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Jeune Afrique – 16/22 gennaio 2011

Algeria: l’onda d’urto
di Cherif Ouazani

Se tutto è cominciato a Sidi Bouzid, in Tunisia, l’ondata di malcontento ha raggiunto anche il paese vicino. Soprattutto il quartiere di Bab el-Oued ad Algeri. Il potere ha reagito con rapidità


Paese di jacquerie, l’Algeria è scossa da regolari rivolte, molto localizzate, che si spengono con la stessa velocità con cui nascono. “Il fenomeno è banale”, analizza Miloud Brahimi, ex presidente della Ligue algérienne des droits de l’homme. “Per contro, quando si muove Bab el-Oued l’opinione pubblica è molto più attenta, il potere più inquieto”.
Perché Bab el-Oued? Secondo Kaddour, 68 anni, operatore in pensione del Majestic – cinema mitico del quartiere, oggi ribattezzato Atlas – “la leggenda di Bab el-Oued, la ribelle” è nata subito prima dell’indipendenza. Questo quartiere esclusivamente europeo è stato, nel marzo 1962, teatro di violenti scontri tra l’esercito coloniale e gli ultrà dell’Algeria francese”.


Promiscuità, mancanza di spazio
La sua reputazione di quartiere ribelle s’è rafforzata quando, nell’ottobre 1988, sono cominciate qui le manifestazioni che hanno travolto il regime del partito unico. La repressione militare per ripristinare l’ordine pubblico – sotto la presidenza di Chadli Bendjedid – hanno provocato più di 500 morti: i “Bab el-Oued Chouhada” (martiri di Bab el-Oued). Già che c’era, la moschea Es-Sunna, situata al centro del quartiere, e il suo imam, Ali Benhadj, sono diventati star dell’islamismo, allora trionfante, incarnato dal Fronte islamico di salvezza (FIS, del quale Benhadj era il vicepresidente).
Situato nella parte inferiore della Casbah di Algeri, sul lungomare, Bab el-Oued si trova ai piedi della collina di Zghara, sulla cui sommità troneggia Notre Dame d’Afrique – “Signora Africa”, come la chiamano i bambini del quartiere. Prima dell’indipendenza, vi vivevano 100.000 europei. Oggi vi si ammassano più di 1 milione di abitanti – vale a dire ¼ degli abitanti di Algeri. “Bab el-Oued ha gli stessi problemi di tutti gli agglomerati congestionati. Nessuno muore di fame, ma le condizioni di vita sono assai degradate”, spiega Nacer, un architetto che è cresciuto nel quartiere popolare ma ha dovuto esiliarsi in periferia per aprire il suo studio. “Balconi e sgabuzzini sono stati trasformati in stanze, e le trombe delle scale sono permanentemente occupate abusivamente dai nuovi arrivati. Gli spazi pubblici sono stati invasi da bidonville o da venditori abusivi”, deplora il nostro architetto. Promiscuità,  mancanza di spazi: “Sono queste le cause dei moti del 5 gennaio; non la disoccupazione, che non è un fenomeno recente, né il costo della vita. I giovani algerini sono pronti a trasformarsi in boat people; essi sono convinti che partire è vivere – almeno in migliori condizioni”.
Dopo settantadue ore di moti, dal 5 al 7 gennaio, Bab el-Oued è tornata alla sua normalità fatta di commercio  a tutto spiano. Le terrazze di El-Kettani, uno spazio per il tempo libero sulla riva del Mediterraneo, sono sovraffollate, ma, al calar della notte, la clientela femminile si fa più discreta. “Non è una novità”, racconta Sihem, 28 anni, impiegato in una banca pubblica. “Il sentimento di insicurezza c’è da diversi anni. Sola o accompagnata, la donna attira gli sguardi. Io ho assistito ai moti dal balcone della mia abitazione. Paragonandoli a quello che è successo in Tunisia, per esempio, ciò che mi ha colpito è stata la partecipazione femminile a Sidi Bouzid. A Bab el-Oued, la donna che scende in piazza per protestare non esiste”.
La reputazione del quartiere imbarazza sempre di più i suoi abitanti. “All’inizio, l’attenzione che ci rivolgevano i media stranieri e nazionali lusingava il nostro ego”, afferma Farouk, 22 anni, studente in elettronica. “Bab el-Oued ispirava letteratura e cinema. Ma oggi la cosa comincia ad essere pesante. Non vogliamo più essere in apprensione per i nostri fratellini (l’80% dei manifestanti ha dai 13 ai 18 anni) alla prima scaramuccia coi poliziotti”. Al momento Farouk teme soprattutto la repressione poliziesca e la severità della giustizia: “La polizia cerca di individuare i saccheggiatori grazie alle videocamere di sorveglianza (che i giovani hanno cominciato a neutralizzare solo al terzo giorno) e lancia delle campagne di arresti mirati.  Ogni notte poliziotti in borghese vengono a prendersi dei sospetti a casa loro. Un nuovo dramma per le famiglie”.
Secondo le organizzazioni di difesa dei diritti umani, il numero dei fermi di polizia che sono seguiti ai moti, che hanno coinvolto 20 delle 48 wilaya (prefetture) del paese, raggiunge la cifra di 1347, di cui 650 nella sola Algeri. La maggior parte dei fermati è originaria di Bab el-Oued – che si tratti di Bazetta, Oued Koriche (ex Frais Vallon), La Carrière o ancora Triolet…
Dopo le bottiglie molotov e i gas lacrimogeni, il quartiere si prepara a vivere l’emozione del tribunale, i colpi a effetto degli avvocati e la leggendaria mano pesante dei magistrati algerini.   




Come Bouteflika ha gestito la crisi

Il presidente non ha rilasciato dichiarazioni, ma il potere ha fatto concessioni sul piano economico e sociale

“In nessun momento abbiamo perso il controllo della situazione” si assicura nei corridoi di El-Mouradia. Il presidente non ha peraltro ritenuto necessario convocare l’Alto Consiglio di sicurezza. Oltre al Primo Ministro, Ahmed Ouyahia, e il ministro dell’interno, Dahou Ould Kablia, altri due uomini hanno svolto un ruolo chiave: Mohamed Rougab, segretario particolare del capo dello stato e cinghia di trasmissione delle sue istruzioni, e il generale Amara Nadjib, consigliere per gli affari della sicurezza ed ex patron della Scuola militare politecnico (EMP, ex-ENITA). Fin dall’inizio della sommossa, Bouteflika ha dato due ordini: divieto di ricorrere ad armi letali nel corso delle operazioni di ordine pubblico e sanzioni per i poliziotti troppo zelanti. Le prime sanzioni sono arrivate il giorno 8 gennaio, con la sospensione di due capi della polizia nella regione di M’sila: uno dopo la morte causata da colpi d’arma da fuoco di un manifestante – il solo caso registratosi nel corso degli avvenimenti, secondo fonti del governo – l’altro a causa di abusi di autorità denunciati dalla popolazione prima e dopo la sommossa.
Abdelaziz Bouteflika ha inoltre incaricato Ahmed Ouyahia di trovare rapide soluzione all’aumento dei prezzi dell’olio e dello zucchero, che sarebbe stata provocata da aumenti sui mercati internazionali, ma anche dalle speculazioni degli importatori. Un consiglio interministeriale, riunito il giorno 8 gennaio, ha annunciato una serie di misure per abbassare il prezzo dei due prodotti incriminati (sovvenzioni agli operatori) e delle esenzioni fiscali e doganiere sulle materie prime necessarie alla loro fabbricazione. Costo totale per lo Stato: 53 miliardi di dinar (quasi 537 milioni di euro). Risparmiato dagli slogan dei manifestanti, il presidente algerino esce comunque indebolito da questa prova.