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Afrique Asie, gennaio 2010

 

Dubai

 

di Hakim Ben Hmmouda


 

Il mondo della finanza guarda a Dubai. Questa città-miracolo, che aveva rappresentato per lungo tempo il sogno postmoderno del capitalismo di domani, è all’origine delle maggiori inquietudini e paure del momento. Infatti il 25 novembre scorso Dubai World, una delle holding private dell’emirato, ha chiesto una moratoria su una scadenza di 3,5 miliardi di dollari. Da allora i finanzieri del mondo intero trattengono il respiro. E si chiedono: è la fine della fantastica storia di questo piccolo villaggio diventato una megalopoli globale, che incarna l’utopia capitalista fatta di tecnologie, di lusso e di sogni realizzati? Il fallimento per Mohamed Ibn Rached al-Maktoum, soprannominato “Cheikh Mo”, l’eccezionale visionario che governa da moltissimo tempo l’emirato, anche se è diventato emiro solo alla morte di suo padre nel 2006? E tuttavia egli ha dichiarato di aver realizzato solo il 10% delle sue ambizioni per Dubai.

 

Progetti strabilianti

Molte immagini ricordano la crisi profonda che attraversa l’emirato. I cantieri che, fino a poco fa, brulicavano di gente sono diventati deserti, con le gru e le spalatrici ferme… Migliaia di espatriati abbandonano l’Eldorado del XXI secolo per sfuggire alle banche e ai creditori. Auto di lusso sono abbandonate nei parcheggi dell’aeroporto. Migliaia di lavoratori immigrati errano alla ricerca di cantieri ancora aperti… Tante scene che ricordano che l’ascesa folgorante di questo piccolo Stato è in grande difficoltà.

La crescita di Dubai è cominciata negli anni 1960 con la scoperta del petrolio. Occorre dire che questo piccolo villaggio, che s’era specializzato da lustri nella pesca e nel commercio, era stato colpito in pieno dalla crisi del commercio delle perle negli anni 1930. Una crisi che lo aveva emarginato e respinto nell’anonimato. La scoperta del petrolio lo ha rilanciato, permettendogli di avviare un importante sforzo di modernizzazione delle infrastrutture. Ma le riserve petrolifere dell’emirato si sono rivelate limitate. I suoi governanti, soprattutto Cheikh Rashed, hanno avviato assai presto un vasto movimento di diversificazione dell’economia. Una diversificazione che sfrutta i saperi secolari del territorio, vale a dire le attività portuali e il commercio. Viene costruito il porto di Jebel Ali e diventa una zona di libero scambio. Ottiene un successo importante e diventa rapidamente uno dei più grandi assi del commercio tra Asia, Africa e mondo arabo. Ma la diversificazione non si ferma qui: fin dalla metà degli anni 1990, per impulso di Cheikh Mo, l’emirato si è impegnato in diversi settori di servizi, soprattutto il trasporto aereo, con il rapido sviluppo della compagnia Emirates che ha raggiunto, in poco tempo, il livello delle più importanti compagnie mondiali. Il turismo, le nuove tecnologie partecipano anch’esse all’economia diversificata.

Nel corso di questi anni, è un continuo successo per l’emirato che, per molti, rappresenta il capitalismo immateriale e high tech di domani.

Per seguire l’onda, Dubai e le sue compagnie si sono lanciate nelle attività immobiliari, rivaleggiando in progetti sempre più strabilianti e smisurati. Così, dopo Burj al-Arab, il palazzo più lussuoso del mondo con le sue sette stelle, l’emirato avvia altri progetti demenziali, tra cui la creazione di tre isole a forma di palma, o quello battezzato “The World”, composto da più isole che compongono una cartina del mondo. Altri progetti significativi di questi anni di smisuratezza: il Burj Dubai, l’edificio più alto del mondo che raggiunge gli 800 metri di altezza, e che sarà inaugurato in grande discrezione nelle prossime settimane.

Queste avventure immobiliari sono state principalmente condotte dalla due grandi imprese Nakheel e Emaar, attualmente al centro della tormenta. I loro sogni di grandezza di Dubai hanno superato le frontiere dell’emirato: hanno iniziato altri progetti immensi in Tunisia, Algeria, Marocco.

Ma quello che doveva succedere è successo: il mercato immobiliare, diventato una bolla speculativa, si è rovesciato, provocando un grosso movimento di panico. La caduta dei prezzi e delle vendite immobiliari ha provocato effetti negativi per le più importanti ditte di Dubai che si sono largamente indebitate sul mercato internazionale per realizzare i loro grandi progetti. Sono costrette ad abbandonarne parecchi ed a chiudere altri cantieri per mancanza di liquidità. Queste imprese hanno potuto contare sul sostegno del governo per tutto l’anno 2009. Ma il loro indebitamente ha raggiunto un livello tale che sono state costrette a chiedere una moratoria su alcune scadenze.