Stampa


 

L’Orient Le Jour, 4 aprile 2015 (trad. Ossin)



Le ambizioni saudite rischiano di affondare nel pantano yemenita

Lina Kennouche


Franck Mermier, direttore di ricerca del CNRS, risponde alle domande rivoltegli da L’Orient Le Jour sui diversi scenari possibili


A otto giorni dall’avvio dell’operazione “Tempesta della determinazione”, gli Houthi proseguono nella loro avanzata nel sud dello Yemen. La seconda città del paese, Aden, resta teatro di scontri tra partigiani e avversari del presidente Abed Rabbo Mansour Hadi. In due settimane lo Yemen è tornato a essere il terreno delle ambizioni politiche regionali. Questo conflitto, dalle radici storiche e geopolitiche complesse, assume attualmente una importanza cruciale per l’Arabia Saudita, nella feroce rivalità che la oppone all’Iran per la leadership del mondo arabo. In una situazione nella quale la possibilità di un accordo (dell’Occidente) con Teheran vedrebbe il rafforzamento dell’Iran come principale polo regionale, Riyadh intende riaffermare il proprio ruolo storico, attraverso il dossier yemenita percepito come una vicenda di politica interna.

Ma al di là dei calcoli di interesse strategico degli attori regionali, il conflitto continua ad avere i caratteri di una vicenda locale, nella quale i protagonisti obbediscono prima di tutto a logiche loro proprie. Sul terreno, se l’alleanza tra gli Houthi e l’ex presidente Ali Abdallah Saleh si è rivelata efficace sul piano tattico, essa resta però occasionale e dipendente dagli sviluppi futuri. Una sua rimessa in questione rischierebbe di produrre una mutamento dei rapporti di forza. Dall’altro lato, lo scenario di un conflitto che si prolungasse potrebbe generare pesanti conseguenze e un effetto inverso rispetto a quello auspicato dai Sauditi.

Tornando sul tema della posta in gioco nella crisi yemenita, Franck Mermier, direttore di ricerca del CNRS e specialista della questione, spiega che l’Arabia Saudita che, nel passato, era stata criticata per il suo atteggiamento attendista e l’assenza di reattività verso gli alleati, non poteva più ignorare la nuova situazione regionale. Vi è, secondo lui, una costellazione di fattori che spiegherebbero l’iniziativa di Riyadh: “La morsa iraniana, la guerra in Siria, la nuova leadership saudita, ecc.” Secondo lui, “questo intervento rapido e massiccio dell’Arabia Saudita era inevitabile per tagliare l’erba sotto i piedi dell’Iran, che avrebbe potuto fornire un sostegno materiale importante, se gli Houthi si fossero impadroniti di tutto il territorio yemenita".


“Non hanno avuto bisogno dell’Iran per mobilitarsi”

Questo scenario appare sempre più probabile nello sviluppo degli avvenimenti in corso, a causa del coinvolgimento delle forze armate rimaste fedeli all’ex presidente Saleh al fianco degli Houthi. Mermier ricorda che “gli Houthi non sono soli, sono alleati a quel Saleh che li aveva accusati tra il 2004 e il 2009 di essere al servizio dell’Iran. E tuttavia essi non hanno avuto bisogno dell’Iran per avanzare, crescere militarmente, sia pure con l’attiva complicità dell’ex presidente. Questa strategia politica locale era per quest’ultimo il mezzo per liberarsi di un governo che costituiva per lui una minaccia, in quanto procedeva verso l’attuazione degli obiettivi posti dalla conferenza di dialogo nazionale (sistema federale, divisione del paese, rinegoziazione dei poteri del presidente), che è uno dei risultati del processo rivoluzionario del 2011. E’ stata dunque la strategia di espansione degli Houthi, combinata a quella del ritorno politico di Saleh, a consentire questa avanzata militare”. Mermier tuttavia relativizza la portata di un’alleanza di circostanza che potrebbe rovesciarsi in funzione del mutamento della situazione sul campo. Ali Abdallah Saleh “ha chiaramente dichiarato che, come contropartita della cessazione delle operazioni militari, egli rinuncerebbe a candidarsi alle elezioni presidenziali”, precisa l’esperto. Mermier fa anche allusione ad una voce secondo cui il figlio di Saleh avrebbe voluto incontrarsi con ministro degli affari esteri saudita per proporgli la rottura dell’alleanza con gli Houthi, in cambio della cessazione dell’intervento militare di Riyadh e per rientrare nelle grazie della coalizione saudita. (Quella tra Houthi e Saleh) è dunque, secondo l’esperto, una coalizione “fragile, che potrebbe rovesciarsi e nella quale l’ideologia non svolge alcun ruolo”.


Il tempo, fattore decisivo?

Da parte saudita, lo scenario si scontra con gli attuali rapporti di forza sul campo.  Secondo Mermier, “i bombardamenti possono ridurre le capacità offensive degli Houthi, ristabilire un equilibrio militare, rendere possibile un negoziato, ma senza un intervento di truppe di terra la colazione non potrà distruggere gli Houthi”. Infatti, se gli attacchi aerei a oltranza infliggono massicce distruzioni, un rovesciamento dei rapporti di forza si potrebbe avere solo con un intervento di terra, che comporta però rischi elevati, come dimostrato dal conflitto tra Houthi e Arabia saudita del 2009. Vi è dunque “il timore che la situazione si trasformi in un pantano, tanto più che un intervento (di terra) è malvisto da una parte della popolazione yemenita. Molti Yemeniti non amano l’Arabia saudita per ragioni storiche: l’annessione di due province dello Yemen nel 1934, i passati interventi e le ingerenze politiche dirette a favorire una certa forma di islam”, ricorda lo specialista.

Egli sfuma peraltro la precedente affermazione, insistendo sul fatto che il soprassalto nazionalista e lo slancio popolare di cui oggi beneficiano gli Houthi non preserva questi ultimi dalle tante divisioni che attraversano la società, fondate meno su basi confessionali che regionali. Secondo Mermier, “la resistenza agli Houthi viene dai sudisti, molti dei quali sono separatisti. Ma anche questi ultimi, che al momento guardano con favore alle operazioni finalizzate a contenere l’avanzata houthi, potrebbero finire, se i bombardamenti proseguissero, col considerare i Sauditi non più come i paladini della legittimità costituzionale, ma come un ulteriore attore del caos yemenita. Il consenso per la coalizione ne risulterebbe indebolito, le operazioni, col tempo, potrebbero incontrare una resistenza che potrebbe estendersi anche al suolo saudita”.

Gli obiettivi principali di Riyadh sarebbero dunque, secondo Marmier, di ristabilire il governo del presidente Hadi e di contenere le ambizioni del suo rivale iraniano che, forte del suo successo diplomatico, potrebbe estendere la propria area di influenza allo Yemen. Legittimo è però chiedersi se il prolungamento del conflitto, che finirebbe con l’accreditare l’azione degli Houthi, non rischi di far fallire questo disegno. In questa prospettiva, infatti, l’Iran potrebbe apparire come l’attore forse più adeguato per proporre una seria soluzione del conflitto.