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I governi guardano alla crescita economica come la soluzione di tutti i mali. Un’economia che cresce è un’economia forte, che non deve temere nulla dal futuro. La crescita è l’argomento principale dei telegiornali, dei dibattiti politici e dei programmi elettorali.
Ma dove ci sta portando questa crescita? Quali sono i limiti della rivoluzione industriale? L’età industriale è l’età della Ragione, della Scienza, della Consapevolezza e del benessere oppure la scarsità e il malessere tornano attuali? Veramente credevamo che avremmo avuto una crescita infinita in un mondo finito? Eppure le scienze più antiche, che ci hanno accompagnato nello sviluppo della civiltà ci insegnano che l’infinito e il finito non vanno d’accordo, non combaciano e non si intersecano. Lo sviluppo infinito in uno spazio finito è concettualmente impossibile. Pensare il contrario, significa sostenere che un uomo possa ingerire più cibo di quanto la massima estensione del suo stomaco permetta. Crescita infinita significa risorse infinite, legno infinito, carbone infinito, petrolio infinito, grano infinito. Ma tutto ciò cozza fortemente con i confini finiti del nostro pianeta.
A distanza di due secoli dalla Rivoluzione industriale, proprio mentre nuovi giganti vi stanno accedendo, l’ottimismo comincia a scemare. Dopo due secoli in cui il medioevo sembrava abbandonato definitivamente, alcune tematiche tornano prepotentemente. A duecento anni di distanza dalle teorie di Malthus, dichiarate obsolete e applicabili solo a società agricole, l’umanità è entrata nell’epoca dell’insostenibilità ecologica. Ciò significa che se la popolazione continuerà ad aumentare subirà una drastica riduzione, non dovuta ad una consapevole politica demografica, ma alla carestia. Un tale scenario che ci spaventa e ci terrorizza era invece considerato normale duecento anni fa. La dialettica fa il suo gioco e dopo averci concesso un balzo in avanti di duecento anni adesso ci riporta indietro di altri duecento anni.
La trappola maltusiana e cioè “il circolo vizioso per cui nei secoli dei secoli un aumento della popolazione aveva invariabilmente significato un aumento di miseria era stata rotta”. Quanti oggi si riconoscono in questa affermazione ancora in voga 10 anni fa? Probabilmente 200 anni fa non abbiamo rotto proprio niente, abbiamo solo aumentato la scala del fenomeno. Se 10 campi coltivati fornivano sussistenza a 100 famiglie oggi ne forniscono a 1000, ma non a "infinite" famiglie.
Nonostante l’economia mondiale abbia superato la soglia della sostenibilità la popolazione continua a crescere e ciò accade non per qualche arcana magia, ma semplicemente perché stiamo attingendo dalle riserve del pianeta.
A fronte di questo scenario abbiamo l’irresponsabile comportamento della prima potenza planetaria che impegna la propria energia elettrica per decorare Manhattan; che va alla ventura del petrolio in Medio Oriente; che consuma tre volte la quantità d’energia consumata dagli Europei.
Poi ci sono la Cina e l’India che hanno i 2/5 della popolazione totale del pianeta. Abbandonare una battaglia così importante significherebbe la distruzione dell’ecosistema ed una nuova e brutale glaciazione. Questi due paesi sono arrivati ultimi nella spartizione delle risorse mondiali. Un comportamento revisionista in senso imperialista, in linea con quello della Germania guglielmina che provocò le due guerre mondiali, significherebbe accelerare la crisi e probabilmente condannare all’estinzione l’umanità. Ma probabilmente le cose andranno diversamente. Sembra che la Cina non sia caduta nella voragine sviluppista. A discapito delle apparenze provocate da una crescita trentennale, nell’Ottobre 2006 il Governo aveva già annunciato la nuova fase: “frenare la crescita e ridistribuire”. Poche parole che farebbero brillare gli occhi ad un uomo di media intelligenza. Il Governo considera il sistema scandinavo il modello da seguire. Il suo ritardo storico ha permesso alla Cina di vedere l’intera Rivoluzione industriale nascere, vivere e morire. Poche settimane fa il Governo cinese annunciava la redazione di un documento¹ diviso in 20 volumi in cui si faceva riferimento alla riduzione della povertà, ma soprattutto alla riduzione delle disuguaglianze entro il 2050. Inoltre a differenza degli Stati Uniti, la Cina ha firmato il Protocollo di Kyoto e nonostante non sia vincolata al suo rispetto, in quanto paese in via di sviluppo, ha già annunciato nuove riduzioni di CO2.  La linea politica accennata purtroppo, però si scontra con una realtà ben diversa, basata sulla corruzione, affarismo, diritti negati, inquinamento, capitalismo sfrenato e miseria. Le spinte centrifughe delle regioni più ricche e dei ceti più agiati rendono difficile il mantenimento di una rotta lungimirante. Inoltre l’atteggiamento provocatorio degli USA mina il mantenimento di un clima sereno, ove la razionalità possa governare. Ma la politica ha tempi lunghi e chi viene da due secoli di umiliazioni provocate dalla “scienza occidentale” ha capito cos'è lo "sviluppo".

 
1. An Outline of Sustainable Development in China: State Volume

 
Valerio Quatrano