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L’Expression, 21 marzo 2015 (trad. ossin)


Mentre Netanyahu si dice contrario alla soluzione dei “due Stati”

Washington minaccia di rivedere la sua posizione all’ONU


Un eventuale riposizionamento di Washington al Consiglio di Sicurezza dell’ONU costituirebbe una rottura di grande importanza e aprirebbe la strada all’adozione di una risoluzione per due Stati lungo le frontiere ante-1967


Gli Stati Uniti hanno avvertito giovedì che potrebbero rivedere la loro tradizionale posizione nei confronti di Israele all’ONU (dove gli hanno sempre assicurato un appoggio indefettibile e il “veto” su ogni proposta non gradita), mentre il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si affrettava a dichiarare alle televisioni statunitensi, di non essere contrario alla soluzione dei “due Stati”.

Le ultime dichiarazioni di Netanyahu – di tenore opposto rispetto a quelle fatte alla vigilia delle elezioni legislative (quando ha detto di essere fermamente contrario alla costituzione di uno Stato palestinese) – non hanno però convinto i Palestinesi, che hanno ribadito giovedì la loro determinazione a portare avanti la loro offensiva diplomatica e a interrompere la cooperazione nel settore della sicurezza con lo Stato ebraico.

Il presidente statunitense Barack Obama ha telefonato a Netanyahu, oramai quasi sicuro di formare il nuovo governo, per felicitarsi della vittoria del suo partito martedì scorso, ma anche per informarlo circa le divergenze di vedute tra i due governi. Secondo un responsabile statunitense, gli avrebbe anticipato l’intenzione di rivalutare la posizione degli Stati Uniti sul dossier israelo-palestinese dopo che Netanyahu ha rimesso in questione la soluzione dei due Stati.

Qualche ora prima, Josh Earnest, portavoce del governo USA, aveva precisato che la posizione degli Stati Uniti all’ONU si fondava sull’accettazione di questa prospettiva e che adesso Washington si vedeva costretta a rivederla. “Nessuna posizione è stata ancora presa”, aveva tuttavia precisato.

Obama, che intrattiene relazioni notoriamente difficili con Netanyahu, ha anche fatto riferimento, nel colloquio col Primo Ministro israeliano, alle dichiarazioni di quest’ultimo a proposito degli Arabi israeliani il giorno delle votazioni (1) che sono state vivamente condannate dalla Casa Bianca.



Netanyahu invita al voto "contro" gli Arabi israeliani

 
L’AIPAC, la più influente lobby filo israeliana negli Stati Uniti, ha lamentato il fatto che la Casa Bianca abbia “respinto” i “buoni propositi” di Netanyahu dopo le sue ritrattazioni dinanzi le telecamere di diverse emittenti statunitensi.       
 

Dopo avere danneggiato le relazioni col grande alleato USA, sfidando il presidente Obama alla tribuna del Congresso a Washington, giovedì Netanyahu ha giocato la carta della riconciliazione, affermando che egli “non vede alcuna alternativa” alla cooperazione con gli Stati Uniti. “Lavoreremo insieme” ha assicurato. Per tornare al tavolo dei negoziati, i Palestinesi dovranno riconoscere Israele come “Stato ebraico” e “assicurare una vera sicurezza, perché si possa avere una soluzione a due Stati che sia realista”, ha detto ancora, dopo che aveva seppellito il lunedì precedente, alla vigilia del voto, l’idea che durante il suo mandato si potesse giungere alla creazione di uno Stato palestinese.

I Palestinesi respingono da tempo la prima condizione, e la seconda è oggetto di svariate ipotesi, mentre giovedì la direzione palestinese ha avviato i preparativi di una misura potenzialmente esplosiva: la rottura della cooperazione in materia di sicurezza tra l’Autorità Palestinese e Israele. Una delle grandi preoccupazioni che desta la cessazione di questa cooperazione è la possibilità di una destabilizzazione della Cisgiordania e, come risposta, un ritorno dell’occupazione militare israeliana.

Il Comitato Esecutivo della Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) si è dato due settimane per realizzare questo obiettivo. “Oggi noi avviamo la procedura per sospendere qualsiasi cooperazione in materia di sicurezza”, ha spiegato Moustafà Barguti, membro del Comitato. “Noi non accettiamo che l’Autorità vada in soccorso di Israele che, dal canto suo, nega la libertà e uno Stato indipendente ai Palestinesi”, ha aggiunto.

E giacché “il governo israeliano non ne vuol sapere seriamente di una soluzione politica che conduca alla istituzione di due Stati”, il presidente Mahmoud Abbas ha riaffermato la propria intenzione di rivolgersi alle istanze diplomatiche e giudiziarie internazionali per ottenere quello Stato al quale i Palestinesi aspirano dal 1948 e la creazione di Israele.

Una di queste istanze è la Corte Penale Internazionale (CPI) dinanzi alla quale i Palestinesi intendono depositare le loro prime denunce contro i leader israeliani per “crimini di guerra” già il 1° aprile. “Non è una reazione ai risultati delle elezioni israeliane”, ha assicurato il capo negoziatore palestinese Saeb Erakat, Tuttavia la promessa elettorale di Netanyahu – che ha escluso l’idea di uno Stato palestinese e ha messo in guardia contro il “pericolo” di un voto massiccio degli Arabi israeliani – ha provocato la rabbia dei Palestinesi, che si dicono più determinati che mai a internazionalizzare la propria causa.


(1)      Il giorno delle elezioni, a mezzogiorno Netanyahu ha diffuso su Facebook un breve video in cui lanciava l’allarme: “Fate attenzione, mi giunge notizia che gli arabi stanno votando in massa, li portano alle urne con gli autobus. Per salvaguardare la nostra sicurezza ci resta solo il centralino dell’esercito e il vostro voto compatto, che impedisca la sconfitta della destra e la nascita di un governo laburista”.