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Counterpunch, 30 gennaio 2019 (trad.ossin)
 
Il colpo di Stato di Trump in Venezuela: la storia completa
Eric Draitser
 
Il colpo di stato sponsorizzato dagli Stati Uniti in Venezuela, ancora in corso mentre scrivo, è l'ultimo capitolo della lunga e sanguinosa storia dell'imperialismo USA in America Latina. Questo fatto basilare, compreso dalla maggior parte della sinistra - inclusi persino quei liberal che chiacchierano e riconoscono questa verità sempre troppo tardi (e mai al momento giusto) - deve essere alla base di qualsiasi analisi della situazione in Venezuela oggi. Vale a dire, il paese è preso di mira dall'Impero Yankee
 
 
Questo punto è, o almeno dovrebbe essere, indiscutibile a prescindere dalle opinioni che si hanno sul presidente venezuelano Maduro, sul Partito socialista (PSUV), o sui progressi della rivoluzione bolivariana. L'imperialismo, e la sua manifestazione neocoloniale del XXI secolo, è lì per distruggere il sogno bolivariano e riportare il Venezuela al ruolo di vassallo, al ruolo di uno stato amico traboccante di petrolio che deve essere governato da un satrapo di destra desideroso di compiacere il signori coloniali del capitale.
 
Ma nel fornire un'analisi della situazione, la Sinistra deve procedere con cautela, con la consapevolezza che, sebbene sia debole, disorganizzata, frammentata e amaramente settaria, essa resta il veicolo principale per un'analisi convincente dell'imperialismo e delle sue macchinazioni. Questo ruolo storico svolto dalla sinistra, da Lenin e Mao a Hobsbawm e Chomsky, è di importanza fondamentale, in quanto l'analisi informa il discorso che a sua volta si ossifica nella narrativa storica.
 
E, gravata da questa pesante e storica responsabilità, la sinistra ha il dovere di comprendere nel profondo ciò che sta accadendo in Venezuela. Inoltre la sinistra deve fare attenzione alle insidie di un'analisi approssimativa e superficiale, che può portare a una cattiva comprensione della realtà fattuale, e persino indebolire la lotta antimperialista.
 
È il petrolio... o cosa?
 
Ci si perdoni per avere subito detto che il colpo di Stato clandestino, e il suo quasi istantaneo riconoscimento da parte dell'amministrazione Trump (tra gli altri), sono la prova positiva che gli Stati Uniti hanno istigato il rovesciamento della Rivoluzione Bolivariana per impossessarsi delle risorse petrolifere. In effetti, questo sarebbe un esempio quasi da manuale del tipo di politiche coloniali subite dai popoli del Sud del Globo sin dall'alba dell'età coloniale.
 
E c’è sicuramente del vero. Come il democratico candidato alla presidenza Tulsi Gabbard ha notato su Twitter, “Si tratta del petrolio... ancora una volta,” facendo riferimento al crimine contro l'umanità dell'amministrazione Bush, meglio conosciuto come la guerra in Iraq, finalizzato soprattutto ad arricchire la Halliburton di Dick Cheney e l’industria petrolifera statunitense in generale.
 
E Gabbard ha ragione nel mettere in luce le dichiarazioni del National Security Warlock di Trump, John Bolton, le cui parole tradiscono la sociopatia che caratterizza questo falco neocon. Bolton ha dichiarato in una conferenza stampa: "Abbiamo conversazioni con le principali compagnie petrolifere statunitensi ora ... farebbe la differenza se potessimo avere le compagnie USA a produrre petrolio in Venezuela. Sia noi che loro, abbiamo molto in gioco in quel paese".
 
Tralasciando la probabile deliberata ambiguità di queste affermazioni: quali sono queste "conversazioni"? Questo significa che non c'era alcun piano di produzione prima che il colpo di stato fosse iniziato? ecc. - Sembra ovvio che il petrolio sia un importante fattore motivante.
 
Ma perché, esattamente?
 
Come chiunque altro abbia una conoscenza di base del mercato petrolifero globale può dirvi, ci sono una serie di ragioni per cui dovremmo essere scettici all'idea che gli Stati Uniti vogliano semplicemente ottenere profitti rubando il petrolio del Venezuela, la sua risorsa principale e il suo generatore di entrate.
 
In primo luogo, i prezzi globali del petrolio sono rimasti piuttosto depressi rispetto ai massimi storici di appena un decennio fa. Con il prezzo al barile che oggi oscilla tra i 50 e i 60 dollari, il greggio venezuelano rimane redditizio ma, a causa delle sue qualità pesanti, richiede tecnologie di raffinazione un po' più costose, rendendolo meno attraente di alcune altre riserve petrolifere, come quelle di scisto.
 
Questo non vuol dire che le compagnie petrolifere non sarebbero interessate a saccheggiare questa risorsa naturale, come fa capire ExxonMobil che sta tentando disperatamente di prendere il controllo della regione di Essequibo, continua fonte di rivendicazioni territoriali tra la Guyana e il Venezuela. L' USGS ha calcolato circa 15 miliardi di barili di petrolio non ancora scoperti e 42 trilioni di riserve di gas giacenti sotto il bacino del Suriname della Guyana, che in tal modo si colloca al secondo posto nel mondo per bacini inesplorati, e al dodicesimo nel mondo in generale per bacini esplorati e inesplorati.
 
Tuttavia, in una prospettiva di puro profitto, il petrolio venezuelano rimane molto meno redditizio (e stabile dal punto di vista degli investitori) rispetto agli investimenti nel bacino del Permiano in Texas, dove il boom del fracking, anch'esso ostacolato dai prezzi globali del petrolio, è continuato senza sosta. In effetti, con gli Stati Uniti che diventano esportatori di petrolio e potenzialmente possessori del giacimento petrolifero più produttivo al mondo nel bacino del Permiano, l'appetito verso le risorse petrolifere del Venezuela dovrebbe essere inferiore.
 
Eppure eccoci qui. Allora?
 
La prospettiva da Washington e da Mosca
 
In realtà, la fissazione per il petrolio venezuelano è solo una parte della storia. La vera posta dietro il controllo del petrolio è politica e geopolitica. In parole povere, il controllo del petrolio venezuelano fa parte del più ampio conflitto internazionale con la Russia, e forse in misura minore con la Cina.
 
Nel 2016, mentre l'economia venezuelana era in caduta libera a causa in minima parte dei minimi storici del prezzo del petrolio ($ 35 al barile a gennaio 2016), il governo di Maduro ha preso la controversa decisione di dare in garanzia il 49,9% della sua proprietà nella sussidiaria statunitense di PDVSA, Citgo, alla compagnia petrolifera russa Rosneft, in cambio di un prestito di $ 1,5 miliardi. In sostanza, il Cremlino offrì a Caracas un salvataggio molto temporaneo con importanti vincoli. Con questa mossa, i russi divennero effettivamente proprietari di parte del bene primario del Venezuela.
 
Ma la Russia, essendo uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, aveva sicuramente poco interesse per il petrolio in sé. Dopo tutto, le esportazioni energetiche russe rimangono dominanti in Europa, e vanno crescendo in Asia. Invece il petrolio venezuelano doveva essere una potente leva contro gli Stati Uniti, proprio nel momento in cui gli Stati Uniti stavano esercitando pressioni politiche ed economiche su Mosca a causa, tra l’altro, del conflitto in Ucraina. Va ricordato che l'amministrazione Obama aveva imposto sanzioni contro Mosca nel marzo 2014 dopo l'annessione russa della Crimea, e anche successivamente, per il suo coinvolgimento nella guerra civile nell'Ucraina orientale.
 
Con le sanzioni statunitensi ed europee, alcune delle quali mirate all'industria petrolifera russa, il Cremlino era alla disperata ricerca di nuove strategie, sia per fare in modo che le sanzioni avessero un costo anche per gli Stati Uniti, sia, e forse soprattutto, in vista di potenziali futuri negoziati. Putin & Co. optarono, almeno in parte, per il settore petrolifero venezuelano. Assicurando un prestito relativamente piccolo di $ 1,5 miliardi, la Russia divenne immediatamente un attore dominante nel petrolio venezuelano, diventando così anche un potente attore nella strategia politica ed economica di Washington.
 
E in effetti la efficacia di questa strategia è stata confermata, o almeno riconosciuta, da potenti interessi statunitensi all'inizio del 2018, quando un gruppo ancora oscuro di investitori statunitensi ha tentato di acquisire la partecipazione russa in Citgo.
 
Il piano, rivelato a Reuters da un investitore anonimo che faceva parte del gruppo, consisteva essenzialmente nel saldare il debito del Venezuela, per poi chiedere a Rosneft di rescindere il suo privilegio e trasferire il prestito ai nuovi investitori. Come ha detto l'investitore a Reuters:
 
"L'amministrazione [Trump] dovrebbe riconoscere che se non fa qualcosa di proattivo qui, si troverà a disporre di... opzioni limitate qualunque cosa accada, sia che l’attuale titolare del privilegio cerchi di ottenere un pignoramento o ulteriori restrizioni del petrolio greggio venezuelano importato dagli Stati Uniti, sia anche nel caso in cui ci sia un cambiamento politico positivo a Caracas ... Questa è una soluzione del settore privato ad un problema di politica pubblica ".
 
Non potrebbe essere più chiaro. Le élite statunitensi hanno chiaramente capito che l'incursione della Russia nel settore petrolifero venezuelano era una strategia progettata per contrastare le mosse politiche ed economiche statunitensi contro la Russia. Inoltre sembra ovvio che ci sia / sia stata una mancanza di fiducia da parte di segmenti della classe dominante rispetto alla volontà effettiva dell’amministrazione Trump di bloccare attivamente le manovre geostrategiche della Russia. Di qui la necessità di una soluzione adottata dal "settore privato".
 
Eppure eccoci qui. Meno di 12 mesi dopo che questa strategia “privata” è fallita, l'amministrazione Trump sta facendo esattamente quello che la classe dominante le ha chiesto, ovvero punta contro l'economia venezuelana, in particolare il settore petrolifero. Come chiarisce la recente mossa del Tesoro USA, gli Stati Uniti useranno i proventi del petrolio venezuelano come parte di una strategia di presa di ostaggi ideata per imporre un cambio di regime che renderebbe ininfluente il potere russo in Venezuela, e porterebbe al potere un nuovo governo, a tutti gli effetti un regime fantoccio degli Stati Uniti.
 
Si possono quasi sentire le stridule grida degli apologeti di Trump, a destra e sinistra, che si lamentano nottetempo del Deep State che costringe Trump a fare questo, che non ha scelta in quanto è la volontà della classe dominante che lo ha indebolito con il Russiagate.
 
Ma, a prescindere dall'insopportabile uso dell’acronimo MAGA (acronimo di  "Making America # 1 Again", abitualmente usato da Trump, ndt)  la realtà è che Trump ha mire di guerra contro il Venezuela da molto prima della recente escalation. Anche durante un infame incontro del 2017 in cui Rex Tillerson, Amministratore delegato del Dipartimento di Stato della ExxonMobil, e l’ex Consigliere per la sicurezza nazionale HR McMaster rimasero entrambi "sbalorditi" dalla stupidità del desiderio espresso da Trump di invadere il Venezuela. Secondo l'Associated Press :
 
"Trump ha allarmato amici e nemici parlando di una 'opzione militare' per rimuovere Maduro dal potere. Le sue osservazioni pubbliche sono state inizialmente negate dai circoli politici statunitensi ... Ma poco dopo, (Trump) ne ha parlato anche con il presidente colombiano Juan Manuel Santos, secondo [un] funzionario statunitense. Due funzionari colombiani di alto rango che hanno parlato in condizioni di anonimato per evitare di irritare Trump, hanno confermato la circostanza".
 
Sembra quindi che Trump non abbia mai avuto bisogno di spinte per farsi promotore della prospettiva criminale di una guerra contro il Venezuela. In effetti si potrebbe dire che, per ironia della sorte, sono stati proprio un uomo del petrolio e un uomo del Pentagono a cercare di dissuaderlo. Così, tanto per parlare di Deep State. Invece, era solo che Trump aveva bisogno di contornarsi di un genere appropriato di pazzi per potere indulgere alla sua follia imperialista; adesso li ha, con il messianico Segretario di Stato, Pompeo, e il già citato National Security Warlock, Bolton.
 
Imperialismo à la carte
 
Ho cercato di mettere in evidenza come sia più sfumata la questione energetica rispetto alla più ampia questione geopolitica, in modo che, si spera, la sinistra possa vedere il quadro completo del contesto politico, piuttosto che accontentarsi di una ricostruzione riduttiva e unidimensionale. Tuttavia, bisogna dire che il petrolio non è l'unico problema che richiede un'attenta analisi.
 
C'è anche la questione dell'estrazione mineraria, e anche lì la Russia occupa una posizione centrale. Verso la fine del 2018, il presidente Maduro, alla disperata ricerca di finanziamenti aggiuntivi a fronte di sanzioni paralizzanti, annunciò che il Venezuela aveva offerto alle compagnie minerarie russe l'accesso alle operazioni di estrazione dell'oro nel paese. Mentre le piattaforme mediatiche del Cremlino, come RT e Sputnik, hanno fatto il loro solito, presentando questa semplicemente come una politica altruistica reciprocamente vantaggiosa, amichevole e genuina di Putin, la realtà è che la Russia vede nel Venezuela più o meno quello che vedono gli Stati Uniti: una mucca da mungere in ginocchio, facilmente controllabile e sfruttabile.
 
E, naturalmente, oltre all'oro, ci sono molti altri premi minerari da guadagnarsi in Venezuela, tra cui nichel, diamanti, minerali di ferro, alluminio, bauxite, gas naturale, ecc. Sia la Russia che la Cina hanno un interesse significativo in tutti questi minerali e progetti necessari per sfruttarli.
 
Washington non è necessariamente più preoccupata per i miliardari russi e cinesi che si arricchiscono in Venezuela, anche se è indubbiamente fastidioso.
 
Piuttosto, i pianificatori strategici all'interno della Beltway vedono oggi in Venezuela un'opportunità per sferrare un colpo mortale al socialismo e alla politica antimperialista in America Latina. Mentre versano lacrime di coccodrillo su elezioni, democrazia e corruzione, la realtà è che gli avvoltoi dell'Impero girano attorno a ciò che sentono essere una carcassa da spogliare. Farla finita con la Rivoluzione Bolivariana, significa nemmeno tanto il pretesto, ma un movimento sostanziale verso l'integrazione regionale.
 
Con Chavez scomparso, e il popolo venezuelano ferito e disperato, gente come il criminale di guerra, e inviato di recente nomina in Venezuela, Elliott Abrams, vedono l'opportunità di vincere una vittoria importante nella loro interminabile lotta contro il socialismo da un lato, e la Russia petro-capitalista dall’altro. E se riescono anche a dare un colpo alla Cina, privandola di un mercato di esportazione significativo e di un punto di appoggio diplomatico nell'emisfero occidentale, tanto meglio.
 
In definitiva, siamo di fronte alla classica Dottrina Monroe dagli Stati Uniti, anche se nelle condizioni del XXI secolo. Con un consolidato fronte di destra già costituito, con Duque (e il suo ex presidente fantoccio Alvaro Uribe) in Colombia, Macri in Argentina, e Bolsonaro in Brasile, Washington vede il Venezuela come forse l'ultimo domino da far cadere in Sud America (Bolivia nonostante). E con la sua fine, la regione tornerà ad essere il cortile degli USA.
 
Sfortunatamente per l'Impero, ho visto coi miei occhi la Rivoluzione Bolivariana, e l’impegno dei poveri e della classe operaia verso gli ideali della visione di Chavez e del socialismo fin dall’inizio. Queste persone, a milioni, non resteranno a guardare semplicemente gli Stati Uniti prendersi tutto quello che hanno conquistato negli venti anni. Non resteranno a braccia incrociate a fare la parte della vittima.
 
Se Trump pensa che prenderà il Venezuela senza una lotta sanguinosa, è ancora più stupido di quanto pensassimo.