carattere delle responsabilità che questo già esercitava su taluni segmenti del sistema produttivo (“Le fabbriche dell’esercito”), nella qualità di istituzione dello Stato. Questi poteri di gestione sono diventati quelli dei proprietari privati. Inoltre nella corsa alle privatizzazioni gli ufficiali più potenti hanno anche “acquistato” la proprietà di molti altri beni dello Stato: soprattutto catene commerciali, terreni urbani e periurbani e insediamenti immobiliari.

b. L’opinione pubblica egiziana considera tutte queste pratiche come “corruzione” (fasad), stigmatizzandole sul piano morale, ipotizzando così che una giustizia degna di questo nome potrebbe combatterle con successo. Anche una buona parte della sinistra ha voluto distinguere tra questo capitalismo “corrotto” condannabile e un capitalismo produttivo accettabile e auspicabile. Solo una piccola minoranza capisce che, nello stesso momento in cui i principi del “liberalismo” vengono accettati come il fondamento di qualsiasi politica sedicente “realista”, il capitalismo nelle periferie del sistema non può essere altro da questo. Non esistono borghesie che si costituiscono da se stesse, per propria iniziativa come vuole farci credere la Banca mondiale. Vi è l’azione di uno Stato compradore all’origine di tutte queste fortune colossali.

c. Le fortune in questione, egiziane e straniere, sono state costituite con l’acquisizione di attività già esistenti, senza aggiunte se non di poco conto alle capacità produttive. Le “entrate di capitali stranieri” (arabi o altri), tutto sommato modeste, si inseriscono in questo quadro. L’operazione si è dunque conclusa con la nascita di gruppi monopolistici privati che dominano oramai l’economia egiziana. Si è lontani dalla concorrenza sana e trasparente del discorso liberale. D’altronde la maggior parte di queste fortune colossali è costituita da beni immobiliari: villaggi di vacanze (“marinas”) sulle coste del Mediterraneo e del mar Rosso, nuovi quartieri recintati da mura, sorvegliati (alla moda latino-americana – fino ad allora sconosciuta in Egitto), terreni desertici in teoria destinati a valorizzazione agricola. Questi terreni sono tenuti dai loro proprietari che speculano sulla loro rivendita dopo che lo Stato avrà assicurato i costi vertiginosi delle infrastrutture che li valorizzano (e questi costi non sono stati naturalmente presi in considerazione nel prezzo di cessione dei terreni)


2. Le posizioni monopolistiche di questi nuovi capitalismi di connivenza sono state rafforzate dall’accesso quasi
esclusivo di questi nuovi miliardari al credito bancario (soprattutto per l’acquisto dei beni in questione), a detrimento del credito ai piccoli e medi produttori.

3.
 Tali posizioni monopolistiche sono state rafforzate anche da colossali sovvenzioni dello Stato, concessi per esempio per il consumo di petrolio, di gas naturale e di elettricità dalle fabbriche comprate allo Stato (cementifici, metallurgia del ferro e dell’alluminio, tessile e altro). Ebbene la “libertà dei mercati” ha consentito a queste imprese di alzare i prezzi per adeguarli a quelli di eventuali importazioni concorrenti. La logica della pubblica sovvenzione che era una contropartita ai prezzi inferiori praticati dal settore statale si è rotta a beneficio di super profitti dei monopoli privati.

4.
 I salari reali, per la grande maggioranza dei lavoratori non qualificati e delle qualificazioni medie, si sono ridotti per effetto delle leggi del mercato del lavoro libero e la feroce repressione dell’azione collettiva e sindacale. Essi sono oramai scesi a livelli molto inferiori a quelli di altri paesi del Sud a parità di PIL. Super profitti dei monopoli e impoverimento vanno di pari passo e si traducono in un aggravamento continuo delle diseguaglianze nella ripartizione dei redditi.

5.
 La diseguaglianza è stata rafforzata da un sistema fiscale che ha ripudiato il principio stesso dell’imposta progressiva. Questa fiscalità leggera per i ricchi e le società, elogiata dalla Banca mondiale per le sue pretese virtù di sostegno agli investimenti, ha prodotto solo una crescita dei super profitti.

6.
 Tutte queste politiche realizzate dallo Stato compradore al servizio del capitalismo di connivenze producono solo una debole crescita (inferiore al 3%) e pertanto un continuo aumento della disoccupazione. Quando il tasso di occupazione è un po' migliorato, ciò è stato dovuto integralmente all’espansione delle industrie estrattive (petrolio e gas), a una migliore congiuntura al riguardo dei loro prezzi, all’aumento delle entrate del Canale di Suez, del turismo e delle rimesse dei lavoratori emigrati.

7.
 Queste politiche hanno anche reso impossibile la riduzione del deficit pubblico e di quello della bilancia estera commerciale. Hanno portato con sé una continua riduzione del valore della lira egiziana e imposto un indebitamento interno ed estero crescente. E quest’ultimo ha dato occasione al FMI per imporre sempre di più il rispetto dei principi del liberalismo.


C. Le risposte immediate


Queste risposte non sono frutto del lavoro dell’autore di queste righe, che le ha solo raccolte dai rappresentanti delle varie componenti del movimento – partiti di sinistra e del centro democratico nazionale, sindacati, organizzazioni diverse di giovani e di donne, ecc. Un lavoro considerevole e di qualità, svolto per più di un anno da questi militanti responsabili della formulazione di un programma comune che risponda alle esigenze immediate. Essa è stata peraltro già oggetto di pubblicazione da parte, tra gli altri, del nostro collega Ahmad El Naggar. Ne ricordo i punti salienti che sono i seguenti:


1. Le operazioni di cessione dei beni pubblici devono essere oggetto di sistematiche verifiche. Studi precisi – equivalenti ad affidabili audit – sono d’altronde già disponibili per molte di queste operazioni e dei prezzi corrispondenti al valore preciso di questi beni. Giacché gli “acquirenti” di tali beni non hanno pagato questi prezzi, la proprietà dei beni acquistati dovrà essere trasferita per legge, a seguito di audit disposti dall’autorità giudiziaria, a società anonime delle quali lo Stato sarà azionario per una quota corrispondente alla differenza tra il valore reale del bene e quello pagato dagli acquirenti. Il principio deve essere applicabile a tutti, sia che gli acquirenti siano egiziani, arabi o stranieri.

2. 
La legge deve fissare un salario minimo, dell’ammontare di 1.200 Lire Egiziane al mese (vale a dire 155 euro al tasso di cambio corrente, l’equivalente in potere di acquisto di 400 euro). Questo salario è inferiore a quello corrente in molti paesi il cui PIL pro capite è paragonabile a quello dell’Egitto. Dovrà istituirsi una scala mobile il controllo sulla cui operatività dovrà essere affidato ai sindacati. Dovrà applicarsi a tutte le attività del settore pubblico e privato.

Giacché, approfittando della libertà dei prezzi, i settori privati che dominano l’economia egiziana hanno già scelto di elevare i loro prezzi al livello di quelli delle importazioni concorrenti, la misura può essere posta in essere e non produrrà altro effetto se non quello di ridurre i margini di profitto dei monopoli. Questo riaggiustamento non minaccia l’equilibrio dei conti pubblici, tenuto conto delle economie e della nuova legislazione fiscale di cui si parlerà più avanti.

Le proposte avanzate dai movimenti saranno rafforzate dall’adozione anche di un salario massimo: 15 volte il salario minimo.


3. 
I diritti dei lavoratori – assunzione e licenziamento, condizioni di lavoro, assicurazioni malattie/disoccupazione/pensione – dovranno essere oggetto di una grande consultazione tripartita (sindacati, datori di lavoro, Stato). I sindacati indipendenti formatisi nel corso delle lotte degli ultimi dieci anni devono essere riconosciuti, come anche il diritto di sciopero (sempre “illegale” nella legislazione vigente).

Una indennità “di sopravvivenza” deve essere prevista per i disoccupati, il cui ammontare, le condizioni di accesso e il finanziamento dovranno essere oggetto di un negoziato tra sindacati e Stato.


4. 
Le sovvenzioni colossali fissate in bilancio per i monopoli privati devono essere soppresse, anche su questo punto gli studi precisi effettuati in questo campo dimostrano che la loro abolizione non pregiudica la redditività delle imprese, ma solo riduce le loro rendite monopolistiche

5. 
Deve essere varata una nuova legislazione fiscale, fondata su aliquote progressive per le persone fisiche e l’aumento al 25% dell’aliquota degli utili delle imprese con più di 20 dipendenti. Gli esoneri di imposta concessi con estrema larghezza ai monopoli arabi e stranieri devono essere soppressi. La tassazione delle piccole e medie imprese, attualmente spesso più pesante (!), deve essere abbassata. L’aliquota proposta per i livelli più alti dei redditi delle persone fisiche – 35% - resta d’altronde leggera se si confronti a quella di altri paesi.

6. 
E’ stato fatto un calcolo preciso che dimostra che le misure proposte ai punti 4 e 5 consentono, non solo di eliminare il deficit attuale (2009 – 2010), ma anche di ottenere un attivo. Questo sarà destinato all’aumento della spesa pubblica in educazione, salute, contributi per gli alloggi popolari. La ricostituzione di un settore sociale pubblico in questi settori non impone l’adozione di misure discriminatorie nei confronti delle attività private dello stesso tipo.

7. 
Il credito deve essere ricollocato sotto il controllo della Banca centrale. Le agevolazioni stravaganti concesse ai monopoli devono essere soppresse a beneficio dell’espansione dei crediti alle imprese attive di piccole dimensioni o a quelle che possono essere create con sicure prospettive. Sono stati effettuati studi precisi in tutti i settori interessati e tutte queste attività artigianali, industriali, di trasporto e di servizi.  Si è dimostrato che vi sono persone disposte a prendere iniziative per la creazione di nuove attività (soprattutto tra i diplomati disoccupati).

8. 
I programmi proposti dai componenti del movimento restano meno precisi per ciò che concerne la questione contadina. La ragione sta nel fatto che il movimento di resistenza dei piccoli contadini agli espropri accelerati in corso dopo che sono state adottate le politiche di “modernizzazione” della Banca mondiale, per quanto esploso, non riesce mai ad andare oltre il villaggio interessato – soprattutto a causa delle feroce repressione cui è sottoposto e il non riconoscimento della sua legittimità.


Le rivendicazioni attuali del movimento – soprattutto urbane, bisogna riconoscerlo – riguardano soprattutto l’adozione di leggi che rendano più difficile l’allontanamento dei contadini che non sono in grado di pagare gli affitti e l’espropriazione dei piccoli proprietari indebitati. In particolare si raccomanda di tornare ad una legislazione che fissi dei tetti legali agli affitti agricoli (sono stati liberalizzati dalle successive leggi di revisione della riforma agraria).


Ma bisognerebbe fare di più. Alcune organizzazioni progressiste di agronomi hanno prodotto dei progetti concreti e argomentati destinati ad assicurare la crescita dei piccoli contadini. Migliorie nei metodi di irrigazione (goccia a goccia, ecc.), scelta di culture ricche e intensive (legumi e frutta), liberalizzazione a monte, sotto il controllo dello Stato, delle forniture di imput e di crediti, liberalizzazione a valle, con la creazione di cooperative di commercializzazione dei prodotti, associate a cooperative di consumatori. Ma resta da realizzare una intensa comunicazione tra queste organizzazioni di agronomi e i piccoli contadini interessati. La legalizzazione delle organizzazione di fatto dei contadini, la loro federazione al livello provinciale e nazionale, dovrebbe facilitare l’evoluzione in questo senso.


9. Il programma di azione immediata ripreso nei paragrafi precedenti innescherebbe certamente la ripresa di una crescita economica sana e vitale. L’argomento avanzato dai suoi detrattori liberali – che abbatterebbe ogni speranza di nuove entrate di capitali di origine straniera – non regge. L’esperienza dell’Egitto e degli altri paesi, soprattutto Africani, che hanno accettato di sottomettersi integralmente alle prescrizioni del liberalismo ed hanno rinunciato ad elaborare da se stessi un progetto di sviluppo autonomo, non “attirano” per nulla i capitali esteri, nonostante la loro apertura incontrollata (e precisamente a causa di questa). I capitali esteri si limitano allora a realizzare delle operazioni di razzia sulle risorse dei paesi interessati, sostenute dallo Stato compradore e dal capitalismo di connivenze. Al contrario i paesi emergenti che mettono a punto attivamente dei progetti nazionali di sviluppo offrono reali occasioni agli investimenti esteri che accettano allora di inserirsi in questi progetti nazionali, come accettano i vincoli che sono loro imposti dallo Stato nazionale e l’adeguamento dei loro profitti a livelli ragionevoli.


10.
 L’attuale governo egiziano, composto solo da Fratelli Mussulmani scelti dal presidente Morsi, ha immediatamente proclamato la sua incondizionata adesione a tutti i principi del liberalismo, preso delle misure per accelerarne la messa in opera, e messo in campo per questo fine tutti i mezzi di repressione ereditati dal regime caduto. Lo Stato compradore e il capitalismo di connivenze continuano! La consapevolezza popolare che non vi sono cambiamenti in vista cresce, come dimostrato dal successo delle manifestazioni popolari del 12 e del 19 ottobre. Il movimento continua! Come si dice in tutte le piazze dell’Egitto: la rivoluzione non ha cambiato il regime, ma il popolo è cambiato.


11.
 Il programma delle rivendicazioni immediate di cui ho qui tracciato le linee essenziali riguarda solo l’aspetto economico e sociale della sfida. Beninteso il movimento discute anche dell’aspetto politico: il progetto di costituzione, i diritti democratici e sociali, la necessaria affermazione dello “Stato dei cittadini” (dawla al muwatana), in contrasto con il progetto di teocrazia di Stato (dawla al gamaa al islamiya) dei Fratelli Mussulmani. Queste questioni non sono state qui affrontate.


(documento redatto da Samir Amin nell’ottobre 2012)