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Middle East Eye, 27 maggio 2016 (trad. ossin)
 
Volonterrorismo in Israele ?
Belen Fernandez
 
Per quale motivo uno dei più potenti eserciti del mondo ha bisogno dell’aiuto di volontari ?
 
Unità di élite israeliane durante le esercitazioni
 
Durante un viaggio ad Amsterdam qualche anno fa, mia madre ha avuto la sventura di incontrare un’altra turista statunitense di una settantina d’anni, che non si accontentava evidentemente di rilassarsi e godersi la vacanza, ma si ingegnava piuttosto a reclutare persone disposte a fare volontariato nelle basi dell’esercito israeliano.
 
Avendo di recente partecipato ad un programma organizzato dal gruppo statunitense Volunteers for Israel (VFI), la signora giurava che era stata l’occasione di una vita: vitto e alloggio gratis, una causa nobile – ed essere ebrei non era obbligatorio !
 
Mia madre non si è fatta incantare, ma ha conservato il pezzetto di carta sul quale la donna aveva annotato l’indirizzo del sito dei VFI, e quello del partner israeliano Sar-El, il volontariato civile per Israele, che organizza l’invio di volontari nelle basi e supervisiona le loro attività.
 
VFI si presenta come una “organizzazione senza scopi di lucro, apolitica, non settaria” – per quanto sia difficile immaginare qualcosa di più politico e settario di un sostegno materiale ad un esercito sionista impegnato nella pulizia etnica e in frequenti massacri di civili.
 
Il sito spiega che il programma ha esordito nel 1982 « durante la prima guerra col Libano, quando gli agricoltori israeliani delle alture del Golan (occupate) furono posti dinanzi alla prospettiva di perdere i loro raccolti ».
 
La cause di questa crisi agricola : « La maggior parte degli uomini e delle donne valide era stata richiamata nella riserva. » La soluzione : mobilitare dei volontari dagli Stati Uniti per « provvedere alla raccolta e salvare l’economia ». Risultato : « Più di 600 volontari hanno aderito immediatamente e le colture sono state salvate. »
 
Inoltre, questa esperienza si è dimostrata « talmente arricchente e riuscita sul piano personale » da dare luogo ad una vera e propria impresa di volontariato. Il sito Sar-El annota che, nel 2010, il progetto ha raccolto l’adesione di « oltre 132 000 volontari ».
 
Una delle foto postate sul sito dei VFI
 
Nell’attesa, le colture del Golan si sono potute salvare, ma non può dirsi altrettanto delle circa 20.000 vittime dell’invasione del Libano da parte di Israele, in grande maggioranza civili. Va precisato per altro che non si trattava della « prima guerra » contro questo paese – le donne e gli uomini validi delle forze armate israeliane avendo già effettuato una missione simile quattro anni prima, seppure con un numero di vittime meno elevato.
 
Secondo VFI, « The Best Thing You Can Give Israel Is … Yourself. » (« La migliore cosa che potete donare a Israele, è… voi stessi » »). Se non potete, il sito suggerisce molti altri modi per dare una mano : menzionare VFI nel testamento, mandare un contributo attraverso AmazonSmile o piantare alberi in Israele. Per i tirchi che volessero piantare solo un mezzo albero, si avvisa che la « quantità minima autorizzata è un albero ».
 
Per quelli che hanno i soldi per pagarsi i biglietti aerei per Israele, oltre ai 100 dollari di iscrizione al VFI, ci sono programmi da una a tre settimane, ripartiti in tre categorie: i giovani adulti da 17 a 25 anni, gli adulti e i gruppi. I partecipanti al programma distinct Taglit-Birthright possono prolungare la sessione di approccio con la patria ritrovata, aggiungendovi un periodo di servizio di volontariato.
 
La descrizione del programma per gli adulti mostra una foto di gente di mezza età, in uniforme verde e con l’aria estasiata, e una nota allettante : « Lavorerete fianco a fianco coi soldati, i dipendenti delle basi e altri volontari […] a missioni di aiuto civile come l’imballaggio di forniture mediche, le riparazioni di macchine e altro equipaggiamento, la costruzione di fortificazioni, nonché alla pulizia, pitturazione e mantenimento della base. »
 
Non si prevedono limiti di età per la partecipazione, ma vi sono altre importanti restrizioni. L’interminabile formulario di candidatura specifica che saranno escluse le persone affette da « VIH o SIDA », al pari di coloro che soffrono di apnea notturna, che « provoca un rumoroso russare e altri sintomi che possono disturbare il sonno degli altri volontari in camerate a più letti sovrapposti e/o mettere in pericolo i volontari durante la giornata lavorativa a causa, per esempio, della stanchezza. »
 
Se solo ci si potesse preoccupare anche della qualità del sonno dei Palestinesi, piuttosto che bombardarli giorno e notte e demolire le loro case.
 
Tutto questo impone la domanda : perché mai uno degli eserciti più potenti del mondo, la forza di combattimento di uno Stato che riceve miliardi di dollari ogni anno dalla superpotenza mondiale, ha bisogno dell’aiuto dei volontari ?
 
Come vanta il sito Sar-El, il programma di volontariato comporta molti vantaggi : favorisce l’immigrazione ebraica in Israele, « incoraggia nuove amicizie », « contribuisce all’economia di Israele » e « crea degli ambasciatori di buona volontà per Israele ».
 
Insomma si ritiene che i volontari possano stabilire un rapporto fisico ed emozionale con Israele e i suoi soldati, per poi parlarne al mondo. Come la scocciatrice di Amsterdam o lo studente della Florida che ha scritto sull’ Huffington Post della sua « esperienza mozzafiato e rivelatrice » di volontariato con l’esercito israeliano che, ha assicurato al suo uditorio nella seconda frase, non ha « niente di politico ».
 
Una strategia consolidata della hasbara (in ebraico, letteralmente “spiegazione”, ndt), o propaganda, israeliana consiste nel ridurre serie questioni politiche a problemucci inoffensivi e superficiali. Nel 2010, mi sono imbattuto in un sito web (oggi cancellato) del ministero israeliano della Diplomazia pubblica e della Diaspora, che forniva a tutti coloro che intendessero diventare un « ambasciatore novizio » onorario di Israele, dei consigli sul modo di ribattere alle « frecciate critiche » contro lo Stato ebraico.
 
L’obiettivo dichiarato del sito era di « consentire a chiunque di armarsi di informazioni e fierezza sui contributi mondiali e la storia di Israele e presentare un’immagine più realista di Israele nel mondo ».
 
Il sito enumerava diversi contributi, soprattutto un’inezia intrigante come : « Un’invenzione israeliana relativa ad un dispositivo di epilazione elettrica rende le donne di tutto il mondo più felici. »
 
Ahimè, i Palestinesi non sono mai riusciti ad avere un tale impatto durevole sulla cultura mondiale e qualsiasi ambasciatore novizio della Palestina sarebbe piuttosto condannato a memorizzare informazioni come il numero di bambini assassinati dall’esercito israeliano.
 
Tra le altre pertinenti futilità, notiamo che gli Stati Uniti definiscono il terrorismo come una serie di attività che « sembrano essere destinate a intimidire o forzare le scelte di una popolazione civile ». Non potendosi negare il fatto che questa sia proprio una delle funzioni dell’esercito israeliano, è possibile che tutti coloro che intendano dare una mano debbano vedersi oramai attribuito il ruolo di « volonterrorista ».
 
 
 
- Belen Fernandez è l’autore di “The Imperial Messenger: Thomas Friedman at Work” (Verso). Collabora al magazine Jacobin.