ProfileLe schede di Ossin, 16 giugno 2019 - A proposito di "Prigionieri politici Palestinesi", va detto che essi sono le prime vittime di un progetto di sostituzione di un popolo ad un altro, in un territorio di cui il primo vanta diritti di "concessione divina"...  

 

Israele è uno Stato razzista che pratica la segregazione e l'assassinio
Nicola Quatrano
 
Parlare di “prigionieri palestinesi politici” in Israele, significa affrontare un tema ben più complesso di quanto l’espressione letterale lasci intendere.
Perché la loro stessa presenza, e le ragione di essa, hanno caratteri unici nella storia moderna. Esistono a causa di un’occupazione dei territori palestinesi che dura da oltre settanta anni (e che vorrebbe durare in eterno), la cui manifesta finalità è l’epurazione degli autoctoni, e l’insediamento al loro posto di uno “Stato ebraico”. Per trovare un precedente, bisogna risalire allo sterminio dei nativi americani, realizzato allo stesso modo, solo con metodi più spicci (1). 
 
 
Lo scopo ultimo di Israele, e del sogno sionista, è quello di “giudaizzare” la Palestina, liberandola dai suoi abitanti palestinesi. Chi si oppone attivamente a questo progetto diventa “prigioniero politico palestinese”. Questi sono dunque le vittime di un progetto di sostituzione di un popolo ad un altro autoctono, in un territorio nel quale il primo, l’occupante, pensa di avere dei diritti per “concessione divina”.
 
Lo Stato nazionale ebraico
 
Nel luglio 2018 (62 voti a favore e 55 contrari), la Knesset ha varato la discussa legge che ha reso Israele, giuridicamente, uno “Stato ebraico”. Una discriminazione di tipo razzista nei confronti di tutti gli abitanti di quello Stato che non sono ebrei.  
 
La ministra della Giustizia, Ayelet Shaked (nella foto a destra), in un discorso (2), sempre nel 2018, ad una Conferenza su Ebraismo e Democrazia, disse: “Penso che ‘Giudaizzare la Galilea’ non sia un’espressione ripugnante. Lo abbiamo sempre detto. Negli ultimi tempi abbiamo smesso di dirlo. Penso che sia legittimo farlo, senza violare i pieni diritti degli Arabi residenti in Israele”. Aggiungendo: “Bisogna mantenere qui una maggioranza ebraica, anche a costo di violare i diritti umani”. 
 
La finalità “giuridica” della istituzione di uno Stato nazionale ebraico è quella di introdurre il valore costituzionale di “Giudaismo” a controbilanciare (o a sopravanzare) quello di “Uguaglianza” e di “Democrazia”. Un progetto antidemocratico e razzista, dunque.
 
Shaked ha detto in proposito: “Da un punto di vista costituzionale la democrazia ha una posizione prevalente e bisogna invece operare un bilanciamento e bisogna fornire alla Corte Suprema qualche altro strumento costituzionale che le consenta di dare maggior peso al Giudaismo”.
 
L’obiettivo del progetto di legge dello Stato nazione del popolo ebraico, ha detto, è quello di impedire interpretazioni estensive della Legge di ingresso in Israele, o sentenze come quella del caso Ka’adan del 2000, che vietò ogni discriminazione contro una famiglia araba che intendeva trasferirsi in una piccola comunità ebraica che non la voleva.
 
“Nelle nostre leggi vi sono dei valori universali, dei diritti, già sanciti in modo molto serio. Ma non sono sanciti i valori nazionali ed ebraici. Negli ultimi 20 anni, si è posto di più l’accento sulle decisioni riguardanti I valori universali e meno sul carattere ebraico dello Stato. Questo strumento [la legge istitutiva dello Stato nazione del popolo ebraico] è uno strumento che intendiamo fornire alla Corte per l’avvenire”, ha detto la ministra della giustizia.Aggiungendo: “Israele è uno Stato ebraico. Non è uno Stato di tutte le nazioni. Ciò vuol dire: diritti civili uguali per tutti, ma non uguali diritti nazionali”. Shaked ha detto che la parola “uguaglianza” è assai generica e che la Corte potrebbe “esagerare”… “Questi sono luoghi in cui il carattere dello Stato di Israele come Stato ebraico deve essere mantenuto e questo talvolta si può fare solo a scapito dell’uguaglianza”.
 
Quanto alle “giustificazioni”, si ricorre sempre alla “sicurezza”, senza mai ricordare che il problema della “sicurezza” di Israele è dovuto al fatto che occupa illegalmente territori non suoi e progetta appunto di “giudaizzare” la Cisgiordania.
 
Da ultimo, il tema della sicurezza ha spinto la Corte Suprema a dichiarare legittima l’obbrobriosa Legge sulla Riunificazione Familiare, che impedisce che un Palestinese possa entrare in Israele, anche se è sposato con un Arabo israeliano.
 
La eccezionalità dello Stato di Israele
 
Oltre che col tema della “Sicurezza” (la sicurezza del ladro che teme che il derubato possa cercare di riprendersi il suo), la sistematica violazione di tutte le leggi e le convenzioni internazionali da parte di Israele, viene “giuridicamente” motivato anche col tema della “eccezionalità” (3). 
 
L’eccezionalità dello Stato di Israele, in realtà, dovrebbe avere connotati negativi: quello di uno Stato, unico nel suo genere, che discrimina i “non ebrei” e che si erge al di sopra di ogni legalità internazionale, calpestando le convenzioni e i trattati che pure ha sottoscritto.
 
Invece questa “eccezionalità” è diventata quasi una categoria giuridica. Ed essa viene utilizzata dai dirigenti dell’entità sionista, per giustificare azioni che a nessun altro paese al mondo sarebbero consentite. D’altronde è proprio l’eccezionalità il fulcro della retorica su cui si fonda la costruzione dello Stato di Israele: l’olocausto, l’orrore insuperabile e assoluto, che attribuirebbe ai leader dello Stato ebraico il diritto di “difendersi” con ogni mezzo… Una “difesa” che, nei territori occupati, si è trasformata in una lenta espulsione dei non ebrei.
 
Segue: Il Patto internazionale sui diritti civili e politici
 
Quando, nel 1966, venne approvato dall’Assemblea Generale dell’ONU il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, anche Israele lo ratificò. Questa convenzione prevede tra l’altro, all’art. 9, non solo che l’arresto o la detenzione possano essere ordinati soltanto secondo le procedure stabilite dalla legge, ma anche che “chiunque sia arrestato deve essere informato, al momento del suo arresto, dei motivi dello stesso e deve al più presto avere notizia di qualsiasi accusa mossa contro di lui”.
 
Si tratta di una norma sistematicamente violata dallo Stato ebraico in tema, per esempio, di detenzione amministrativa, una forma di detenzione senza processo e senza nemmeno accusa, non essendo consentito ai destinatari di essa di conoscere imputazione e prove a carico.
 
Una violazione sistematica sì, ma con giustificazioni di carattere “giuridico”: Argomenti che assomigliano sicuramente ai cavilli cari ai “paglietta” napoletani, ma che hanno però consentito allo Stato ebraico di evitare ogni sanzione di carattere internazionale.
 
L’art. 4 della stessa convenzione, infatti, riconosce la possibilità di deroghe, ma solo “in caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione e venga proclamato con atto ufficiale”. Tali deroghe devono essere immediatamente comunicate agli altri Stati firmatari, per il tramite del Segretario delle N.U.
 
Ebbene Israele, fin dal momento della ratifica del Patto, ha effettuato tale dichiarazione informativa, rivolta al Segretario Generale ONU, motivandola con la circostanza di trovarsi, “fin dalla sua fondazione, in stato di emergenza”.
 
“Non vale!” esclamerebbe qualsiasi commentatore in buona fede. Le deroghe sono consentite in casi “eccezionali”, mentre la comunicazione israeliana delinea una situazione permanente. In sostanza, Israele ha firmato l’accordo ma, nello stesso tempo, ha fatto sapere che non l’avrebbe mai rispettato. Un “cavillo” che gli consente di fare quello che vuole, pur restando formalmente nell’ambito della legalità internazionale. Tutto ciò, in nome della “eccezionalità” permanente della sua condizione, e senza alcuna considerazione del fatto che tale “eccezionalità” è dovuta alla sua pervicace volontà di mantenere una occupazione odiosa e illegale, contro la volontà del popolo palestinese. 
 
In un regime, come quello del diritto internazionale, in cui prevalgono soprattutto i rapporti di forza, la protezione del padrino USA ha fatto sì che questo cavillo fosse accettato dalla comunità internazionale. Certo, lo UNHRC, (Comitato Diritti Umani dell’ONU) cui spetta il compito di esaminare l’attuazione del Patto da parte degli Stati, ha affermato di nutrire preoccupazione “per il frequente uso di varie forme di detenzione amministrativa, in particolare nei confronti dei Palestinesi dei territori Occupati, comportanti restrizioni nella possibilità di avvalersi della assistenza legale e rispetto al diritto di piena conoscenza delle ragioni della propria detenzione”. E ha anche aggiunto che “queste caratteristiche limitano l’effettività dello scrutinio giudiziale, derogano agli obblighi discendenti dall’articolo 9 in misura superiore a quella consentita dall’art. 4”.
 
Però niente di più. Israele non è mai stato tacciato di essere uno “Stato canaglia”, ma anzi insignito del titolo di “unica democrazia del Medio oriente”.
 
Le cifre dei prigionieri politici palestinesi
 
Ed è così che il regime di occupazione può continuare ad essere durissimo. E il numero di prigionieri politici palestinesi è elevatissimo. Non disponiamo di cifre precise ma, su una popolazione stimata in poco meno di 4 milioni, dati diffusi a fine 2012 dal primo ministro palestinese Salam Fayyad riferiscono che sono quasi 750.000 i prigionieri palestinesi arrestati dalle forze di occupazione israeliana a partire dal 1967, tra essi 13.000 donne e 25.000 bambini.
La Palestinian Prisoners Society (PPS) ha riferito che, nel solo mese di settembre 2015, sono stati arrestati 562 palestinesi (tra cui almeno 12 bambini), la maggior parte a Gerusalemme.
 
Le forze di occupazione non fanno distinzione tra adulti, bambini, deputati. 
 
Si stima che ogni anno da 50 a 70 bambini palestinesi vengono arrestati in Cisgiordania, nelle forme dell’arresto o della detenzione amministrativa. Alcune stime parlano di 8.000 bambini detenuti dall’inizio del 2000. A fine dicembre 2014, si calcolavano in 199 i minori palestinesi detenuti, 14 dei quali di età tra i 12 e i 15 anni (4)
 
Un bambino arrestato dai soldati israeliani
 
Il regime giuridico e la Convenzione di Ginevra
 
I Palestinesi dei Territori occupati della Cisgiordania sono soggetti al governo del Comando Militare. Non altrettanto i coloni ebrei della Cisgiordania ai quali si applica invece il diritto israeliano. Il governo militare prevede una serie di misure caratterizzate dalla eccezionalità, nonostante l’occupazione si prolunghi oramai da quasi 50 anni
 
L’applicabilità della Quarta Convenzione di Ginevra ai Territori palestinesi occupati è stata da ultimo ribadita il 18 dicembre 2014 da 126 paesi, al termine di una conferenza speciale tenutasi proprio a Ginevra (assenti USA, Canada e Israele). Ebbene Israele continua impunemente a sostenere che le Convenzioni di Ginevra, che impediscono la colonizzazione dei Territori Occupati, non siano applicabili a Cisgiordania e Gaza, in quanto territori non più reclamati da Giordania ed Egitto e mai reclamati dai Palestinesi, che non hanno mai avuto uno Stato. Si tratterebbe dunque di territori posti sotto il controllo e la responsabilità dello stato ebraico. Quanto a Gerusalemme Est, Israele afferma che non può essere considerata occupata, perché sono stati estesi i diritti di cittadinanza anche ai residenti arabi, e quindi è annessa ufficialmente a Israele. Tuttavia la comunità internazionale non ha mai riconosciuto questa annessione.
 
Il risultato di una simile situazione di “eccezionalità” è che ai Palestinesi, nel quasi silenzio (e nella complicità) della comunità internazionale, non è garantita alcuna delle protezioni che sono assicurate a tutti gli altri popoli sotto.
 
Ma vediamole in dettaglio queste misure “eccezionali” che caratterizzano l’occupazione israeliana.
 
La pena di morte
 
La pena di morte non esiste nell’ordinamento israeliano. Unica eccezione è stata l’impiccagione di Adolf Eichmann nel 1962 per crimini contro l’umanità. Dopo un rapimento eseguito in violazione di tutte le leggi internazionali, un Tribunale privo di qualsiasi giurisdizione ha condannato a morte il gerarca nazista Adolf Eichmann, per crimini contro l’umanità. La rapida esecuzione ha chiuso la bocca di un uomo che avrebbe pure potuto dire qualcosa sui rapporti che vi erano stati tra nazismo e sionismo (5) 
 
Israele pratica tuttavia almeno due forme di pena di morte extragiudiziaria. 
 
La prima è quella degli omicidi mirati, pratica che Israele condivide con le cosche mafiose e le gang della droga, ma anche con gli USA. Si tratta di esecuzioni decise, senza processo e senza contraddittorio, in qualche segreta stanza, senza altra procedura che non sia quella di premere un grilletto (o un detonatore) contro il condannato.
 
L’altra sono gli omicidi commessi da singoli soldati, con la complicità di quasi tutta la popolazione ebraica (6).
 
Il 9 maggio 2018, è stato scarcerato, dopo solo nove mesi di reclusione, il soldato Elor Azaria. E’ tornato a casa, accolto da striscioni di benvenuto, e dalle dichiarazioni della ministra della Cultura, Regev e quello dei trasporti, Katz. 
 
Elor Azaria, l'assassino di un Palestinese a sangue freddo, acclamato in occasione della sua scarcerazione, dopo soli 9 mesi di reclusione
 
Il 24 marzo 2016, Azaria aveva ucciso a sangue freddo il palestinese Abdul Fatah al Sharif, a Hebron. Il giovane era a terra ferito, colpito dai soldati dopo avere tentato un accoltellamento. Era disarmato e impossibilitato a muoversi, non rappresentava dunque alcuna minaccia. Azaria si era avvicinato e gli aveva sparato alla testa uccidendolo.
 
La cosa avrebbe potuto essere fatta passare, come avviene abitualmente, come un’uccisione avvenuta durante le fasi dell’arresto, ma un video ha inchiodato Azaria, diffuso in forma virale su Youtube.
 
 
Il caso suscitò sdegno in tutto il mondo, ma non in Israele, dove si sono mobilitati tutti per il loro figlio ebreo che aveva ammazzato una cagna palestinese. Il risultato sono stati una condanna a 18 mesi di reclusione per omicidio “colposo”, ridotta poi della metà.
 
Un altro episodio di ordinario orrore in Israele è quello raccontato da Gideon Levy su Haaretz il 9 febbraio 2018, è il caso dei bambino palestinese sedicenne, Laith Abu Naim, punito con la morte per avere lanciato un sasso contro la jeep su cui viaggiavano i suoi assassini. Il bambino ha cercato di scappare mai i soldati gli hanno dato la caccia, fino a spingerlo in una radura e qui ammazzarlo (6).
 
L'adolescente Laith Abu Naim, ucciso come un animale braccato da una pattuglia israeliana
 
Segue l’uccisione di bambini
 
Nel ciclo di violenze cominciato nell’autunno 2000, più di 90 bambini palestinesi sono stati uccisi dagli Israeliani prima che un solo bambino ebreo fosse a sua volta ucciso; in totale nel periodo considerato circa 1500 bambini palestinesi sono stati uccisi dagli Israeliani e 130 bambini ebrei da Palestinesi.
D’altronde qualche anno fa, un ufficiale dell’esercito israeliano ha scaricato a bruciapelo il caricatore della sua pistola automatica su una ragazzina palestinese di 13 anni. In seguito ha dichiarato che avrebbe fatto lo stesso anche se avesse avuto 3 anni. Dal momento che numerosi subalterni avevano raccontato l’episodio, egli è stato giudicato da una Corte militare israeliana – ma per un delitto minore, non per omicidio. Ed è stato assolto (7).
 
Demolizione delle case
 
Si tratta di una misura che – come la detenzione amministrativa – è stata ereditata dal regime di occupazione inglese,
 
Si registrano due tipi di demolizione di case:
 
1. di carattere diremmo così ordinario e urbanistico. 
Sono 48.000 le case palestinesi demolite dall’inizio dell’occupazione del 1967. La maggior parte perché costruite senza autorizzazione edilizia. I Palestinesi segnalano che, per loro, è pressoché impossibile ottenere un permesso a costruire.
 
2.Nessuna “scusa” è utilizzabile per le demolizioni “punitive”. (una sorta di applicazione del principio biblico dell’occhio per occhio) Tra il 2001 e il 2005, secondo i dati forniti da B’tselemm (una ONG israeliana: Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati”) 664 case palestinesi sono state distrutte nei territori occupati, “per punizione”. Circa 4.182 persone innocenti sono state sfrattate, molte delle quali semplici vicini della famiglia di qualcuno considerato “criminale”, spesso sulla base di semplici sospetti.
Solo nell’agosto 2014, tre blocchi di appartamenti sono stati demoliti a Hebron, appartenenti alle famiglie e ai vicini di persone sospettate dell’uccisione di tre coloni. 
 
Non solo queste demolizioni politiche colpiscono soggetti la cui colpevolezza non è stata ancora giudizialmente accertata, in quanto solo sospettati di aver commesso un delitto, ma esse coinvolgono e puniscono anche gli altri innocenti componenti della famiglia. In questo senso la demolizione delle case costituisce una “pena collettiva” vietata dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra che recita: “Nessuna persona protetta può essere punita per una infrazione che non ha commesso personalmente” e le pene collettive e le misure di rappresaglia vengono definite quali crimini di guerra.
 
Demolizioni di case palestinesi
 
Si è detto però che Israele si rifiuta di applicare la Convenzione di Ginevra. E tuttavia ai Palestinesi non è assicurata protezione nemmeno dal diritto interno israeliano,
 
Decidendo sui ricorsi contro le demolizioni punitive, la Corte Suprema di Israele si è sempre formalmente astenuta dal decidere ogni qualvolta erano coinvolte le questioni della sicurezza e l’esercito israeliano (quindi sempre). Nel caso Abou Dahim, nel 2002, la Corte ha stabilito: “La nostra posizione è di non intervenire nella politica del difensore (intendendo l’esercito israeliano)”.
 
La detenzione amministrativa
 
Dati forniti nel dicembre 2012 dall’Autorità Palestinese calcolavano in 230 i Palestinesi sottoposti a detenzione amministrativa a fine 2012. Per dare un senso più preciso della portata di tale misura, possono citarsi dati come quello che stima in 20.000 gli ordini di detenzione amministrativa emessi a carico di Palestinesi nel solo anno 2000 e in 1678 quelli emessi dall’aprile 2008 al luglio 2009 (9).
 
La detenzione amministrativa è intesa a scongiurare un potenziale pericolo e, almeno ufficialmente, viene utilizzata a questo scopo. Ciò comporta che, a differenza degli imputati di un processo penale, ai soggetti sottoposti a detenzione amministrativa (DA) viene di frequente negata la conoscenza delle ragioni della propria detenzione e delle prove a sostegno del giudizio di pericolosità. Di conseguenza essi non sono in grado nemmeno di confutarle, presentando prove contrarie o contro-esaminando i testimoni.
 
La durata è indefinita e, di proroga in proroga, può prolungarsi in terno.
 
Vi sono tre principali apparati normativi in Israele che riguardano la detenzione amministrativa: 
 
1. Administrative Detention Order operativa nei Territori Occupati;
2. Emergency Powers (Detention) Law che si applica nel territorio di Israele propriamente detto;
3. La legge sulla reclusione degli Unlafwul Combatants (combattenti fuori legge)
 
Si è già detto attraverso quali cavilli Israele abbia evitato, fin dal momento della ratifica, il rispetto dell’art. 9 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, nella parte in cui dispone non solo che l’arresto o la detenzione possano essere ordinati soltanto secondo le procedure stabilite dalla legge, ma stabilisce anche che “chiunque sia arrestato deve essere informato, al momento del suo arresto, dei motivi dello stesso e deve al più presto avere notizia di qualsiasi accusa mossa contro di lui”.
 
Diritto Internazionale umanitario
 
Qui entra anche in considerazione la 4° Convenzione di Ginevra che, all’art. 78, dispone: “Se la Potenza occupante ritiene necessario, per impellenti motivi di sicurezza, di prendere misure di sicurezza nei confronti di persone protette, essa potrà tutt’al più imporre loro un residenza forzata o procedere al loro internamento”. Anche in tal caso, si dispone la possibilità di una procedura di appello e una revisione periodica, possibilmente semestrale, della misura stessa.
 
Nel commentario relativo a questo articolo, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CIRC) sottolinea che l’art. 78 parla di impellenti motivi di sicurezza, e non c’è quindi margine per utilizzare le misure menzionate collettivamente: ogni caso deve essere deciso separatamente” e devono avere carattere davvero eccezionale.
 
Inoltre l’art. 49 della Convenzione, nello stabilire che “i trasferimenti forzati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette” possano avvenire solo nell’ambito dei Territori occupati, con divieto di trasferimento delle persone entro i confini della Potenza Occupante, costituiscono un ulteriore motivo di violazione della Convenzione di Ginevra da parte di Israele.
 
Il controllo giurisdizionale è in realtà solo apparente e costituisce una foglia di fico, un altro cavillo da “paglietta”, per restare formalmente nell’ambito della legalità internazionale.
 
Si rilevano infatti numerosi indici di arbitrarietà e tendenze all’uso inflazionistico delle DA
- negli atti delle procedure di convalida le formule utilizzate per fondare le detenzioni appaiono uniformemente ripetitive, ellittiche, stringate e prive di concreti riferimenti individuali relativi al detenuto e alla sua pericolosità. Ricorrono sistematicamente frasi come: “essendo egli un membro operativo di Hamas che mette in pericolo la sicurezza della regione e dei suoi residenti” (il nome dell’organizzazione varia - Hamas, Fronte Popolare etc. - o addirittura non appare affatto);
- la prassi applicativa, contrariamente alle norme internazionale e alle stesse indicazioni della HCJ, ha reso le DA uno strumento a cui far ricorso in maniera routinaria, capovolgendo la ratio dell’istituto e dilatandone i limiti di utilizzo ben al di là dei casi eccezionali e del carattere di ultima istanza cui dovrebbe soggiacere: i dati forniti dal Portavoce dell’IDF circa il periodo tra Agosto 2008 e Luglio 2009 indicano che allo scrutinio dei giudici militari di primo sono state presentate 1678 richieste di DA. Di queste, appena 82 sono state respinte (5%), a fronte delle 1596 convalidate (95%); 
- tutte le testimonianze sono indirette, poiché gli agenti ISA che sono giunti a conoscenza di attività pericolose dell’imputato o ritengono di avere indizi in merito non compaiono di fronte alla Corte;
 
Nella stragrande maggioranza dei casi, il giudice ha accolto la richieste del procuratore di secretare i mezzi di prova (togliendo ogni effettività al diritto di difesa). Nel delirio di argomentazioni che attribuiscano una qualche legittimità a quello che è sostanzialmente un arbitrio, si è giunti all’assurdo di sostenere che, quando il materiale probatorio viene secretato, la funzione difensiva dell’accusato si sposta in capo al giudice stesso, momentaneamente.  Tuttavia gli stessi giudici, nella prassi, non controllano tutto il materiale in possesso dell’ISA, né lo richiedono
 
Il sistema di convalida delle DA, pur assicurando nominalmente un sistema di difesa, di controllo giurisdizionale e di impugnazioni, lo priva di ogni implicazione di garanzia, rendendolo puramente di facciata in relazione al diritto di difesa concretamente esercitabile dall’accusato.
 
Gli Unlafwul Combatants
 
Nel 2000 la HCJ ha stabilito che Israele non poteva continuare a detenere cittadini libanesi come “merce di scambio” per il rilascio di prigionieri di guerra israeliani, poiché i primi non costituivano più un pericolo per la sicurezza nazionale. La Knesset, di conseguenza, allo scopo di legalizzare queste detenzioni, nel 2002 ha promulgato la Legge sulla Reclusione degli Unlafwul Combatantants (UC).
 
La stessa norma è oggi utilizzata, a seguito del “disengagement” delle forze di occupazione dalla Striscia, per incarcerare i residenti di Gaza senza processo.
 
La peculiarità di questa disciplina è nel regime delle presunzioni
 
la prima inverte l’onere della prova rispetto alla pericolosità dell’accusato in ordine al rilascio; in altre parole, relativamente un soggetto identificato come UC si presume, fino a prova contraria, che il rilascio sarà motivo di pericolo per la sicurezza nazionale fino alla cessazione delle ostilità da parte del gruppo di appartenenza; 
 
la seconda presunzione è relativa all’esistenza delle ostilità, poiché su di essa fa fede la dichiarazione sottoscritta dal Ministro della Difesa, che “vale come prova in ogni procedimento”. 
 
La giurisprudenza della Corte Suprema
 
Nel 2008 la Corte Suprema ha ritenuto la Legge compatibile con la Costituzione. Il Presidente della Corte Suprema ha equiparato a tutti gli effetti la reclusione secondo la legge in questione alla detenzione amministrativa, stabilendo che anche alla prima si applicano tutte le regole dell’Administrative Detention Order. 
 
La Corte Suprema, tuttavia, si è rifiutata di pronunciarsi sulla costituzionalità del sistema di presunzioni della Legge sulla Reclusione degli UC: sulla base del fatto che le presunzioni non erano state utilizzate nel caso de quo, e dunque ha ritenuto la questione meramente teorica e non decisiva ai fini del giudizio (4).
 
Conclusioni
 
Anche altri paesi, gli USA per esempio, si sono misurati – a torto o a ragione – con situazioni “eccezionali” impossibili da gestire con gli ordinari strumenti giudiziari o militari. Guantanamo ne è un esempio. Ma perfino gli USA, l’unica superpotenza mondiale, è stata costretta a fare in qualche modo i conti con la necessità del ripristino della legalità, fino all’annuncio di Obama di una chiusura (per la verità mai attuata) della prigione in territorio cubano. Israele non sente in alcun modo una simile necessità, continuando a crogiolarsi (e ad approfittare) della sua “eccezionalità”.
 
Eccezionalità che la eleverebbe al di sopra di ogni concetto di diritto internazionale, ma anche di semplice umanità, sulla base di un bisogno di sicurezza che non è diverso da quello del ladro che teme che il derubato possa tentare di riprendersi il maltolto.
 
La ragione di tali violazioni, che pure si cerca di addolcire con una parvenza di controllo giurisdizionale, sta nella filosofia di fondo di essa: non una temporanea presenza per ragioni tattiche o militari, ma una annessione più o meno mascherata.
Da questo punto di vista, quella israeliana non è una vera e propria occupazione, è piuttosto una lenta espulsione dei Palestinesi. Con i nuovi insediamenti, l’appropriazione di terre e risorse, con la distruzione di case e il mancato permesso di costruirne di nuove, e anche con meccanismi oppressivi e detentivi. Insomma Israele tende ad un risultato molto preciso: ridurre il numero di Palestinesi presenti in Palestina. Non è un genocidio, piuttosto un’epurazione. Ma non etnica, dal momento che la maggior parte dei Palestinesi discendono da ebrei convertiti.
 
Dunque, se è utile e importante l’analisi degli strumenti giuridici attraverso i quali lo Stato di Israele imprigiona in varie forme migliaia di Palestinesi, se è importante il giudizio di conformità o meno di tali strumenti al diritto internazionale, una cosa deve restare chiara: trattandosi di una occupazione finalizzata all’impossessamento delle terre palestinesi e all’espulsione di questi ultimi, corrispondenti o meno che siano i mezzi usati al diritto internazionale, l’occupazione israeliana resta illecita e illegittima, perché lo è in sé, ontologicamente.  
 
Oggi Israele è uno Stato razzista e xenofobo, ma continua a essere esaltato come l’Unica Democrazia del Medio Oriente”.
 
 
Riferimenti:
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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