Stampa









www.larbi.org – 28 gennaio 2010



Un giorno nero per la libertà di stampa in Marocco

E’ per forza con una stretta al cuore che apprendo la notizia della chiusura de Le Journal. Un giorno triste, il più triste di questi giorni tristi, per la libertà di espressione in Marocco. Un giorno triste per la democrazia in Marocco.

La storia di Le Journal si confonde con la storia del suo fondatore. Vorrei qui richiamare qualche riga che ho già avuto occasione di scrivere su Aboubakr Jamai, che ha svolto un ruolo centrale nel dibattito pubblico e politico in Marocco.

Giornalista lucido, dotato di una viva intelligenza e ferocemente indipendente, Aboubakr Jamai ha fatto moltissimo per il rinnovamento della pratica giornalistica in Marocco. Rivelatore delle codardie politiche, bombar datore dei tabù, il suo lavoro e quello di chi l’ha accompagnato nell’avventura de Le Journal Hebdo meritano rispetto e ammirazione.

Anni 1990. La stampa marocchina è scialba e uniforme. Imbavagliata dai poteri pubblici e i partiti politici, è moscia e incerta. Gli argomenti sensibili sono saggiamente messi da parte, le linee rosse e le domande vietate sono tantissime. La sacralità del regime è brandita ogni momento. Arriva un giornale: Le Journal, poi Le Journal Hebdo. E’ finita la cultura dei resoconti e della pubblicazione dei dispacci di agenzia. Si apre la strada ad un giornalismo combattente e impegnato, che investiga sui detentori del potere politico ed economico, spingendo le indiscrezioni fino al limite massimo e respingendo compiacenze e complicità. E’ stato così nell’affaire Agma, della fusione-acquisizione Bcm-Wafabank, dell’accaparramento da parte della holding reale del settore privato attraverso il gruppo ONA-SNI, dei computer “Msys”, dell’attribuzione del mercato dei CIN al gruppo Thales… e di un buon numero di diaboliche vicende politico-finanziarie che appesantiscono l’economia del paese, soffocano il settore privato, inducono alla sfiducia economica e recano solo vantaggio al popolino che riesce ad avere relazioni di prossimità col potere politico.

Che cosa hanno fatto Aboubakr Jamai e Le Journal Hebdo  per meritare ogni batosta? Una copertina su quattro de Le Journal Hebdomadaire era dedicata al Re del Marocco. Ora, nessuno trova niente da ridire quando le televisioni pubbliche aprono nove volte su dieci sulle attività reali e quando le foto del sovrano riempiono ogni giorno le prime pagine dei giornali, raramente per autonoma scelta editoriale. Non è tanto la frequenza delle copertine che crea problemi ma è il tono critico verso il capo dello Stato e l’esecutivo che disturba. Ma che cosa dice Aboubakr Jamai di così “spaventoso e mostruoso”? Che un responsabile della cosa pubblica, fosse anche il Re del Marocco, deve rendere conto delle sue azioni e dei suoi risultati. Che l’entourage del Capo dello Stato non deve avere interessi nel settore privato, per evitare conflitti d’interessi e di essere allo stesso tempo giudice e parte in causa. Che è tempo ormai di farla finita con l’assolutismo, la corruzione e il dispotismo e che unica fonte del potere deve essere il suffragio universale. Che la separazione dei poteri non è un lusso ma un’esigenza fondamentale per la democrazia. Che la tortura e le violazioni dei diritti fondamentali  sono dei crimini e che chi li commette deve rispondere di essi. Con coraggio e determinazione Le Journal Hebdomadaire ha difeso delle cause che ritengo nobili.

Non potendo discutere con un potere spersonalizzato, sicuro di sé, chiuso e autoreferenziale, Aboubakr Jamai e qualche testata indipendente sono trascinati in giudizio e sottoposti a giudizi sommari che si sono conclusi con pesanti condanne. Non sapendo accettare opinioni diverse e non sapendo rispondere a tono, hanno scelto di ricorrere a metodi reazionari. Sono metodi che, più di ogni altra cosa, dimostrano come si vogliano tenere in gabbia le idee.

Processi telecomandati, pene pecuniarie esorbitanti pronunciate da una giustizia al soldo del potere, asfissia finanziaria attraverso pressioni sugli inserzionisti. Che cosa non si è tentato pur di uccidere il settimanale?  Nessuno potrà togliermi di mente questa convinzione: Le Journal Hebdomadaire è stato vittima dell’accanimento e della vigliaccheria del potere e della giustizia. Si voleva ucciderlo, ci sono riusciti. Perché alla resa dei conti la sua libertà di toni era sopradimensionato a paragone della realtà del Marocco: un paese i cui governanti non sono pronti per la democrazia e che, se hanno voluto lasciare un margine di libertà alla stampa indipendente, è stato più per migliorare l’immagine del regno che per convinzione.

Aboubakr Jamai ha detto un giorno: “Se noi stiamo zitti, altri parleranno. Se noi moriamo, altri nasceranno”.

 

 



TelQuel n. 410 (febbraio 2010)

Editoriale di Ahmed R. Benchemsi

 

Requiem per Le Journal

 

E’ con tristezza e emozione che vediamo scomparire il nostro confratello. Con lui se ne va una parte di noi

 

Le Journal Hebdomadaire non è più. La sua ricca e lunga storia (12 anni!)è finita improvvisamente, brutalmente. Mercoledì 27 gennaio 2010 verso le 18.30, gli ufficiali giudiziari si sono presentati, carte alla mano, per apporre i sigilli ai locali e sequestrare tutti i beni, impedendo di fatto la ripresa delle pubblicazioni. Le Journal viene così punito per non aver pagato una parte dei suoi debiti alla sicurezza sociale. Ma fin d’ora la procedura sembra essere zeppa di vizi di forma: sequestro dei beni di una società (Tri-media) al posto di un’altra (Media Trust), giudizio di prima istanza, dunque non esecutivo senza appello, ma eseguito anche se… 5 anni dopo i fatti (!), ecc.

E’ vero che, vizi di forma o meno, i fondatori de Le Journal non negano di avere accumulato nel corso degli anni pesanti debiti verso il fisco e la cassa nazionale della Sicurezza Sociale. Spiegano però che questo è stato il risultato del severo boicottaggio pubblicitario durato dieci anni, che li ha privati di risorse finanziarie. Se il boicottaggio è certo, la spiegazione è sufficiente? Non spetta a noi dirlo. Ma d’altra parte da quando lo Stato chiude delle imprese a causa di arretrati dovuti da altre imprese? Perché TRI-MEDIA è stata posta in liquidazione mentre stava, per ammissione della stessa Cassa della Sicurezza Sociale, regolando i suoi conti. Sorvolando questo punto di diritto, l’avvocato dei creditori ha dichiarato che “Le Journal può riprendere le pubblicazioni, se paga tutti i suoi debiti”. Metodo curioso! L’interesse dello Stato sarebbe quello di recuperare i crediti non soddisfatti mantenendo in vita i debitori in difficoltà. Non di eliminarli, salvo augurarsi ipocritamente che resuscitino… Tutto ciò per dire quanto segue: non c’è dubbio che ciò che ha precipitato la fine de Le Journal è stata la sua linea editoriale – e in special modo gli editoriali del suo fondatore Aboubakr Jamai, ritornato da poco in Marocco, ma che non si è mai allontanato da una linea di feroce opposizione alla deriva autocratica e/o oligarchica nella quale il paese sta precipitando. Qualsiasi ne sia stata la forma, la chiusura de Le Jorunal è soprattutto una decisione politica. Questo salta agli occhi ed è una conferma di più, se ve ne fosse stato bisogno, che le analisi di A. Jamai erano giuste.

Le Journal e TelQuel sono stati a lungo concorrenti. Le loro linee editoriali erano diverse, quantunque complementari. La transizione democratica “alla marocchina”? Le Journal non vi ha praticamente mai creduto, e l’ha sempre affermato con forza – era la sua libertà e il suo onore. Noi di TelQuel abbiamo considerato inutilmente “estrema” la forma in cui si è espresso il nostro confratello. Ma il nostro disaccordo editoriale riguardava solo la forma. Al fondo eravamo d’accordo, soprattutto negli ultimi tempi, nell’analisi fondamentale: il nostro paese vive una pericolosa regressione.

La libertà di espressione in Marocco? E’ esistita nel 1999, quando è salito al trono Mohammed VI, non tanto perché la monarchia l’ha concessa ai giornalisti, quanto perché questi ultimi se la sono presa, in un clima politico caratterizzato da una certa apertura. Ma quando il potere centrale si è sentito più sicuro, questa apertura si è ridotta di anno in anno. Oggi è legata solo ad un filo, sempre più teso. L’uccisione de Le Journal è l’ultima manifestazione di un degrado generale che, alla fine, ci minaccia tutti.

Bisogna rendere un omaggio sincero e fornire appoggio a Le Journal. Questo settimanale coraggioso e indipendente ha incontestabilmente giocato il ruolo di pioniere della libertà di espressione, nel Marocco della “nuova era”. Già negli ultimi anni di Hassan II, faceva spostare le linee rosse, allargando lo spazio del dicibile fino all’inimmaginabile. In sintonia con lui, un gruppo di altre testate ha continuato, nel corso degli anni 2000, a dissodare il terreno delle libertà. A loro rischio e poi, sempre di più, a loro pericolo. E’ con tristezza e emozione che vediamo oggi  scomparire Le Journal. Con lui se ne va una parte di noi.