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Recinzioni israeliane e chiacchiere egiziane
Ahmed Bensaada

Se la tendenza si conferma, Israele diventerà, in un avvenire assai prossimo, l’unico territorio del mondo totalmente protetto da barriere realizzate dall’uomo


La prima barriera realizzata dallo Stato ebraico è quella comunemente conosciuta come “muro dell’apartheid”, ma che è stata battezzata “recinzione di sicurezza israeliana” per fare “politically correct”. Lunga più di 700 chilometri, serpeggia lungo le terre per separare fisicamente i Palestinesi dagli Israeliani. Si calcola che solo il 20% di questa recinzione sorga sul tracciato della Linea verde, la frontiera tra la Palestina e lo Stato ebraico del 1967. La costruzione di questa opera segregazionista, costata più di 2,5 milioni di euro a chilometro, ha consentito a Israele di arraffare in via definitiva le terre palestinesi, sotto gli occhi della comunità internazionale. Così, col pretesto della sicurezza, il “muro dell’apartheid” ha favorito l’annessione di nuovi territori, oltre a complicare considerevolmente la vita dei Palestinesi.


Il 2 gennaio scorso, Israele ha completato la costruzione del troncone principale della recinzione che costeggia, nel Sinai, la sua frontiera con l’Egitto. Alta cinque metri e lunga 230 chilometri, questa barriera si compone di una siepe di reticolati, una strada sabbiosa e infrastrutture sofisticatissime per la raccolta di informazioni. Quando sarà completata la sezione finale di 14 chilometri, tra tre mesi secondo le previsioni, la recinzione si estenderà dal porto di Eilat (sul mar rosso) alla striscia di Gaza.


Approfittando di questo avvenimento per farsi propaganda sui temi della sicurezza, Netanyahu, il capo del governo israeliano, è andato a inaugurare l’opera che ha richiesto 45.000 tonnellate di acciaio e quasi 430 milioni di dollari USA.


“Ritengo che il successo ci incoraggi ad avviare i lavori anche sulle altre frontiere. In futuro, noi chiuderemo tutte le frontiere di Israele”, ha dichiarato. (1)


Ecco dunque in tutto il suo splendore il sogno di “Bibi”: circondare Israele e le sue colonie di recinzioni! 


E lavora senza sosta per la sua realizzazione.


Infatti il 6 gennaio 2013 ha annunciato la costruzione di una barriera fortificata sull’altipiano del Golan della lunghezza di 70 chilometri, lungo la frontiera israelo-siriana. Dello stesso tipo di quella eretta in Sinai, questa recinzione deve proteggere lo stato ebraico da eventuali incursioni dei gruppi terroristi presenti nella regione e coinvolti nel conflitto siriano. Essa consente anche (e soprattutto) di assicurare la tranquillità dei coloni che vivono in una decina di colonie impiantate in quella regione siriana e di completarne la giudeizzazione.


Per esaudire i voti di Netanyahu e chiudere, così, lo stato ebraico in una “gabbia”, resta soltanto per Israele di farlo sulle frontiere siriana e giordana.


E’ quello che il primo ministro israeliano aveva annunciato, fin dal 1 ° gennaio 2012. Lungo la frontiera ovest con la Giordania, sarà costruito un troncone di 240 chilometri (a un costo di 360 milioni di dollari USA).


In un approfondito articolo sulla questione, il “Monitoring Israeli Colonizing activities in the Palestinian West Bank and Gaza”, progetto finanziato dall’Unione Europea, ha notato che: “la decisione israeliana di istallare una recinzione di sicurezza lungo la frontiera giordana ha un contenuto ancora più grave del semplice peggioramento delle condizioni di vita dei Palestinesi. La Giordania è considerata come frontiera naturale riconosciuta internazionalmente. La diplomazia dei Muri israeliana mira in realtà ad allargare il territorio israeliano dal Mar Mediterraneo a ovest, fino alle rive del Giordano a est, a discapito del popolo palestinese e del suo diritto ad uno Stato, del quale la frontiera giordana dovrebbe essere la principale porta di entrata e di uscita verso il mondo.
In questo modo la barriera di sicurezza sulla frontiera giordana è l’avvio del peggiore scenario possibile: il trasferimento forzato di tutti i Palestinesi verso la Giordania, scenario considerato da alcuni gruppi e leader politici israeliani come plausibile, considerando l’esistenza stessa del popolo palestinese come una minaccia continua per l’esistenza dello Stato ebraico” (2).


A nord, la frontiera israelo-libanese, la costruzione di un muro lungo due chilometri e alto diversi metri è stata avviata il 30 aprile 2012. Suo scopo: separare la colonia israeliana di Metula dal villaggio libanese di Kafr-Kila (3).


Da questa corsa isterica alla blindatura, l’analista israeliano Alex Fishman ha tratto una sferzante conclusione: “Siamo una nazione che si imprigiona dietro recinzioni e si rifugia, terrificata, dietro scudi difensivi”. E’ diventata, aggiunge, una “malattia mentale nazionale” (4).


Mentre Israele costruisce barriere di sicurezza per “difendersi” dai pericoli che gli vengono dai suoi vicini, la “primavera” araba continua a lavorare nei paesi limitrofi.


A sud, dove la fortificazione è quasi completata, un governo islamista governa l’Egitto con il presidente Mohamed Morsi. Membro della confraternita dei Fratelli Mussulmani e primo presidente civile della repubblica, Morsi ha già fatto scalpore per l’uso di espressioni un po’ troppo “affettuose” in una corrispondenza col suo omologo israeliano Shimon Peres (5). Bisogna riconoscere che il vocabolario di Morsi nei confronti degli Israeliani è molto cambiato dopo che un soffio “primaverile” lo ha portato alla magistratura suprema. Infatti, solo qualche mese prima dell’inizio delle rivolte che hanno posto fine al regime di Mubarak, egli invitava a “rompere tutte le relazioni con questa entità criminale (Israele)” e diceva tra l’altro che “gli ebrei sono delle sanguisughe, che discendono dai porci e dalle scimmie” (6).


E non è tutto. Un’altra personalità della confraternita ha scatenato una tempesta mediatica proponendo agli ebrei egiziani che hanno fatto la loro “alya” (Aliyah, l’immigrazione ebraica in Israele, ndt) di ritornare in Egitto e riacquistare i loro beni (7). Si tratta di Essam El-Erian, vice presidente del partito “Giustizia e Libertà” (vetrina politica dei Fratelli Mussulmani) e consigliere del presidente Morsi.


Questa singolare sortita mediatica ha sorpreso più d’uno, tanto più che è intervenuta solo cinque settimane dopo la sanguinosa operazione “Pilastro di difesa” contro Gaza, che ha provocato almeno 163 morti e 1235 feriti palestinesi.


Oltre a ciò, El-Erian ha accusato l’ex presidente Nasser di avere espulso gli ebrei dall’Egitto. Questa animosità “fratellista” contro Nasser non è una novità e riappare ogni volta che
se ne presenta l’occasione (8).


L’accusa è stata però contestata da Kamal El-Kadi, che ha analizzato lo star-system ai tempi del presidente Nasser. Egli ha dimostrato, dopo una descrizione storica di questo tumultuoso periodo, che molte personalità ebree egiziane (per esempio l’illustre Leila Mourad) erano adulate e rispettate dal pubblico e che Nasser aveva conferito a qualcuna di esse delle medaglie al merito nel corso di ricorrenze nazionali. Per concludere: “Tutti questi gesti e queste prove  confermano che Nasser e il suo regime non sono mai stati contro la comunità ebraica egiziana e non hanno forzato nessuno ad abbandonare l’Egitto per ragioni religiose o etniche” (9).


La presidenza della repubblica non ha tardato a prendere le distanze dalle affermazioni di Essam El-Erian, dichiarando “che egli aveva parlato a titolo personale, nonostante sia uno dei consiglieri del presidente Morsi” (sic) (10).


Ma in Egitto gli islamisti non sono gli unici non sono gli unici a fare gli occhi dolci verso l’oltre Sinai e le recinzioni elettrificate alte cinque metri. Maikel Nabil, un cyber attivista egiziano filo-democrazia di origine copta, si è recato in Israele nel dicembre 2012. Finanziato da U.N. Watch, una organizzazione affiliata al Congresso ebraico USA, il suo viaggio è stato molto mediatizzato dalla stampa israeliana che lo definisce un “eroe” della rivoluzione egiziana.


Maikel Nabil è diventato famoso quando venne arrestato dalle autorità militari nell’aprile 2011, vale a dire dopo la caduta di Mubarak. Condannato a tre anni di prigione per avere insultato i militari sul suo blog, venne liberato dopo dieci mesi grazie ad una mobilitazione internazionale della blogsfera e ad una grazia accordata in occasione del 1° anniversario della rivolta egiziana.


La visita in Israele prevedeva la tenuta di diverse conferenze. Durante una di esse, all’Università ebraica di Gerusalemme, è stato contestato dagli studenti palestinesi.


Occorre dire che questo dissidente ha attirato immediatamente l’attenzione per le sue singolarissime posizioni politiche. Benché di origine copta, egli si proclama ateo, laico e filo-israeliano. Qualche giorno prima della caduta di Mubarak aveva postato un video nel quale chiedeva a Israele di essere solidale con la “rivoluzione “egiziana , argomentando che Mubarak “non era mai stato un amico di Israele” e che “la democrazia e i diritti dell’uomo sono valori israeliani” (12).


Per giustificare il suo viaggio in Israele, Maikel Nabil scriveva sul Times of Israel: “Dopo anni passati a fare appelli alla pace, ho capito che la pratica della pace è più importante del parlarne. La mia visita è un messaggio della comunità di pace egiziana, per dire che ne abbiamo abbastanza della violenza e dello scontro e vogliamo che finiscano. Noi vogliamo vivere insieme in quanto esseri umani , senza violenza, razzismo o muri” (13).


Non poteva dire meglio. Mentre lui ed Essam El-Erian continuano a fare chiacchiere sul ritorno degli ebrei egiziani e le virtù della democrazia israeliana, lo stato ebraico continua la minuziosa edificazione di muri sofisticati che lo isolano dal mondo arabo e  che gli permettono di annettere altre terre.


Terre che ricoprono corpi palestinesi ancora caldi. Terre imbevute del sangue palestinese che non ha avuto ancora il tempo necessario per essiccarsi.      

 

Riferimenti:


1-Herb Keinon, « La barrière sud : objectifs accomplis », Jérusalem Post, 9 gennaio 2013,
http://www.jpost.com/EditionFrancaise/PolitiqueEtSocial/Arti...


2-POICA.org, « La Diplomatie des Murs », 3 febbraio 2012,
http://www.poica.org/editor/case_studies/view.php?recordID=4...


3-Laure Stephan, « A la frontière avec le Liban, Israël érige un mur », Le Monde, 2 maggio 2012,
http://www.lemonde.fr/proche-orient/article/2012/05/02/a-la-...


4-Harriet Sherwood, « Israel extends new border fence but critics say it is a sign of weakness », The Guardian, 27 marzo 2012,
http://www.guardian.co.uk/world/2012/mar/27/israel-extends-b...


5-Ahmed Bensaada, « La tragedia di Gaza alla luce della 'primavera' araba », www.ossin.org, dicembre 2012, http://www.ossin.org/analisi-e-interventi/tragedia-gaza-promavera-araba-sunniti-sciiti.html


6-Roger Astier, « Vidéo : Morsi : "Les juifs sont des suceurs de sang, les descendants des porcs et des singes !" », JSSNews, 5 gennaio 2013,
http://jssnews.com/2013/01/05/video-morsi-les-juifs-sont-des...


7-Said Ali, « Avec vidéo…El-Erian demande au juifs égyptiens de retourner d’Israël », Al Marsy Al Youm, 28 dicembre 2012,
http://www.almasryalyoum.com/node/1344166


8-Ahmed Bensaada, « Egitto : i Fratelli e il Grande Esercito »,
www.ossin.org, gennaio 2013 http://www.ossin.org/egitto/hussein-tantaoui-sami-anan-abdel-rahman.html


9-Kamal el-Kadi, « Les stars juives sur la terre d’Égypte », Al-Quds Al-Arabi, 11 gennaio 2013,
http://www.alquds.co.uk/index.asp?fname=onlinedata2013-01-11...


10-Al-Arabiya, « La présidence égyptienne : nous ne sommes pas responsables des déclarations d’El-Erian sur les juifs », 1° gennaio 2013,
http://www.alarabiya.net/articles/2013/01/01/258082.html


11-Robert Mackey, « Protesters Disrupt Egyptian Blogger’s Speech in Israel », The New York Times, 24 dicembre 2012,
http://thelede.blogs.nytimes.com/2012/12/24/protesters-disru...


12-Maikel Nabil, « Message to Israel Calling for solidarity with the Egyptian Revolution », Youtube, 4 febbraio 2011,
http://www.youtube.com/watch?v=UdZjRHjlsck


13-Maikel Nabil, « Making peace by going to Israel », The Times of Israel, 10 dicembre 2012,
http://blogs.timesofisrael.com/let-there-be-peace/