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AfriqueAsie, 3 maggio 2015 (trad. ossin)
 
Marocco: la duplice crisi con la UE e l’ONU vista da un alto funzionario algerino
 
“L’Algeria sostiene, per ciò che concerne il Sahara Occidentale, una posizione di principio, di giustizia e di legalità internazionale, ferma contro ogni crisi, ogni ricatto, ogni pressione internazionale, e anche contro l’usura del tempo. Si è sempre detto che si tratta di una questione di decolonizzazione e, da questo punto di vista, la comunità internazionale, nel rispetto dei principi sanciti dall’ONU in materia di decolonizzazione, dovrà assumersi le sue responsabilità”
 
Ban Ki-moon tra i rifugiati saharawi
 
AfriqueAsie: Dalla condizione di “conflitto dimenticato”, che torna all’attenzione dell’ONU solo in occasione del periodico rinnovo del mandato della MINURSO, si nota un ritorno di interesse per la questione del Sahara Occidentale. Come si spiega secondo lei?
 
Più che un ritorno di interesse, si tratta a mio avviso di una presa di coscienza reale su taluni aspetti di questo conflitto nato, occorre ricordare, da una iniziativa di colonizzazione, risalente a più di 40 anni fa, di un territorio non autonomo secondo la risoluzione 1514, adottata nel dicembre 1960 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla concessione dell’indipendenza ai popoli e ai paesi sottoposti a dominio coloniale.
 
Riprendendo cronologicamente il filo degli avvenimenti degli ultimi sei mesi, si individuano due sviluppi significativi.
 
Il primo è la sentenza emessa il 10 dicembre 2015 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che annulla parzialmente, nella parte in cui si applica al Sahara Occidentale, l’accordo agricolo Marocco-UE firmato nel 2012. In conformità con le risoluzioni dell’ONU, la Corte ha ritenuto che il Consiglio della UE avrebbe dovuto escludere il territorio del Sahara Occidentale dall’accordo commerciale tra le parti.
 
Questa decisione, pronunciata da una istanza giudiziaria indipendente, ha scatenato una reazione prevedibile che, attraverso una drammatizzazione esagerata, usa la consueta strategia della tensione, mirante ad influenzare il normale svolgimento delle procedure interne della UE. E ciò nel tentativo di squalificare il Fronte Polisario come soggetto di diritto internazionale in grado di citare in giudizio il Consiglio dell’Unione Europea.
 
Il secondo fatto significativo di questi ultimi mesi è la crisi tra Marocco e il sistema delle Nazioni Unite, conseguente alla visita del Segretario Generale dell’ONU ai campi dei rifugiati saharawi e ai territori saharawi liberati, nel marzo 2016, che tendeva a rilanciare i negoziati diretti tra le due parti in conflitto, per giungere ad una soluzione giusta e reciprocamente accettabile che consenta l’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale.
 
Di fatto Ban Ki.moon paga il prezzo di una costante dell’atteggiamento marocchino: guadagnare tempo, perpetuare lo status quo, sfiancare la pazienza dei Saharawi e della comunità internazionale.
 
Recandosi per la prima volta nei campi dei rifugiati e a Bir-Lahlou (zona liberata), Ban Ki-moon ha preso direttamente coscienza della sofferenza e del diniego di giustizia e diritto di cui soffre la popolazione saharawi, che non trova ascoltatori cui testimoniare la dura realtà del suo quotidiano.
 
Con una reazione umanamente comprensibile e giuridicamente fondata, il Segretario generale dell’ONU ha definito la presenza del Marocco sul territorio saharawi come una “occupazione”, per “rilevare l’impossibilità per i rifugiati saharwi di rientrare nei territori occupati in condizioni tali da permettere loro di manifestare liberamente le loro rivendicazioni”. Questa dichiarazione gli ha attirato una miriade di accuse, ivi compreso quella di essere “strumentalizzato” dai nemici dell’integrità territoriale marocchina, come se lo statuto del Sahara Occidentale fosse stato oramai definito.
 
Tengo a precisare che l’espressione “occupazione” che tanto irrita, è presente in diverse risoluzioni anteriori all’elezione di Bn Ki-moon. Citerò per esempio la Risoluzione 34/37 (1979) e la Risoluzione 35/19 (1980), nelle quali il Marocco viene chiaramente ed espressamente indicato come potenza occupante.
 
Ricordo che sempre il Marocco ha già tentato, invano, di sbarazzarsi dell’inviato personale del SG dell’ONU, Cristopher Ross (nella foto a destra) nel 2012. La strategia adottata dalla diplomazia parallela per emarginare Ross è stata rivelata da un’abbondante numero di comunicazioni messi online dall’hacker Chris Coleman, tra cui un fax datato 22 agosto 2014, nel quale il rappresentante del Marocco alle Nazioni Unite a New York parla di una strategia per “isolare Ross, indebolirlo e metterlo con le spalle al muro a proposito della sua agenda nascosta sul Sahara”.
 
Più direttamente, la causa di questa situazione va individuata nella passività del Consiglio di sicurezza e nel suo rifiuto, a causa dell’opposizione ferma di un membro permanente (la Francia, ndt), di assumersi pienamente le proprie responsabilità. Tale atteggiamento incoraggia l’intransigenza del Marocco e il suo rifiuto di rispettare le risoluzioni dell’ONU sul Sahara Occidentale.
 
E accresce i rischi e il costo per le parti in causa, per la regione e per la comunità internazionale.
 
Come interpreta la risoluzione appena adottata dal Consiglio di Sicurezza dopo l’espulsione, da parte del Marocco, di esperti civili della MINURSO?
 
L’Algeria vi vede soprattutto un impegno rinnovato da parte del Consiglio di Sicurezza per una soluzione politica giusta, durevole e reciprocamente accettabile, che possa condurre all’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale, conformemente ai principi e agli obiettivi della Carte delle Nazioni Unite e delle risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza. Noi chiediamo la rigorosa attuazione di questa risoluzione che riafferma il sostegno al Segretario Generale dell’ONU, al suo inviato personale e alla sua rappresentante speciale e che sottolinea – in modo che non potrebbe essere più chiaro – l’urgenza che la MINURSO compia pienamente il proprio mandato e eserciti in pieno le proprie funzioni.
 
Come si spiega, secondo lei, la reazione timorosa del Consiglio di Sicurezza all’espulsione della componente civile della MINURSO?
 
Prima di rispondere a questa domanda, devo prima ricordare il contesto in cui è maturata questa decisione che il Marocco presenta come “irreversibile” e le sue motivazioni nascoste.
 
Prendendo a pretesto le parole del Segretario Generale dell’ONU, il Marocco ha espulso gli esperti civili della MINURSO, sfidando così l’autorità del Consiglio di sicurezza, unico ad avere il potere di modificare il mandato di questa missione, e violando in questo modo i propri obblighi…
Facendo ciò, il Marocco intende svuotare di ogni significato qualsiasi allargamento della mandato della MINURSO al monitoraggio del rispetto dei diritti dell’uomo e rendere impossibile l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione, che è la stessa ragion d’essere della MINURSO (Missione delle Nazioni Unite per il Referendum in Sahara Occidentale).
 
Per il Marocco, accettare l’ampliamento del mandato della MINURSO, o l’attuazione di un meccanismo indipendente di monitoraggio del rispetto dei diritti dell’uomo, è sinonimo di “timorizzazione” del dossier (dal precedente di Timor est, ndt) e, in definitiva, costituisce il preludio per una indipendenza controllata di questa regione, oltre a confermare agli occhi del mondo, se ancore ve ne fosse bisogno, che esso non esercita alcuna sovranità sul territorio occupato.
 
Per rispondere alla sua domanda, lei ha visto che il Consiglio era diviso e che 5 membri non hanno votato a favore della Risoluzione, ritenendo che il testo non fosse adeguato alla gravità della crisi della MINURSO, in quanto l’espulsione della componente civile compromette seriamente il mandato della Missione, e che il ripristino immediato della sua piena funzionalità sia di una urgente necessità.
 
Il Marocco parla continuamente di un conflitto regionale la cui responsabilità grava sull’Algeria…
 
E’ pura propaganda! Voglio sottolineare che l’Algeria ha sempre sostenuto il diritto inalienabile del popolo saharawi all’autodeterminazione, una posizione conforme ai principi della Carta delle Nazioni Unite. La costanza e la coerenza della sua posizione si iscrivono nel solco della sua stessa storia e sono conformi alla posizione della comunità internazionale che, nel suo insieme, considera che si tratti di un territorio non autonomo iscritto nelle tavole dell’ONU fin dal 1963, che lo statuto definitivo di questo territorio dovrà essere stabilito attraverso l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione libero e senza influenze amministrative o militari.
 
In questo spirito, l’Algeria difende questa posizione, ferma contro ogni crisi, ogni ricatto, ogni pressione internazionale, e anche all’usura del tempo. Si è sempre detto che si tratta di una questione di decolonizzazione e, da questo punto di vista, la comunità internazionale, nel rispetto dei principi sanciti dall’ONU in materia di decolonizzazione, dovrà assumersi le sue responsabilità.
 
Il Parlamento europeo ha mostrato di essere meno sensibile alla situazione dei rifugiati saharawi, anche fornendo al Marocco una tribuna dalla quale fare propaganda su pretese distrazioni degli aiuti umanitari europei destinati ai saharawi dei campi di Tindouf
 
Non bisogna confondere l’azione di taluni zelanti deputati, conosciuti per essere legatissimi al Marocco, con quella dell’istituzione parlamentare.
 
Omar Hilale
 
Riesumando nel gennaio 2015 un rapporto dell’ufficio antifrode dell’UE (OLAF) del 2007, le intenzioni del Marocco erano chiarissime. Si trattava né più né meno che di sfruttare la discussione in seno al Consiglio di sicurezza sull’allargamento del mandato della MINURSO al monitoraggio del rispetto dei diritti dell’uomo, per rimettere in discussione la questione del censimento dei rifugiati saharawi.
 
Fortunatamente simili accuse di distrazione degli aiuti umanitari sono state demolite dagli stessi responsabili europei, oltre che dagli organismi delle Nazioni Unite incaricate dei controlli sull’invio e la distribuzione degli aiuti, soprattutto il Programma Alimentare Mondiale e l’Alto Commissariato per i Rifugiati.
 
Queste istituzioni sono naturalmente più interessate, proprio per la natura del loro mandato, ai mezzi per alleviare le sofferenze quotidiane dei rifugiati saharawi e per rispondere ai loro bisogni essenziali, piuttosto che a fare il gioco dei calcoli politici del Marocco.
 
Sul censimento, le pressioni marocchine sulla UE perché ne facesse una condizione per la concessione degli aiuti non hanno prodotto risultati, come dimostrato dal fatto che il programma di assistenza europea ai rifugiati saharawi non si è interrotto.
 
E’ interessante notare che le insistenti pressioni del Marocco sulla UE, che contribuisce per più del 40% del totale all’aiuto internazionale, sono state ispirate, secondo i documenti rivelati da Chris Coleman, da un alto funzionario dell’ONU, cosa che evidenzia l’alto livello di corruzione e le pratiche di clientelismo cui sono ricorsi alcuni rappresentanti marocchini nei loro rapporti con i rappresentanti delle istituzioni regionali e internazionali.
 
Proprio Omar Hilale, il rappresentante permanente del Marocco alle Nazioni Unite, è tornato su questo rapporto dell’OLAF, ricordando una risoluzione adottata nell’aprile 2015 dal Parlamento europeo che chiedeva di verificare i conti e chiedeva di citare in giudizio i responsabili delle distrazioni, citando specificamente alcuni responsabili della Mezzaluna Rossa algerina e del Polisario
 
Questa è la faccia tosta tipica di troll che si spacciano per diplomatici! 30 secondi fa le stavo parlando del comportamento di alcuni responsabili marocchini ed ecco che colui di cui lei parla è proprio quello che si è dimostrato maestro di mistificazioni.
 
La risoluzione in questione venne tirata fuori col forcipe nel corso dei lavori di verifica del budget della UE per iniziativa della commissione bilancio, la cui presidente fece nell’aprile 2015 una visita “di piacere” alla città occupata di Dakhla, nell’ambito di un soggiorno turistico organizzato dal presidente del gruppo di amicizia “Parlamento Europeo – Marocco”. E’ per spiegarle l’accanimento della presidente della commissione bilancio a includere un paragrafo sulle distrazioni degli aiuti umanitari destinati ai rifugiati saharawi. D’altra parte, in ragione delle critiche degli eurodeputati che le chiedevano con insistenza le ragioni di questa fissazione e che l’hanno anche apertamente accusata di avere un’agenda concordata con una parte terza, la presidente della commissione è stata costretta ad accettare un emendamento che qualifica le distrazioni solo come “possibili” e che riguarda anche altre situazioni geografiche diverse da quella degli aiuti destinati ai rifugiati saharawi. Questo per spiegare il contesto. Più analiticamente, in alcun modo, nella risoluzione, si fa menzione di una qualsiasi citazione in giudizio o di richieste di verifica dei conti, come sfrontatamente sostiene questa persona, e il testo della risoluzione è pubblico.
 
Ciò che conta in questa vicenda, riportata davvero all’ordine del giorno dai marocchini, si trova nelle molteplici illuminanti risposte fornite dai più alti responsabili della UE a proposito di queste accuse di distrazione.
 
Il 24 marzo 2015, dopo l’adozione del rapporto sul bilancio, la signora Kristalina Georgieva, vice presidente della commissione europea incaricata del bilancio e delle risorse umane, ha evidenziato che “Le accuse di distrazione dell’aiuto umanitario dell’Unione Europea ai campi dei rifugiati saharawi di Tindouf sono ingiuste, specialmente dopo l’impegno e le misure adottate dalla Commissione Europea”.
 
Ella ha informato gli eurodeputati membri della commissione che, a partire dal 2003, la DG ECHO ha effettuato 63 missioni di audit, 8 delle quali effettuate sul campo, e che non vi è alcuna prova che gli aiuti siano stati distratti.
 
Il 14 luglio 2015, Il Direttore Generale ECHO della Commissione Europea (incaricato dell’aiuto umanitario), Claus Sorensen, ha chiesto il mantenimento dell’aiuto umanitario ai rifugiati saharawi insistendo fermamente che, sulla scorta di una inchiesta approfondita, i nomi evocati sulla base di voci nel rapporto OLAF (Polisario e Mezzaluna Rossa algerina) non hanno niente a che fare con l’aiuto umanitario della UE. Conviene aggiungere che, nel corso dello stesso hearing davanti alla commissione finanze, Sorensen ha detto che il “censimento dipende dall’organizzazione del referendum di autodeterminazione e che il referendum è la sola possibile soluzione della crisi”.
 
Uno scorcio dei luoghi in cui sorge la città occupata di Dakhla
 
Il 27 gennaio 2016, lo stesso vice presidente della Commissione europea ha sottolineato, in una risposta scritta, che,”nel 2015, non meno di 24 missioni sono state effettuate dalla Commissione europea nei campi dei rifugiati saharawi a Tindouf. I rappresentanti della Commissione effettuano visite due settimane al mese. E’ per tale motivo che la Commissione europea non ha disposto alcuna missione di audit, per porre fine alle voci messe in giro da un gruppetto di eurodeputati noti per i loro legami coi mandanti di questa operazione.
 
Infine, il 27 aprile 2016, il commissario Stylianides, incaricato dell’aiuto umanitario, ha chiarito che la UE sostiene senza riserve l’impegno profuso dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e che non è compito dell’Unione Europea effettuare il censimento dei rifugiati. Ha detto che l’aiuto umanitario della Commissione non è né fornito, né controllato da qualche autorità politica e che la Commissione ha rafforzato il completamento dei progetti finanziati dalla UE nei campi di Tindouf. Nel 2015, in totale, sono state effettuate 24 missioni di controllo e il personale umanitario della Commissione ha trascorso fino a due settimane per mese nei campi.
 
Queste risposte qualificate e che non hanno ricevuto alcuna seria smentita dovrebbero temperare gli ardori di quel personaggio che, dalle rive del fiume Hudson, si fa bello minacciando di inquinare il prossimo briefing dei donatori a favore dei rifugiasti saharawi.
 
Cosa ci può dire a proposito del procedimento in corso davanti alla Corte Europea di Giustizia?
 
Con decisione del 10 dicembre 2015, il Tribunale dell’Unione Europea ha annullato la decisione che approvava l’accordo agricolo del 2012, a cagione del fatto che l’Unione Europea applica questo accordo anche al territorio del Sahara Occidentale. Questa è stata una magnifica vittoria per il popolo saharwi sotto diversi aspetti:
 
Prima di tutto, l’iniziativa del Fronte Polisario è stata giudicata ammissibile, confermandolo quindi come un soggetto di diritto internazionale che può agire in giudizio contro il Consiglio della UE, la Commissione Europea, perfino gli Stati membri della UE.
 
Nel merito, il Consiglio dell’Unione Europea e la Commissione Europea sono stati costretti a riconoscere essi stessi, nel corso del giudizio instaurato dal ricorso del Fronte Polisario, che il Marocco non ha alcuna sovranità sul Sahara Occidentale, che il Marocco non è titolare di alcun mandato internazionale su questo territorio non autonomo e che il Fronte Polisario è il solo rappresentante del popolo saharawi.
 
Infine, questa decisione comporta automaticamente la messa in stand-by degli altri accordi firmati tra il Marocco e la UE (accordo sulla pesca, soprattutto).
 
La linea difensiva del Fronte Polisartio sul punto è chiarissima. Il Marocco è una potenza occupante secondo la IV Convenzione di Ginevra, di cui il Polisario è parte, e quindi il Marocco non ha alcun titolo per esercitare alcuna attività economica in Sahara Occidentale a detrimento dei Saharawi rappresentati dal Fronte Polisario e senza il loro consenso.
 
Quale dovrebbe essere, secondo lei, l’atteggiamento dell’Europa verso questo conflitto?
 
L’Unione Europea non riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale e lo ha confermato dinanzi alla Corte, come dimostra la sintesi del suo ricorso. Dunque l’Europa deve comportarsi in coerenza con questa presa di posizione. Deve rinunciare alla sua presenza in Sahara Occidentale, annullare le licenze rilasciare ad aziende esportatrici che hanno sede in Sahara Occidentale e respingere tutti i prodotti che provengono dal Sahara Occidentale e vengono esportati con certificati di origine marocchini. L’UE, che si è fissata come obiettivo strategico la stabilizzazione della regione nell’ambito della sua politica di vicinato rinnovato, dovrebbe giocare un ruolo attivo, impegnando la parte marocchina che rifiuta ostinatamente di impegnarsi in negoziati diretti in buona fede e senza precondizoni.