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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), marzo 2020 (trad. ossin)
 
L'accordo del 29 febbraio tra USA e Talebani è molto fragile
Alain Rodier
 
 
Gli Stati Uniti, rappresentati dall’ex ambasciatore USA – di origine afghana - Zalmay Khalizad, bene istruito dal segretario di Stato Mike Pompeo, hanno firmato col mullah Abdul Ghani Baradar – numero due dei Talebani -, sabato 29 febbraio, un accordo a Doha (Qatar), alla presenza di osservatori afghani, pakistani e indiani. La firma è stata accompagnata dalle grida di “Allahu akbar” lanciate dalla delegazione talebana, ciò che dimostra che essi ritengono – anche se non hanno ancora vinto la guerra – che la prima potenza mondiale l’abbia perduta. Haibatullah Akhundzada, l’emiro dei talebani afghani, non ha esitato a proclamare la «vittoria a nome di tutta la nazione musulmana e dei mujaheddin».
 
L'inviato USA Zalmay Khalizad e il Mullah Abdul Ghani Baradar, siglano a Doha l'accordo in Afghanistan tra gli Stati Uniti e i talebani (immagine da youtube)
 
Questa cerimonia è stata preceduta da una settimana di “riduzione della violenza” – e non da un cessate il fuoco -, che è stata comunque nel complesso rispettata [1]. Ma, già dal 1° marzo, i capi locali talebani hanno ricevuto dalla shura (organo di comando) l’istruzione di riprendere le operazioni antigovernative.
 
Un accordo di portata limitata
 
I negoziati discreti, avviati nel 2018 sotto l’egida del Qatar, hanno portato alla firma di questo accordo che, ripetiamo, non è un “accordo di pace” ma solo un “accordo” tra Statunitensi e Talebani. Il presidente Donald Trump vuole assolutamente mantenere la promessa di riportare i ragazzi a casa prima delle presidenziali del prossimo novembre. Vi sono attualmente 12 000 militari statunitensi in Afghanistan, 5 000 dei quali devono lasciare il paese alla fine di maggio prossimo. Un primo contingente dovrebbe simbolicamente partire in questi giorni. Alla fine dei conti, non dovrebbe restare nemmeno “un solo scarpone USA sul terreno” alla fine di Maggio 2021.
 
In cambio, i Talebani si sono impegnati – a nome loro e anche di altri gruppi presenti in Afghanistan – a non attaccare gli interessi statunitensi (ricordando gli avvenimenti dell’11 settembre 2001) e a combattere contro Daesh e Al Qaeda, Su quest’ultimo punto, sembra che Washington si inganni sul contenuto delle dichiarazioni dei Talebani, che non hanno alcuna intenzione di combattere contro Al Qaeda il cui capo, Al-Zawahiri, ha giurato fedeltà ad Haibatullah Akhundzada, come Osama bin Laden aveva fatto nei confronti del predecessore, il mullah Omar. 
 
Per Washington, questo accordo è parte di un processo molto più ampio che è una “opportunità offerta” per portare al tavolo dei negoziati – certamente a partire dal 10 marzo – Talebani, il governo di Kabul – il presidente Ashraf Ghani – e tutti i responsabili politici, compreso Abdullah Abddullah che è in conflitto aperto con Ghani. 
 
In tal modo gli Statunitensi intendono disimpegnarsi gradualmente dalla più lunga guerra della loro storia, che ha visto 2 448 soldati uccisi [2]. Hanno ottenuto dai Talebani la promessa che non faranno nulla che possa nuocere gli interessi USA, come era stato quando ospitavano Osama bin Laden. Ma tutto resta ancora da fare nella riorganizzazione dell’Afghanistan, e gli attori nazionali – e i paesi vicini – hanno interessi divergenti. Per ottenere questo primo risultato, tutte le parti avrebbero fatto importanti sforzi per giungere ad un compromesso. Alcuni analisti però sostengono che si tratti per lo più di “grandi menzogne” che non riescono a ingannare nessuno, se non la stampa internazionale.
 
Il doppio gioco dei Talebani 
 
I Talebani fanno un doppio discorso. Uno è per l’estero, affermando che essi accettano di parlare col governo di Kabul quando tutti i soldati stranieri avranno lasciato il suolo afghano; l’altro è rivolto alle loro truppe e fa appello alla vittoria militare. C’è da scommettere che sia questa seconda versione a interpretare le vere intenzioni dei Talebani e che il loro obiettivo finale resti sempre lo stesso.
 
Il presidente afghano Ghani, rimasto a Kabul, ha avuto bisogno delle rassicurazioni del segretario alla Difesa statunitense Mark T. Esper, recatosi appositamente da lui per rassicurarlo del fatto che l’esercito USA continuerà ad aiutare i partner afghani e che, se i Talebani non mantenessero la parola data, «gli Stati Uniti non esiteranno ad annullare l’accordo». Nessuno sa se Ghani abbia prestato credito a questa promessa o pensi piuttosto alla sorte del presidente Najibullah, abbandonato dai Sovietici nel 1989, poi assassinato dai Talebani quando conquistarono Kabul nel 1996.
 
Il primo “contrattempo” è venuto da Ghani quando ha dichiarato di non considerare accettabile, prima dell’avvio di negoziati coi Talebani, la liberazione di 5 000 prigionieri – in cambio della liberazione di 1 000 detenuti dai Talebani. E che la questione avrebbe potuto essere discussa nel corso dei negoziati. I Talebani hanno immediatamente reagito, denunciando che l’accordo firmato non veniva rispettato da Kabul…  Il secondo strappo all’accordo sta nel fatto che Sirajuddin Haqqani, il capo militare dei Talebani afghani, non ha rinunciato alla sua vicinanza con Al Qaeda. Da ricordare che i principali leader della “nebulosa” riconoscono Akhundzada e Haqqani come loro “emiri”. Fin dagli anni 1980, Jalaluddin Haqqani, il padre di Sirajuddin, era uno dei più solidi sostenitori e benefattori di bin Laden. Si trattava di quella che veniva chiamata la “rete Haqqani”.
 
Il terzo problema è intervenuto il 4 maro, quando gli Statunitensi hanno effettuato un attacco aria-suolo – con un drone – nella provincia di Helmand, contro elementi talebani che attaccavano una posizione afghana [3]. Questo attacco definito “difensivo” non promette niente di buono per il futuro. 
 
I gruppi islamici più o meno legati ad Al Qaeda non hanno dubbi. Così la katiba uzbeka Imam al Boukhari, attiva in Siria e in Afghanistan, si è «felicitata» coi Talebani per la «vittoria riportata contro le forze statunitensi e della NATO», ricordando una citazione del mullah Omar: «Dio ci ha promesso la vittoria e gli USA ci hanno promesso la sconfitta; vediamo quale promessa sarà mantenuta». Questa unità uzbeka è vicina al Movimento islamico dell’Uzbekistan (MIU), al Partito islamico del Turkmenistan (PIT) ed a Jaamat Ansarulla, tutti e tre facenti parte del movimento talebano.  
 
 
Note:
 
[1] 19 elementi delle forze di sicurezza e quattro civili uccisi, cosa che non è una gran cosa in Afghanistan.
 
[2] Su un totale di 3 592 Occidentali, di cui 90 Francesi.
 
[3] 20 elementi delle forze dell’ordine sono rimasti uccisi.
 
 
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