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ProfileCrisi siriana, 6 marzo 2018 - L'offensiva dei "ribelli" nella Ghuta orientale, cui le forze di Assad rispondono, ha varie motivazioni, analizzate compiutamente da René Naba...

 

Palestine Solidarité, 28 febbraio 2018 (trad.ossin)
 
I retroscena della battaglia nella Ghuta orientale
René Naba
 
Un nuovo fronte si è aperto a inizio febbraio 2018 nella periferia di Damasco, nel settore di al-Ghuta, con l’obiettivo prioritario di alleggerire la pressione militare sulle forze turche e i loro ausiliari dell’Esercito Siriano Libero (SFA) nel nord della Siria, in quanto l’offensiva turca, -«l’operazione Ramo d’Ulivo»- contro le forze curde siriane, lanciata il 19 gennaio 2018, segna il passo, col pericolo che i Turchi possano impantanarsi nel calderone siriano.
 
 
Gli obiettivi reconditi della nuova battaglia di al Ghuta, che vede impegnati soprattutto gli alleati della Turchia e del Qatar - Ahrar Al Cham e Jaych Al Islam – sarebbero, da un lato, quello di rilanciare i gruppi islamisti che hanno perso credibilità dopo una serie di sonori rovesci seguiti alla riconquista di Aleppo nel dicembre 2016; dall’altro, reinserire le potenze occidentali e i loro alleati petromonarchici nel gioco diplomatico dal quale sono state espulse dalle performance militari russe e dei loro alleati regionali, le forze governative dell’Esercito Arabo Siriano, i Pasdaran (Iran) ed  Hezbollah (Libano).
 
Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha adottato sabato 24 febbraio 2018, all’unanimità, una risoluzione che reclama « senza indugi » un cessate il fuoco umanitario di un mese in Siria, mentre infuria la battaglia nel settore della Ghuta orientale, periferia di Damasco. Due dei gruppi islamisti «Jaych Al Islam» (Esercito dell’islam, filo saudita) e Faylaq Ar Rahmane (La Brigata di Al Rahman, filo Turchia-Qatar) hanno sottoscritto questa risoluzione, dalla quale sono esclusi i gruppi considerati terroristi (Daesh, Jabhat Al Nusra, e Al Qaeda). Questo fatto conferma che la battaglia di Ghuta est oppone l’esercito governativo siriano a dei gruppi terroristi che si confondono con la popolazione civile, usata come «scudo umano», e che beneficiano di facilitazioni di transito e rifornimenti di armi da parte degli Israeliani, e non è un assalto delle forze governative contro dei civili innocenti, come tende ad accreditare la propaganda occidentale e dei loro alleati petromonarchici.
 
La Turchia ha inviato le sue truppe nel settore di Afrin, il 19 gennaio, contro le forze curde, addestrate da Francesi e Statunitensi, per impedire la creazione di una entità curda indipendente nel nord della Siria.
 
Nei calcoli degli strateghi occidentali, una simile entità compenserebbe il fallimento della proclamazione di uno Stato indipendente curdo nel nord dell’Iraq. Un progetto che era stato concepito dagli Statunitensi e dagli Israeliani in quanto doveva servire da piattaforma per i loro maneggi anti iraniani dal Nord dell’Iraq, alla frontiera dell’Iran.
 
La nuova strategia occidentale, adottata durante una riunione a Londra in data 11 gennaio 2018, prevede il rilancio della campagna sulle armi chimiche, la divisione del paese, il sabotaggio del processo di riconciliazione inter siriano patrocinato dalla Russia a Sotchi, oltre al recupero della Turchia, unico paese musulmano membro fondatore della NATO che ha preso le distanze dagli alleati atlantisti.
 
Per approfondire il tema:
 
Syrieleaks, un cablogramma diplomatico britannico rivela la strategia dell’Occidente 
 
Un tempo punta di diamante della guerra contro la Siria, Ankara teme che il progetto occidentale possa provocare una disgregazione della Turchia per effetto del rilancio dell’irredentismo curdo. Il presidente Erdogan accarezza il progetto di creare una barriera umana araba nella zona di frontiera siro-turca, trasferendo in questo settore i 3,5 milioni di Siriani rifugiati in Turchia, sbarazzandosi nello stesso tempo anche di questo fardello umano e finanziario, in considerazione delle prossime scadenze elettorali.
 
Noti per la loro versatilità, e nonostante siano addestrati da Statunitensi e Francesi, i Curdi hanno fatto appello al Presidente siriano Bachar Al Assad per difendere «l’integrità territoriale» della Siria e battersi contro i Turchi, per quanto siano tra i grandi artefici dello smembramento del paese di accoglienza.
 
Al di là di questi colpi di scena guerrieri, si pone la questione della razionalità occidentale e curda nella guerra di Siria:
 
Per quanto riguarda i Curdi, il fatto di allearsi con gli Stati Uniti, artefici della cattura di Abdallah Ocalan, il capo carismatico del movimento indipendentista curdo della Turchia, e poi invocare l’aiuto della Siria, alla dissoluzione del cui governo centrale essi hanno contribuito, dimostra almeno incoerenza.
 
Per gli Occidentali, opporsi all’indipendenza della Catalogna e della Corsica, e nello stesso tempo impegnarsi in uno smembramento della Siria, dimostra almeno ambiguità, il che rende poco credibile i loro discorso moralistici.
 
Allo scoppio della guerra siriana, la presenza della Russia era ridotta allo stretto necessario. Sette anni dopo, essa dispone di una importante base aerea, a Hmeiymine, sul litorale siriano, la prima in Medio Oriente dall’epoca degli Zar, raddoppiata con una base navale a Tartus; la Cina dipone oggi di uno scalo a Tartus, attiguo alla base navale russa, prima presenza militare cinese nel Mediterraneo dalla notte dei tempi.
 
In crisi con la NATO, di cui è membro fondatore, la Turchia si è molto avvicinata all’Iran e alla Russia, i capofila della contestazione contro l’egemonia israelo-occidentale in Medio Oriente, mentre l’Iran è oramai militarmente presente in Siria, che confina con Israele, e mentre lo Stato ebraico ha oramai perso il controllo assoluto dei cieli, come dimostra l’abbattimento di un caccia bombardiere F16 israeliano nello spazio aereo siriano, e mentre un Hezbollah libanese sperimentato dalla guerra in Siria, si elevato al rango di grande decisore regionale: Di chi la colpa di tutto questo?