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Nel corso delle ultime elezioni legislative in Algeria, che hanno visto competere più di 40, tra partiti e formazioni indipendenti, i candidati hanno parlato quasi di tutto, affrontando tutte le questioni alla televisione e nei comizi. I più toccati sono stati i problemi del lavoro e le competenze, soprattutto quelle che “emigrano”.
Più di 400 candidati sono diventati adesso deputati, io voglio con questo articolo ricordare le loro promesse, analizzando uno dei principali fattori che ostacolano lo sviluppo nei sistemi detti di “rendita”, come quello algerino


Problematica e dilemma della rendita e della competenza

Djerrad Amar

Per mantenere la pace sociale alcuni stati dotati di risorse minerarie, soprattutto petrolifere, distribuiscono quello che si definisce “rendita” ad alcune categorie della popolazione. Gli Stati che beneficiano di rendite, che si affidano a queste sole fonti di ricchezza, hanno una specifica governance. Il loro regime non ha bisogno di legittimità per governare. Questi sistemi “di rendita” incoraggiano le avidità, l’incompetenza, la collusione e la pigrizia, al contrario dei sistemi democratici che dispongono di contro-poteri che favoriscono l’iniziativa, l’innovazione, la produzione e la redditività.


In Algeria, nonostante le ristrutturazioni, le importanti somme e gli sforzi che lo Stato mobilita per modernizzare le istituzioni e le imprese e per renderle all’altezza delle necessità, si osserva ancora la persistenza della burocrazia, della routine, della mediocrità, la cui causa diagnosticata resta l’incompetenza. Nonostante alcuni sostanziali progressi democratici, dopo la rivolta dell’ottobre 1988, le cose sarebbero potute andare meglio se non vi fossero stati nefasti recuperi e opportuniste ingerenze occidentali ed arabe che hanno fatto comodo ai nostri beneficiari di rendita. Il processo democratico si trova così incompiuto. La lotta è per il suo completamento e il suo consolidamento.


Ma “l’ostacolo” maggiore resta questa rendita – oggetto di tutti gli appetiti – che proviene dalle entrate petrolifere, la cui gestione è problematica. Tutte le azioni che mirano a produrre cambiamenti strutturali per temperare le rivalità non sono sufficienti di fronte agli antagonismi di classe provocati dalla rendita.


Dopo il “ci siamo sbagliati” del Presidente della Repubblica, sono state avviate molte iniziative, ma restano insufficienti alla luce dei nostri bisogni e delle nostre capacità. I cambiamenti strutturali che avrebbero dovuto seguire non sono stati tali da permettere un cambiamento radicale nell’orientamento politico e nelle mentalità prodotti dal sistema sul quale si appoggiano i partigiani dello status quo, costruito sulla “rendita” e l’incompetenza, che usano di tutte le astuzie per mantenere il controllo sulle leve di potere che assicurano loro potenza e sicurezza.


La “rendita” è un reddito senza controprestazione. Induce bisogni, cosa che la rende una delle cause dell’inflazione. Favorisce le importazioni, ciò che fa la felicità dei partigiani “dell’Import-import”, il cui interesse è che non nascano fabbriche che “sostituiscano l’importazione”. La “rendita” è contraria alle regole del mercato ed è in conflitto con la produzione. Si avvia a questo punto una corsa folle e sfrontata per profittare a gara di questa manna: chi per i suoi progetti improduttivi, chi nell’ambito di linee di credito, chi per prestiti spesso non restituiti, chi per degli stipendi munifici, chi per deroghe che sottraggano alla tassazione, chi per associazioni “satelliti”, chi per dei terreni da edificare o alloggi sociali da rivendere, chi per accaparrarsi gli spazi verdi delle città per costruirvi immobili, chi per ristrutturazioni, ri-ristrutturazioni, arredamenti e ri-arredamenti costosi, chi per incarichi e missioni, chi per farsi pagare i salari dei suoi operai dallo Stato, nell’ambito del “dispositivo di aiuto all’inserimento professionale” (DAIP), senza rispettare gli obblighi collegati, soprattutto quello di assunzione a tempo indeterminato; chi e chi…


A proposito del DAIP, occorre segnalate che la maggior parte dei datori di lavoro privati ricorre ad uno spregevole stratagemma che consiste nello spingere il lavoratore, prima della scadenza, a dimettersi, per continuare a beneficiare dei vantaggi evitando il contratto a tempo indeterminato. Il giovane “richiedente impiego” dimissionario non potrà più allora beneficiare del dispositivo. Così abbiamo constatato che molti datori di lavoro privati, interessati alle commesse pubbliche, aggirano il meccanismo di incoraggiamento alle assunzioni reclutando ingegneri col sistema del DAIP solo in virtù del loro titolo di laurea che viene richiesto nel capitolato di appalto. Insomma lo Stato finanzia la frode e l’umiliazione delle competenze, ridotte alla disoccupazione, al prezzo di 15.000 Dinari al mese a persona, senza peraltro raggiungere gli obiettivi che si era prefisso. Si registra anche una penosa situazione perché succede questo: quale spirito ragionevole può accettare che delle competenze di alto livello, nazionali o straniere, debbano passare per l’ALEM o questo dispositivo (di DAIP) a 15.000 dinari al mese, vale a dire 3 volte di meno il guadagno di un parcheggiatore abusivo e 2 volte meno il salario della domestica di una impresa. Noi ricordiamo ancora il caso drammatico estremo di un quadro che si è visto proporre questo tipo di impiego ed ha finito per suicidarsi.


Nemmeno i forti aumenti di salario dei funzionari hanno spinto le imprese private a rivedere le loro strategie di remunerazione; al contrario. Approfittando della disoccupazione e sottovalutando il criterio “qualità”, la maggior parte delle piccole imprese, spesso effimere, non hanno più assunto ed hanno ridotto al minimo i quadri. Se si aggiunge che lo Stato fornisce gratuitamente a questi privati nazionali le competenze di cui hanno bisogno nell’ambito del DAIP senza gli effetti attesi, non può che aspettarsi un fallimento miserevole di questa politica. Lo Stato avrà finanziato una moltitudine di piccole imprese private, pagando i salari di lavoratori, che alla fine non saranno assunti.


E’ questa la politica di integrazione o di inserimento che dovrebbe fornire loro sicurezza e fiducia? Evidentemente no!


Questa politica dell’impiego e questo dispositivo devono essere rivisti urgentemente, perché incerta, umiliante, piuttosto di ostacolo all’assunzione a tempo indeterminato! Si constata che ci sono persone che ne approfittano e che mettono su delle imprese per il tempo di 1 o 2 progetti, prima di sparire.


Restiamo ragionevoli. Per le competenze che sono emigrate, il male è oramai fatto e il loro ritorno resta ipotetico. Riconsideriamo piuttosto seriamente quelli che restano ancora qui, che non trovano lavoro e che vengono trascurati ripetendo gli stessi errori che hanno costretto ad andare via quelli che oggi si invitano a tornare! Questa tragica questione della “fuga dei quadri” è prima di tutto un problema del paese di origine e non di quello di accoglienza al quale si imputa falsamente la causa.


Il sistema della rendita annulla gli sforzi perché induce una mentalità da rendita, che è sempre stata refrattaria ad uno spirito di iniziativa. Non ammette competenze che non siano quelle che non mettono in discussione i privilegi. E’ questo spirito che incoraggia l’incompetenza, generando idee e comportamenti assurdi ed abusivi che creano l’ingiustizia. L’incompetenza neutralizza ogni buona volontà rendendo inoperose tutte le azioni e le iniziative, per quanto intelligenti siano, perché i responsabili incompetenti riportano sempre gli altri e le cose al loro livello.  Di qui le continue deregolamentazioni, lo spirito predatorio, questa perversione del patto sociale che genera immobilismo, discriminazione e ingiustizia; incoraggia la corruzione e l’informale. Uno Stato nel quale domina l’informale è uno Stato informale, non di diritto.


Quanti quadri esperti e validi hanno dovuto subire le peggiori umiliazioni e paure per finire col diventare vittime di manipolazioni dirette a indebolire la loro buona volontà. Quante di queste volontà sono state colpite nella carne e nell’anima da incompetenti amatori di interessi torbidi. Quanti quadri leali si sono arresi ed hanno rifiutato responsabilità, consapevoli che sarebbero stati delle teste di legno o dei capri espiatori.


Ci ricordiamo dei tempi in cui le insufficienze venivano giustificate con la “carenza di quadri” e poi con la “cattiva utilizzazione dei quadri”, poi ancora con la “carenza di quadri competenti”, eccoci oggi con una “eccedenza” di diplomati disoccupati mentre se ne ha un gran bisogno e noi conosciamo tutte le discriminazioni nel reclutamento, l’accesso ai posti di responsabilità e nelle promozioni! Nel frattempo migliaia di nostre competenze – formate a colpi di miliardi di dollari – emigrano all’estero per posti che non hanno mai nemmeno sognato di ottenere a casa loro, o si mettono in pensione a casa loro dieci anni prima dell’età legale.


Ecco l’esempio di due fatti reali tra centinaia: un quadro, competente, che lavorava da 25 anni nella stessa impresa di Stato, si è visto rifiutare un posto di responsabilità, affidato invece a un nuovo assunto, nonostante ne avesse diritto. Si è lamentato minacciando le dimissioni. Gli si è più tardi mostrata la lettera coi motivi del rifiuto, che erano: “mantenerlo al suo posto, non può essere sostituito”. Un altro quadro, di un’altra impresa di Stato, si è lamentato della quantità di lavoro importante che gli veniva affidato, anche relativo a questioni che non gli competevano. Gli si è risposto, adulandolo, che c’era solo lui per fare questo lavoro. Avendo ugualmente rifiutato, è stato retrocesso e rimpiazzato dal suo subordinato, lasciandogli peraltro lo stesso carico di lavoro! Esempi all’infinito, che gravitano intorno all’incompetenza e all’ingiustizia. Quando ricorrono alla Giustizia, vincono spesso, ma senza conseguenze per gli autori delle ingiustizie che continuano il loro lavoro senza essere disturbati. Tutte queste posizioni non esisterebbero senza questa sinistra rendita, causa e pretesto di ogni male. Ecco qualcuno dei titoli dei nostri giornali che illustrano bene il problema: “I quadri, questo perfetto capro espiatorio”; “Non si è pensato a rimpiazzare i quadri che vanno in pensione”; “Le nostre competenze continuano ad emigrare”; “La nostra economia è in panne”; “Sciopero degli insegnanti”; “Sciopero dei medici”; “Ricerca scientifica: un settore che non trova la sua strada” ecc.


Quali soluzioni? C’è solo quella adottata dai paesi che sono riusciti nel loro sviluppo economico e sociale, anche quelli produttori di materie prime. Il mondo sa che essa è nella riabilitazione del lavoro – che promuove l’uomo – e non in questo spirito di rendita perverso che corrompe le coscienze, soppianta il lavoro e l’intelligenza, accentua le contraddizioni, mantiene nell’arcaismo.


Le competenze esistono; esse chiedono solo considerazione e protezione. Lo Stato deve loro offrire condizioni e mezzi. Ad una domanda sugli investimenti stranieri nel nostro paese durante una sessione dell’Assemblea Nazionale, il P.M. A. Ouyahia ha avvertito che l’Algeria è, piuttosto, “crudelmente carente di know-how, di tecnologia, di management moderno e partner”. Tutto è dunque detto! E’ falso credere che vi sia carenza di competenze locali in Algeria; c’è disprezzo e trascuratezza delle competenze!


Tutti i regimi di rendita non possono riformarsi che in questo solo senso per uscire dall’impasse e dall’illusione di stabilità. Il cambiamento non si pone nei termini “occorre cambiare il sistema o gli uomini?” Di fatto occorre, a nostro avviso, riformare tutti e due. Ogni sistema ha i suoi uomini e ogni uomo adotta il regime che lo sostiene, gli concede i privilegi. L’Algeria resta ancora in questo dilemma infernale che pone questo trittico: cambiamento/rendita/competenza o di come procedere ai cambiamenti strutturali utilizzando le competenze, rendendo la rendita un potente fattore di sviluppo piuttosto che una risorsa corruttrice e costringente.


Rompere questo sistema non è semplice senza una strategia che si fondi su forze sicure. Una di queste forze è l’élite competente che aspira al cambiamento, allo sviluppo, all’indipendenza, al benessere e alla dignità. Il paesi sviluppati lo sono diventati per merito delle loro élite che sono diventate esperte di scienza e di tecnologia. Grazie a chi l’Iran è entrato nella corte dei grandi, nonostante 33 anni di embargo?


In Algeria abbiamo osservato che tutti quelli che erano al comando, a un certo punto, non avevano fatto niente nel senso che desideravano. Non è facile in effetti per nessun uomo politico, qualsiasi sia la sua buona volontà o il suo carisma, cambiare un sistema consolidato, senza strategie bene elaborate che non possono essere realizzate senza una élite e competenze riconosciute. Il cambiamento deve farsi dall’interno con perspicacia e saggezza, anche a prezzo di sacrifici. Né i sistemi chiusi – refrattari ai cambiamenti, che accentuano le contraddizioni, i malesseri e la disperazione – né le democrazie dette “di facciata”, con le loro illusioni che impediscono di fatto la costituzione di reali contro-poteri, con l’obiettivo dell’alternanza, possono durare in terno. La natura interviene sempre per “riprendere i suoi diritti”, vale a dire spesso con la forza del popolo per sbloccare, adattare, equilibrare, aprendo così alle forze vive la possibilità di rappresentarle, di governarle per realizzare le proprie aspirazioni. Perché aspettare la rivolta dei cittadini, con le sue ingerenze e le sue umiliazioni, per procedere alla fine ai cambiamenti sapendo che arriveranno comunque, presto o tardi?


Sarebbe ingiusto pensare che niente è stato fatto in Algeria, in materia di sviluppo economico e sociale e di riforme, se si pensi ai grandi progetti strutturali o alla lotta contro il crimine economico o organizzato. Come sarebbe incongruo credere che le cose vanno bene. Vi sono delle insufficienze a paragone delle capacità disponibili. Resta ancora il problema della disoccupazione, della maledetta corruzione che si è rafforzata nel “decennio nero”, della ingiustizia nell’accesso agli impieghi ed ai posti di responsabilità, la persistenza della burocrazia in certi settori, i diktat degli speculatori e dei grandi commercianti, l’insufficienza nella qualità dei servizi sociali e soprattutto la cattiva utilizzazione delle competenze.


In Algeria le competenze esistono e lo Stato deve loro offrire le condizioni per il loro sviluppo e metterle al servizio del paese che ne trarrà vantaggi e benefici. Si vedrà allora la reazione del popolo che aspira solo al benessere ed alla sicurezza ed anche il comportamento di certi opportunisti. Bisogna sapere che l’occidente, contrariamente a quel che vorrebbe farci credere, non ammette nelle sue contrade “utili” altra democrazia se non quella “condizionata” che non compromette i suoi progetti egemonici e i suoi interessi. Non si augurerà mai questa democrazia generatrice di élite e di competenze, fonte di progresso e di “avanguardisti”. Ma si serve di questo valore come alibi, come una spada di Damocle, per fare ballare i governi recalcitranti. L’accesso alla democrazia reale non è dunque evidente e facile a causa dei guardiani dello status quo, dell’incompetenza; per grandi interessi.


Vi è una realtà propria ai paesi fondati solo sulla rendita. E’ il loro sistema di rendita che dirige le coscienze, detta le azioni, soppianta il lavoro e la competenza, la loro pratica di potere si fonda su un approccio avido e cupido, i loro dirigenti lo sono per favoritismo, da cui questa ambiguità e questo spirito predatorio; i loro dirigenti sono negligenti e preoccupati solo della rendita e della sua distribuzione tra privilegiati, assimilandola a un diritto. Non deve stupire se in questi sistemi le rivolte sono frequenti, le competenze e i giovani emigrano, gli abusi dei beni pubblici sono ricorrenti, la mancanza di spirito civico e il disprezzo per l’autorità diventano atti di sfida, le compressioni dei diritti civici e la repressione si elevano al rango di difesa del potere, ecc.    


La forza di un governo si misura sul consenso popolare, anche delle sue élite competenti, e non sulla protezione effimera che può procurargli la rendita o il sostegno interessato di qualche Potenza che non ha amici se non il tempo della buona raccolta!


L’evoluzione, lo sviluppo, il perfezionamento e l’innovazione, la sicurezza e l’indipendenza, ma anche la dignità, possono essere assicurate solo con le competenze. La storia non ci fornisce esempi di paesi che evolvono e si sviluppano senza competenze. Al di là di questa condizione sine qua non,   non può esservi che imitazione, raffazzonamento, attivismo senza futuro, che non assicurano mai il progresso, l’indipendenza, la sovranità di un paese.