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Middle East Eye, 6 dicembre 2017 (trad. ossin)
 
Cosa comporta il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele?
Ambasciata a Gerusalemme, ripercussioni enormi
Ali Harb
 
Trump riconosce ufficialmente Gerusalemme come capitale di Israele e conferma il trasferimento dell’ambasciata USA. Una decisione che colpirà profondamente Palestinesi, Arabi e mussulmani e potrebbe provocare reazioni violente
 
 
Il presidente USA Donald Trump ha annunciato oggi il trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, e ha dichiarato che il suo paese riconosce ufficialmente Gerusalemme come la capitale di Israele.
 
Secondo James Zogby, presidente dell’Arab American Institute, gli annunci di Trump non avranno influenza sul processo di pace perché non c’è processo di pace. « Non dirò nemmeno che essi screditano gli Stati Uniti, perché gli Stati Uniti sono già screditati per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese », ha dichiarato.
 
« Quello che invece dico, è che si tratta di un gesto stupido e rischioso, perché infiamma gli animi e mette delle vite in pericolo ».
 
Gli analisti avvertono che il carattere simbolico di questa decisione, che mette a nudo la parzialità filo-israeliana di Washington, non costituisce solo un insulto ai Palestinesi, ma anche agli Arabi e ai mussulmani di tutto il mondo.
 
Gerusalemme è diventata il simbolo di un sentimento di dolore storico e di tradimento per il popolo arabo, ha dichiarato Zogby a Middle East Eye. « E’ una ferita che non si rimarginerà mai, e questa decisione mette solo sale sulla piaga ».
 
Graeme Bannerman, ex analista del Dipartimento di Stato USA e ricercatore al Middle East Institute, ha sottolineato che, quando si tratta di Gerusalemme, il simbolismo ha tutta la sua importanza.
 
Interrogato su che cosa potrà significare per il processo di pace, ha risposto: « Quale processo di pace ? ».
 
I negoziati tra Israeliani e Palestinesi, sotto l’egida degli Stati Uniti per trovare una soluzione al conflitto nell’ambito dell’opzione dei due Stati,  ristagnano dal 2014. In tutto questo tempo, Israele ha continuato a costruire nuove colonie illegali in Cisgiordania.
 
Durante la campagna presidenziale del 2016, Trump aveva promesso che sarebbe riuscito a raggiungere « l’accordo definitivo » che avrebbe posto termine al conflitto.
 
Il presidente USA, che si vanta del suo talento da negoziatore, ha incaricato suo genero, Jared Kushner, di rilanciare i colloqui di pace tra il governo israeliano e l’Autorità palestinese.
 
Riconoscere Gerusalemme come la capitale di Israele nuocerà ai tentativi di Trump di risolvere il conflitto, ritiene Bannerman.
 
« Il processo di pace non si è mai veramente avviato, e questo non lo aiuterà certamente a prendere il via », ha dichiarato a MEE.
 
« Ripercussioni enormi »
 
Secondo un sondaggio dell’AAI pubblicato martedì, il 33 % dei repubblicani sono favorevoli al trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme e il 19 % vuole mantenerla a Tel Aviv, mentre il 48 % è incerto o indeciso. In totale, solo il 20 % delle persone intervistate è favorevole al trasferimento dell’ambasciata.
 
Bannerman ha dichiarato che il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele è stato un gesto di politica interna mirante a mantenere una promessa elettorale. Ma ha « ripercussioni enormi » sulla posizione degli Stati Uniti in Medio Oriente, secondo cui lo status finale di Gerusalemme dovrebbe essere deciso nel quadro di un accordo tra Israeliani e Palestinesi.
 
« E’ un cambiamento fondamentale della posizione di negoziato statunitense », ha osservato.
 
Ma gli Stati Uniti resteranno in una posizione unica per fare pressione sulle due parti, in particolare Israele, perché scendano a compromessi.
 
« Questo mette in discussione l’obiettività degli Stati Uniti quali negoziatori in Medio Oriente ma, per essere onesti, sono 25 anni che gli Stati Uniti non sono negoziatori imparziali », ha notato Bannerman.
 
Hatem Abudayyeh, co-fondatore della Rete della comunità palestinese statunitense, ha dichiarato che la decisione di Trump non sorprende, perché riflette la visione del mondo del presidente.
 
« Appare chiaro che egli manca davvero di conoscenza, comprensione, e perfino di rispetto, per la storia, per la comunità internazionale, per i diritti dei popoli e delle nazioni », ha detto a MEE.
 
Secondo Abudayyeh, la politica estera di Trump si concentra sull’indebolimento di Hezbollah libanese, della Siria e dell’Iran, e considera i Palestinesi come uno dei « settori di resistenza del mondo arabo ».
 
« Dichiarare che Gerusalemme è la capitale dell’eterno Stato ebraico, è essenzialmente negare l’autodeterminazione palestinese e il nostro diritto ad uno Stato indipendente », ha detto. 
 
Abudayyeh ha aggiunto che la mossa ha infisso un altro chiodo nella bara della soluzione dei due Stati.
 
Ha dichiarato che la decisione di Trump non cambierà la situazione di fatto di Gerusalemme, che si trova sotto il controllo israeliano da più di 50 anni, ma avrà delle ripercussioni in quanto aggiunge ulteriori « fatti compiuti » che rafforzano l’occupazione.
 
La Moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme, terzo sito sacro dell'islam
 
Relazioni tra USA e Arabi
 
L’amministrazione Trump si è posizionata come un solido alleato dell’Arabia Saudita, degli Emirati arabi uniti e dell’Egitto, considerandoli come parte integrante di un’alleanza regionale contro l’Iran.
 
Ciò detto, e nonostante i segni dell’emergere di una alleanza israelo-saudita, la causa palestinese resta centrale nel mondo arabo e mussulmano, ivi comprese le capitali vicine a Riyadh.
 
Bannerman ha quindi sottolineato che il trasferimento dell’ambasciata metterà I Sauditi e gli Egiziani in una posizione difficile.
 
Ha tuttavia osservato che i paesi arabi sono coinvolti in serie dispute nazionali e regionali, che riducono la Palestina ad un problema di minore importanza.
 
« In fin dei conti, le relazioni con gli Stati Uniti – con tutti gli altri problemi che ci sono – sono più importanti », ha dichiarato Bannerman a MEE.
 
Zogby, dell’AAI, ritiene che la posizione espressa dagli USA sulla Palestina condiziona la capacità di Washington di lavorare direttamente coi paesi arabi.
 
« Trump vuole affrontare l’Iran e mettere insieme gli Arabi e gli Israeliani; questo non potrà avvenire… a meno che non si risolva la [questione della] Palestina », ha dichiarato Zogby.
 
Spiega che, se è vero che gli Stati arabi rivaleggiano per assicurarsi il favore dell’opinione pubblica negli Stati Uniti, non vogliono nemmeno assumere decisioni che potrebbero alienare loro l’opinione pubblica nei loro stessi paesi.
 
« Qualsiasi annuncio statunitense sullo status di Gerusalemme avente carattere definitivo avrebbe un impatto negativo sul processo di pace ed accrescerebbe le tensioni nella regione », ha dichiarato lunedì l’ambasciatore saudita a Washington, Khaled bin Salman.
 
« La politica del regno è stata – e resta – a favore del popolo palestinese, e questo è stato comunicato all’amministrazione statunitense ».
 
Ma, al di là della geopolitica, la sensibilità per la questione di Gerusalemme tocca tutto il mondo mussulmano. La città ospita la moschea al-Aqsa, terzo sito più sacro dell’islam.
 
Gerusalemme è una questione talmente carica di elementi emotivi per gli Arabi e i mussulmani, che il trasferimento dell’ambasciata potrebbe provocare violente reazioni, ha avvertito Zogby.
 
« Sarebbe terribile se si scatenasse la violenza, ma la colpa ricadrebbe sulle persone che l’hanno provocata », ha aggiunto.
 
Secondo i media USA, il Dipartimento di Stato ha chiesto alle ambasciate di rafforzare le loro misure di sicurezza in previsione di eventuali manifestazioni contro l’annuncio di Trump.
 
Gerusalemme non è solo una questione palestinese, ha ricordato Bannerman.
 
« Se la collocate solo nel contesto del conflitto israelo-palestinese, non riuscirete a comprendere davvero l’importanza di Gerusalemme », ha dichiarato.
 
« Questo potrebbe essere un punto debole dell’amministrazione; non sembrano capire come la questione di Gerusalemme faccia vibrare tutta la regione e tutto il mondo islamico ».