Stampa

 

 

Persi la mente mia, persi l’ingegno
 
 
Nella notte del 2 novembre 1975, esattamente 40 anni fa, veniva ucciso sul litorale di Ostia Pier Paolo Pasolini. Come talvolta accade, fu un essere insignificante a uccidere un uomo grande (il gesto sarebbe forse piaciuto alla vittima, se avesse avuto la possibilità di guardarsi da lontano mentre moriva). D’altronde qualche anno prima, il 9 ottobre 1967, era stato un oscuro sergente dell’esercito boliviano, Mario Teràn Salazar, a uccidere il mito del XX secolo (e probabilmente anche del XXI), il comandante Ernesto Che Guevara.
 
Non ci pare il caso di aggiungere altre parole al fiume che ci inonderà nei giorni del quarantennale. Ma pure è necessario ricordare un uomo che ha esercitato con determinazione il vizio (uno dei pochissimi evitati dai più) del pensiero critico. E allora vogliamo celebrare questo luttuoso anniversario, pubblicando una delle sue poesie che più ci piace, “Preghiera su commissione” (da “Trasumanar e organizzar” – 1971). 
 
E con una canzone, un “Lamento funebre per la morte di Pier Paolo Pasolini”, scritto e cantato da Giovanna Marini sull’aria di una canzone funeraria abruzzese, “L’orazione di San Donato”. registrato il 7 febbraio 1965 a Zaccheo, frazione di Castellalto, ‎Teramo, da Cesare Bermani.‎
 
 
Preghiera su commissione
 
Ti scrive un figlio che frequenta
la millesima classe delle elementari.
 
Caro Dio,
è venuto un certo signor Homais a trovarci
dicendo di essere Te:
gli abbiamo creduto:
ma tra noi c’era uno scemo
che non faceva altro che masturbarsi,
notte e giorno, anche esibendosi davanti a fanti e infanti,
ebbene…
Il Signor Homais, caro Dio, Ti riproduceva punto per punto:
aveva un bel vestito di lana scura, col panciotto,
una camicia di seta e una cravatta blu;
veniva da Lione o da Colonia, non ricordo bene.
E ci parlava sempre del domani.
Ma tra noi c’era quello scemo che diceva che invece Tu
avevi nome Axel.
Tutto questo al Tempo dei Tempi.
 
Caro Dio
liberaci dal pensiero del domani.
E’ del Domani che Tu ci hai parlato attraverso M. Homais.
Ma noi ora vogliamo vivere come lo scemo degenerato,
che seguiva il suo Axel
che era anche il Diavolo: era troppo bello per essere solo Te.
Viveva di rendita ma non era previdente.
Era povero ma non era risparmiatore.
Era puro come un angelo ma non era perbene.
Era infelice e sfruttato ma non aveva speranza.
L’idea del potere non ci sarebbe se non ci fosse l’idea del domani;
non solo, ma senza il domani, la coscienza non avrebbe giustificazioni.
Caro Dio, facci vivere come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi. 
 
 
 
Lamento per la morte di Pier Paolo Pasolini (I dischi del Sole, 1978)
 
 
 
 
Lamento per la morte di Pier Paolo Pasolini
Giovanna Marini
 
Persi le forze mie persi l'ingegno 
la morte mi è venuta a visitare 
‎«e leva le gambe tue da questo regno» 
persi le forze mie persi l'ingegno. ‎
 
Le undici le volte che l'ho visto 
gli vidi in faccia la mia gioventù 
o Cristo me l'hai fatto un bel disgusto 
le undici le volte che l'ho visto. ‎
 
Le undici e un quarto io mi sento ferito 
davanti agli occhi ho le mani spezzate 
e la lingua mi diceva «è andata è andata» 
le undici e un quarto io mi sento ferito. ‎
 
Le undici e mezza mi sento morire 
la lingua mi cercava le parole 
e tutto mi diceva che non giova 
le undici e mezza io mi sento morire. ‎
 
A mezzanotte io m'ho da confessare 
cerco perdono dalla madre mia 
e questo è un dovere che ho da fare 
io a mezzanotte m'ho da confessare. ‎
 
Ma quella notte volevo parlare 
la pioggia il fango e l'auto per scappare 
solo a morire lì vicino al mare 
ma quella notte io volevo parlare 
e non può, non può, può più parlare
non può, non può, può più parlare.
Persi le forze mie persi l'ingegno 
la morte mi è venuta a visitare 
‎«e leva le gambe tue da questo regno» 
persi le forze mie persi l'ingegno. ‎
 
 
 
 
L’orazione di San Donato
 
Perse li forze mì, perse l’ingegne
la morte m’ha venute a vesetare
«Leva li gambe to da stu regne»
perse li forze mie, perse l’ingegno
Ed a le tre le volte che mi ha viste
vilde la facce la mia gioventù
lu mastre te l’ha fatte la bone reviste
ed a le tre le volte che mi ha visto
Ed a li quattre mi senta ferite
‘n mezze a lu pette mi sente mancate
la lingue mi diceve «ggiuta ggiute»
ed a li quattre mi sento ferito
Ed a li cinque me ce mise a lette
la lingue mi cercave la comunione
e tutte me diceva ca non mi giove
ed a li cinque me ce mise a letto
Ed a li sei mi voglio confessare
cercande perdonanza, madre mie,
e quelle è un dovere ca haie da fare
ed a li sei mi voglio confessare
Ed a li otto li molti persone
mò vinne in casa mie a vesetare
ognune si l’arcuntave le sue ragione
ed a li otto le molte persone.