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La condanna a morte di Saif al Islam Gheddafi e il governo immaginario della NATO
Enrico Vigna 
  
 
A ottobre è stata confermata la condanna a morte per Saif al Islam Gheddafi (secondogenito di M. Gheddafi), e a dicembre è stata resa pubblica la formazione di un inesistente governo libico NATO, ideato in Marocco, composto da figure estranee alla terribile situazione interna del paese e non riconosciuto da nessuna delle fazioni, bande, milizie jihadiste che stanno distruggendo la Libia e il suo popolo.
 
 
Un governo virtuale ma necessario alla NATO e all’occidente per poter giustificare il prossimo intervento militare.
Due notizie su cui riflettere per capire come hanno ridotto un paese e un popolo che, fino a 5 anni fa, aveva la più alta aspettativa di vita dell'Africa continentale, 74 anni. Aveva anche il più alto prodotto interno lordo del continente, al pari di paesi come il Messico o l’Argentina, al primo posto nell’Indice di sviluppo umano dell’Africa.
Oggi la Libia è un paese devastato da una guerra importata dall’esterno e condotta da bande criminali, fanatiche o al servizio di paesi stranieri. Una guerra dove in soli quattro anni sono state uccise, torturate, imprigionate o fatte scomparire centinaia di migliaia di libici; altrettanti hanno dovuto scappare o andare in esilio. Oggi la Libia è un paese in una situazione catastrofica, a detta di esperti e organismi internazionali, in cui non esiste alcuna legge neppure formale. Un Paese dove criminali comuni e tagliagole, ognuno a capo di bande e milizie proprie, applicano arbitrariamente pratiche spietate e primitive di controllo del territorio e della popolazione, alcuni celandosi dietro le spoglie del fanatismo religioso, altri non nascondendo obiettivi schiettamente predatori. 
 
Un paese che, fino a quattro anni fa, era economicamente in grado di investire nei paesi fratelli africani centinaia di milioni di dollari per infrastrutture e sviluppo. Oggi ogni infrastruttura è demolita, restano in piedi, per ovvi motivi di rapina e saccheggio, solo quelle per lo sfruttamento del petrolio. Solo quattro anni fa la Jamahirija stava per inaugurare quella che anche la stampa occidentale aveva definito l’ottava meraviglia del mondo: portare l’acqua desalinizzata del Mediterraneo fino al deserto. Un’opera colossale di migliaia di chilometri, oggi in rovina. Una Libia dove oggi l’ISIS ha ormai messo radici, e rischia di egemonizzare una parte del popolo libico, ottenendo consensi ristabilizzando un ordine, fosse pure e spaventoso. Ma forse qualcuno dovrebbe ricordare che un processo simile era avvenuto anche in Afghanistan, dove i Talebani avevano preso il potere con una marcia trionfale attraverso il paese, con il placito della popolazione stanca di bande di criminali e assassini che la vessavano e strangolavano da anni. Tutto sempre conseguenza di strategie criminali dell’occidente e del suo braccio armato, la NATO. Non dobbiamo mai dimenticare che la Libia ha riserve di petrolio stimate in 46 miliardi di barili, così come grandi depositi di gas naturale ancora da sfruttare pienamente.
 
Ma la Libia di oggi è anche un fiorire di forme di resistenza e riorganizzazione in tutto il paese, con le sue basi al sud dove la “Resistenza Verde”, quella cioè formata da spezzoni del vecchio esercito popolare, in alleanza con le tribù Tuareg, controlla intere aree e prepara una guerriglia per la riconquista del paese, vantando il sostegno fondamentale delle maggiori tribù libiche, estranee finora al bagno di sangue e al saccheggio del paese e al fanatismo religioso. Ricordiamo che l’architettura della Jamahirija (la Repubblica Popolare Araba Socialista) più che una forma di stato-nazione era stata una nazione tribale, che affidava un ruolo fondamentale, sia politico che economico, alle tribù. Scelta che ha garantito un equilibrio e uno sviluppo del paese per oltre 40 anni. 
 
Saif al Islam Gheddafi e altre decine di esponenti del legittimo governo libico, dopo anni di torture, sono stati recentemente condannati a morte da un tribunale di Tripoli, un tribunale non riconosciuto a livello internazionale, che fa riferimento a un governo oltretutto in guerra con un altro governo, anch’esso non riconosciuto da nessuno. Un processo farsa in cui gli accusati non presenziavano e non potevano difendersi dalle accuse e dalle incriminazioni. Un processo che ha visto 32 funzionari dell’epoca di Gheddafi condannati per reati commessi nel corso della guerra del 2011, con gravi violazioni della concezione internazionale di giusto processo, come anche Human Rights Watch ha dichiarato. "Questo processo è stata caratterizzato da attendibili e persistenti accuse di violazioni del concetto di “giusto processo”, che garantisca una procedura giurisdizionale indipendente e imparziale. La crisi politica in corso in Libia, insieme al generale deterioramento delle condizioni di sicurezza, mette in discussione la capacità dei giudici di giudicare il caso in modo indipendente e imparziale. Ci sono seri dubbi sul fatto che i giudici e i pubblici ministeri possono essere veramente indipendenti in un Paese dove prevale la totale anarchia e alcuni gruppi sono spudoratamente esterni alla giustizia. Si è tenuto questo processo nel bel mezzo di un conflitto armato e in un paese diviso dalla guerra, dove l'impunità è diventata la norma", ha affermato Joe Stork, vice direttore per il Medio Oriente e Nord Africa di Human Rights Watch.
 
Anche il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie ha stabilito nel novembre 2013, che la detenzione di Al Saif Gheddafi è stata arbitraria e che la gravità delle violazioni ha reso impossibile garantirgli un processo equo in Libia, e che avrebbe dovuto essere quindi liberato.
 
                         Saif al IslamGheddafi, dopo l’arresto
 
Da tempo si ipotizza, per cercare una via d'uscita da questo circolo tragicamente vizioso, l’ipotesi di una amnistia per tutti gli arrestati del vecchio governo. Le fazioni di Bengasi sembra lo abbiano già deciso, e in molte città si sono svolte manifestazioni a sostegno, manifestazioni in cui nuovamente sono comparsi la bandiera verde simbolo della Jamahirija e ritratti di Gheddafi.
 
Mentre il popolo libico torna a lottare e manifestare, i responsabili del rovesciamento di Gheddafi e della distruzione del paese (che sono gli stessi che oggi continuano a fornire sostegno a coloro che tentano il rovesciamento del governo costituzionale della Siria) restano impuniti. Ora si sono inventati la nascita di un “governo unito libico”, con personaggi usciti da agenzie pubblicitarie o allevati dai servizi di sicurezza occidentali, e non riconosciuto da alcuna banda di una qualche consistenza operante nel paese. Ma è evidente che questo passaggio era necessario alla cosiddetta comunità internazionale (leggi: NATO), per pianificare le prossime mosse militari per l’occupazione del territorio libico, o perlomeno delle aree traboccanti di petrolio e gas.
 
 "La NATO e i ribelli hanno entrambi fretta e vorrebbero finire questa storia il più presto possibile perché hanno fame, sono stanchi e vogliono dividersi la torta. Per loro la Libia è come un fast food, come un McDonald, perché vogliono che tutto diventi veloce: una guerra rapida, compagnie aeree rapide, proiettili veloci, vittoria veloce. Ma io sono molto paziente, perché questo è il nostro Paese, e ho fiducia nel nostro popolo." Saif al-Islam Gheddafi.
 

 

I libici manifestano in segno di solidarietà con gli eroi della Jamahirija e della Rivoluzione Verde, condannati a morte dal tribunale delle milizie terroriste a Tripoli

 

 
Da Bani Walid, al Golfo della Sirte, a Sabha, la Resistenza Verde guida e organizza il popolo libico contro le sentenze di morte pronunciate della cricca islamista tripolina.
 
 
     
 
Bani Walid, bloccate le strade da libici con veicoli e fucili automatici, in una manifestazione che respinge la decisione di condanna a morte del tribunale illegale contro i dirigenti della Jamahirija.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I partecipanti alla manifestazione hanno chiesto il rilascio di Saif al-Islam Gheddafi e il suo ritorno in politica per porre fine alla tragedia subita dalla Libia da più di quattro anni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nelle parole d'ordine dei comizi e negli striscioni troviamo l’invito alla comunità internazionale e alle organizzazioni per i diritti umani ad impegnarsi per "fermare l'attuazione di queste sentenze ingiuste e illegali, decretate sotto la minaccia delle armi delle milizie che controllano la capitale Tripoli”. 
La Corte di Tripoli ha condannato a morte il figlio del colonnello Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, Baghdadi Mahmudi ultimo primo ministro durante il governo popolare e Abdullah Al-Senussi, capo dei servizi di sicurezza di Gheddafi e altri numerosi leader politici e militari di sicurezza della Jamahiria.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
C'è una situazione di estrema tensione nella regione di nascita di al-Baghdadi Mahmudi (ex primo ministro) condannato dal Tribunale islamista di Tripoli. Nelle città e nei villaggi i la gente ha dato luogo a enormi manifestazioni di massa contro la condanna emessa contro persone che essi considerano i legittimi leader della nazione libica.
I manifestanti hanno sventolato bandiere nere per protesta. La reazione a queste sentenze della Tribù di Almgarha, una delle tre più importanti della Libia, è stata durissima; nei comizi è stato ribadito che, se verranno applicate le sentenze di morte e se esse non saranno abrogate immediatamente, la capitale libica verrà assediata e sarà impedita la fornitura d’acqua a Tripoli e alla regione circostante.
 
Diversi video testimoniano le manifestazioni a Bengasi, Sabha, Sirte e Bani Walid contro le condanne a morte dei leader della Libia popolare, araba e socialista.
 
 
 
 Avrebbero voluto uccidere Saif Al Islam, ma non ci sono ancora riusciti.  
Volevano cancellare dalla memoria dei libici Muammar Gheddafi, ma essa è ancora viva.
 
APPELLO DI Safia Farkash, vedova di Muammar Gheddafi, sulle torture di suo figlio Saadi Gheddafi   
             
                     
Io sono la madre di Al Saadi Gheddafi, mio terzo figlio.
Tre dei suoi giovani fratelli sono stati uccisi durante la guerra del 2011. Uno di loro, Mutassim, fu brutalmente trucidato dopo la sua cattura da parte delle milizie di Misurata, che erano impegnate per la distruzione della Libia.
Dal giorno in cui seppi che Al Saadi era nelle mani di quelle milizie, io prego che egli non avrebbe sofferto lo stesso destino toccato a suo fratello.  
Io ho ripetutamente chiesto alle Nazioni Unite, ad esponenti delle nuove autorità, ad associazioni umanitarie sul posto, di fare qualcosa per proteggerlo da maltrattamenti e soprusi.Ma alla mia richiesta non ho mai avuto nessuna risposta.  
Dopo diciassette lunghi mesi di silenzio, dolore e incertezza, io ho rivisto Al Saadi. Io l’ho rivisto mentre veniva ripetutamente torturato e maltrattato da suoi carcerieri, in tre video provenienti furtivamente dalla prigione di Al Hadba dove è rinchiuso. Ogni abuso è spregevole, ed è contrario ad ogni diritto umano di un individuo, di essere trattato umanamente e con dignità.
Nessuna madre vorrebbe vedere un suo figlio trattato in questo modo. Nessuna detenzione dovrebbe permettere abusare e maltrattare, da parte di coloro che dovrebbero essere preposti alla sua custodia, e che dovrebbero essere i supposti rappresentanti della legge e dell’ordine in questa nuova Libia.  
Quello che si vede in questi video è un crimine contro qualsiasi concezione di umanità, io ho chiesto giustizia per l’assassinio di mio marito e mio figlio, ma nessuno ha risposto, e le milizie che hanno commesso questi crimini continuano a commettere indisturbate altri crimini.  
Io non posso accettare l’idea che queste milizie continueranno a torturare e uccidere così Al Saadi.  Io domando che le Nazioni Unite o il nuovo governo libico prendano immediate misure per far rispettare la protezione di Al Saadi e di tutti gli altri figli di madri libiche che sono imprigionati insieme a lui. Io infine chiedo che la milizia responsabile questi crimini sia chiamata a rispondere di questi misfatti.
E’ giunto il tempo che il regno del terrore instaurato in Libia venga rimpiazzato dal ruolo della legge e della civiltà.  
Da vivalybia
 
 
                                              
I video diffusi in rete da un sito di informazione della Resistenza verde libica, mostrano Saadi Gheddafi, figlio del defunto Colonnello Muammar, mentre viene torturato in un carcere delle milizie islamiste di Tripoli. Le immagini mostrano Saadi, ex calciatore, vestito con una tuta verde mentre bendato in una stanza del carcere di Al Hadba ascolta spaventato le urla di alcuni detenuti provenire da un’altra stanza. Poi viene schiaffeggiato e torturato con colpi sulle piante dei piedi.                 Nel video si vede che i piedi di Saadi Gheddafi vengono infilati in una sorta di cavalletto ed un uomo barbuto inizia a picchiarli con un bastone, mentre si ascoltano le grida del figlio di Gheddafi. Saadi Gheddafi è detenuto in una prigione di Tripoli, dove si trovano anche altre figure di spicco del precedente governo. Saadi Gheddafi era fuggito dalla Libia nel 2011, è stato poi catturato ed estradato dal Niger. In Italia Saadi ha un trascorso nei campionati di calcio di serie A e B.