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Una rivoluzione incompiuta

di Samir Amin


AFRIQUE ASIE 28 settembre 2007 (traduzione per ossin di Mariola Qesaraku)



“Colonia di colonie”, tale fu la realtà d’Alto-Volta. Questo paese ha fornito con l'emigrazione, la maggior parte dei lavoratori che hanno costruito l'economia coloniale della Costa d'Avorio, mentre i villaggi d'origine di questi costruttori di prosperità sono sopravvissuti soltanto con le molliche dei banchetti. In generale, l'emigrazione impoverisce le regioni di partenza che sopportano il costo della formazione dei lavoratori, dalla loro nascita alla loro

A detta del Che 

“Che Guevara, per noi, non è morto (perché) ovunque nel mondo, gli uomini lottano per la libertà, la dignità, la giustizia, contro l'oppressione, l’imperialismo, lo sfruttamento di classe (…). Che Guevara è stato ucciso da un proiettile imperialista sotto i cieli della Bolivia. Concentrato d’idee rivoluzionarie, (egli) non è morto, (poiché) non si uccidono le idee. Argentino di passaporto, cubano d'adozione per il sangue ed il sudore versati, (…) è diventato cittadino del mondo libero (…). Per questo affermiamo  che Che Guevara è anche africano e di Burkina Faso (…) perché partecipa alla nostra lotta (e che) una parte delle sue idee vive in ciascuno di noi. Un uomo (…) che ha saputo insegnare l'idea che possiamo osare d’avere fiducia in noi. Per noi, (egli) è anzitutto la forza di convinzione che la vittoria ci appartiene. È anche l’umanità, questa generosità, il dono di sé (…). Avviciniamoci al Che, non come a un dio, ma (come) ad un fratello che ci parla e al quale possiamo parlare (…). Era il cuore che parlava (e) le braccia vigorose ed intrepide che agivano. Ogni volta che penseremo al Che, tenteremo di somigliargli, di agire come lui nell'abnegazione, nel rifiuto dei beni borghesi che tentano di alienarci, (…) ma nell'istruzione, la disciplina rigorosa, l'etica rivoluzionaria”.
partenza, e spesso quello della pensione dei vecchi quando tornano al paese. Arricchisce le classi dirigenti dei paesi ospiti beneficiari dei lavoratori immigrati, generalmente poco costosi. L’Alto-Volta non faceva eccezione. La Costa d'Avorio aveva ogni interesse che questo paese fosse, in  queste condizioni, “indipendente”, in pratica  era interessato a liberarsi degli oneri di sostentamento  di quest'ultimo (la parte principale del territorio dell’Alto-Volta ha fatto parte della colonia della Costa d'Avorio fino al 1947). Se consideriamo lo sviluppo dei due paesi insieme, ciò che corrisponde strettamente alla realtà della loro ineguale associazione economica, le cifre “del miracolo” ivoriano devono essere divise per due.
Questa situazione è stata sempre conosciuta dal popolo e dagli intellettuali del Burkina Faso ed era motivo di spontanea rivolta. Nel corso di una conferenza all'Università di Ouagadougou, dove si discuteva di questo problema, ero invitato a rispondere ad una domanda maliziosa di uno studente. Dico schiettamente: prendete le vostre biciclette (i Burkinabesi sono i soli su tutto il continente a fare un impiego intensivo di questo strumento, e Ouagadougou somigliava pertanto a Beijing!) e scendete fino a Abidjan per proclamare l'unità dei due paesi. Due problemi saranno risolti in un solo colpo: quello economico dell’Alto-Volta, ed il problema politico della Costa d'Avorio! Fui applaudito come mai! Questo senso di rivolta è forse una delle ragioni per le quali l’intelligenzia del Burkina Faso era, e resta, dominata dalla sinistra. Tutti, o quasi, quelli che fanno politica, qui, appartengono o sono  appartenuti ad una delle correnti del comunismo, del Partito Africano dell'Indipendenza (PAI) d'origine o dei movimenti maoisti (o il Partito comunista rivoluzionario dell’Alta Volta (PCRHV) o altre organizzazioni). Non è stupefacente che quest'influenza si sia estesa nell'esercito, e che un gruppo di ufficiali abbia anche osato prendere il nome di Raduno degli ufficiali comunisti (Roc).

Alter-mondialista

Il teatrino dell'amministrazione néocoloniale della RDA (Raduno democratico africano) di Maurizio Yaméogo, il primo presidente dell’Alto-Volta, non poteva dunque durare. Ma la radicalizzazione della risposta è stata tempestiva. L'agitazione urbana, animata da sindacati potenti che rifiutando di essere addomesticati dal potere del partito unico, tuttavia chiusi nei limiti delle loro clientele della piccola borghesia (insegnanti, funzionari), in mancanza di base industriale ed operaia, aveva, in un primo tempo, aperto le porte ad un regime militare morbido e velleitario, quello di Lamizana. Fino il giorno in cui il Roc, diretto da Thomas Sankara, prese il potere.
Si posero immediatamente i problemi classici di queste situazioni: che fare? Si tratterà si superare il populismo e di incoraggiare le masse contadine ed urbane povere ad organizzarsi liberamente, o si tenterà “di inquadrarle” al punto di annientare la resistenza potenziale? Quali relazioni il potere bisognerà stabilire con le organizzazioni rivoluzionarie marxiste? Bisognerà cercare di assorbirli in un nuovo partito unico o accettare una formula più democratica di fronte reale, tollerante verso i diversi punti di vista e capace di aprire un dibattito?
Tale fu l'oggetto di discussioni ripetute con Thomas Sankara che mi invitava ad esporre il mio punto di vista. Sankara, devo riconoscerlo, è una personalità che mi è apparsa immediatamente molto simpatica. Realmente semplice, diretto, aperto, che ascoltava ciò che gli si diceva e che rispondeva senza abusare della sua posizione di capo. Inoltre realmente femminista, convinto dell’importanza del cambiamento dei costumi a favore dell'uguaglianza dei sessi - e questo è molto raro “nei grandi uomini”. Anche colto, aveva letto “i classici” del marxismo con la stessa attenzione di un buon intellettuale civile. Mi sentivo dunque completamente a mio agio con lui e, se non fosse stato un capo di Stato, sarebbe diventato un amico senza problemi. Il suo assassinio mi ha sconvolto.
Sankara aveva, a mio avviso, visto giusto - almeno teoricamente – per quanto riguarda la “strategia di sviluppo economico e sociale”. Alter-mondialista di avanguardia, Sankara aveva promosso il consumo di prodotti locali a scapito delle importazioni, lanciando simbolicamente Faso Dan Fani, un modo di vestirsi che valorizzava il cotone prodotto localmente anziché esportarlo allo stato grezzo. Insomma pensava ad uno sviluppo soprattutto autarchico, endogeno.
In una prima tappa, bisognava pensare a dei “piccoli progetti”, in altre parole, ad azioni di miglioramento rapido delle condizioni di produzione delle Comunità rurali, meno costose possibili, e che i vantaggi di questi miglioramenti ritornassero completamente alle Comunità interessate. Scelta non motivata dalla filosofia incerta di “small is beautiful”, ma da realismo (cos’è possibile immediatamente?) e per senso politico (è attraverso questo tipo di operazioni che un'organizzazione ed una democratizzazione della vita rurale possono essere iniziate). Inoltre, Sankara aveva deciso - ispirato forse dal modello cinese - di inviare i funzionari ed i tecnici a fare tirocini alla base, nei villaggi. Sperando che avrebbero “imparato dalle masse” (conoscendone i veri problemi) e “insegnato  alle masse” (mettendo al loro servizio le loro conoscenze di agronomi, di veterinari, di medici, di insegnanti, di ragionieri).
Non avevo certamente nulla da ridire, oppure aggiungere, ad un piano di questo tipo. Ho dunque detto a Sankara che desideravo soltanto vedere - almeno un po'- come questo programma funzionava sul campo. Ho avuto l'impressione che egli si aspettasse questa domanda. Ma, ancora di più, la sua risposta: non puoi  vedere tutto (era passato rapidamente al tu dei compagni), ti occorrerebbe restare un anno per questo, ma allora, fai la tua scelta, vai a vedere i tuoi amici (tutti sapevano che io frequentavo tutta la sinistra di Burkina Fasso) e scegli in funzione di ciò che ti diranno (molti tra loro dubitavano e prevedevano il fallimento). Questo è ciò che feci.
Non ho l’audacia di sostenere che potrei presentare una relazione seria a partire dalle mie osservazioni, che non sono state altro che impressioni rapide. Dirò soltanto che le mie impressioni sono state piuttosto favorevoli. Forse per ignoranza delle vere difficoltà e realtà, che mi hanno fatto accettare troppo rapidamente ciò che due o tre persone di ogni luogo visitato erano in grado di dire e di analizzare. Ma il solo fatto che un terzo circa dei funzionari e tecnici incontrati sul campo erano felici della sorte che era riservata a loro (la vita materiale è più dura che ad Ouagadougou, ma quante cose si capiscono! E inoltre ci si sente così tanto utili!) mi sembrava un successo. Forse due terzi di questi “deportati” - silenziosi - non erano dello stesso parere. Ma la proporzione di un terzo era molto più di quanto avessi potuto immaginare. Ciò mi ricordava la frase di Amilcar Cabral sul suicidio della piccola borghesia come classe. In ogni caso, i risultati materiali dell'operazione – l’aumento reale della produzione, dell'auto-consumo e delle vendite - dimostrano un successo almeno parziale, che avrebbe potuto essere migliorato col tempo.

THOMAS SANKARA ERA REALMENTE FEMMINISTA,
 CIO CHE È MOLTO RARO “NEI GRANDI UOMINI”


Sull'aspetto delle relazioni con le organizzazioni rivoluzionarie, le cose erano più difficili. Sankara sapeva che avrei visto “i miei amici”. Lo desiderava anche, e credo che sperasse che svolgessi il ruolo di una specie di intermediario ufficioso. Io ci tenevo a restare al mio posto: quella di uno straniero troppo ignaro di molte realtà per dare lezioni. Certamente ho incontrato tutti, o quasi, ed ho ascoltato molto le loro analisi - diverse e spesso divergenti -: Basile Guissou e Joséphine Ouédraogo, Talata Kafando, Arba Diallo, Philippe Ouédraogo, Taladie Thiombiano e tanti altri, senza contare gli uomini politici moderati come Joseph Ki-Zerbo, Charles Kaboré, gli economisti come Pierre Damiba, e gli altri.

Futuro aperto
Il potere aveva messo in campo le proprie organizzazioni, in particolare i comitati di difesa della rivoluzione. I loro comportamenti, il grado della loro organizzazione e del loro controllo eventuale, le loro relazioni con i militanti delle organizzazioni rivoluzionarie, nulla di ciò era sufficientemente chiaro perché si possano ricavarne (almeno da parte mia),  delle conclusioni che riguardino sia la strategia politica che il potere delle organizzazioni rivoluzionarie. Le loro direzioni, che io incontravo normalmente e separatamente le une dalle altre, avevano dei punti di vista che io ascoltavo volentieri. Il mio solo intervento fu di dire a tutti – anche a Sankara: “ Tutelate le vostre differenze e rispettatevi reciprocamente, se è possibile, ma provate anche a lavorare insieme, su punti di convergenza. Che dopo tutto, ci sono”. Ed è quanto realmente penso.
L'esperienza del Burkina Faso è stata affossata. Sankara è stato assassinato da persone a lui vicine, come si sa. Il paese non è più riuscito a scostarsi dai sentieri battuti dal neocolonialismo banale. Ma il futuro resta aperto, ed una ripresa a sinistra non è inimmaginabile se le condizioni interne ed esterne ne permetteranno lo sviluppo. Il Burkina Faso è, come il Mali e Ghana, in stato d'attesa.





Analisi 

Il principio di realtà


Di Bouzid Kouza


Occorreva che Thomas Sankara morisse perché, nella memoria africana, la sua vita folgorante, rimanesse nelle gesta? Dov’è il Burkina venti anni dopo la sua scomparsa? Queste questioni sono al centro di due dibattiti tenuti parallelamente, come per prolungare nel tempo la rottura che ha condotto al 15 ottobre 1987: uno tenuto da quelli che si vantano dell'eredità di Thomas Sankara e si disputano la sua icona, l'altro da parte dei loro avversari che dirigono il paese da questa data storica. Esse ravvivano delle passioni e delle emozioni nei principali protagonisti tanto è vero che il cordoglio non è stato completato, nonostante gli sforzi di riconciliazione nazionale intrapresi dieci anni fa.
Tuttavia, occorrerà che queste passioni ed emozioni si allevino per lasciare posto alla riflessione serena ed al dialogo fertile tra uomini e donne animati dalla stessa ambizione per il loro paese ed i cui disaccordi politici possono esprimersi nei canali istituzionali di uno Stato di diritto. Poiché è precisamente l'assenza di questa riflessione serena e di questo dialogo fertile - non sul progetto di società ma sui mezzi, i metodi e le tappe - che hanno condotto agli strappi interni al movimento rivoluzionario del 4 agosto 1983, che ha gettato nella costernazione i suoi simpatizzanti e sostenitori in Africa e nel mondo. Poteva essere differentemente? Alcuni riferimenti…

 

Un esito inevitabile?

Surrogato di Stato sotto Maurizio Yaméogo, il primo presidente insediato dalla Francia e deposto dal generale Lamizana, l’Alto-Volta di allora non ha conosciuto, da quel momento, se non degli stati di emergenza. La vita politica ufficiale era predominata da un grosso Raduno democratico africano (RDA), partito clientelista di notabili dormienti  nel grembo néocoloniale. La vera vita era invece animata da un'elite intellettuale raccolta nella più vecchia formazione marxista-leninista, il Partito Africano dell'Indipendenza (PAI), quindi in una mezza dozzina d’altri partiti concorrenti che si ispiravano al maoismo. Caratteristica principale di tutte le sue formazioni:  i loro quadri, formatisi in Francia negli anni 1960 e 1970 nell'ambito della Federazione degli studenti dell'Africa nera francofona (Feanf) hanno grande dimestichezza con le polemiche ideologiche che agitavano le sinistre europee - Lénine, Stalin, Trotsky, Mao, Guevara, ma anche Fanon, Cabral… - il loro modo di funzionamento, dettato dalle costrizioni della clandestinità, è fondato sul centralismo democratico che consegna al gruppo  dirigente un potere regale; la loro base sociale è sociologicamente circoscritta negli ambienti dell'insegnamento (liceali, studenti e professori) e del settore pubblico che hanno conservato tuttavia un forte legame economico e sociale con le loro famiglie rurali.
Questi tre elementi eserciteranno un'influenza profonda sulle scelte e gli orientamenti del regime, e soprattutto il suo modo di funzionamento ed i metodi di gestione. Tanto più che gli ufficiali, rivoluzionari, condividevano le opzioni ideologiche di questi partiti o ne subivano un'influenza fatta di complicità nate nei collegi e negli istituti universitari. A parte queste differenze, essi erano legati al loro statuto di soldati (e di cospiratori) con tutto quanto questo fatto implica in termini di gerarchia, disciplina ed obbedienza agli ordini. Di conseguenza, passati i primi tre anni di un consenso relativo tra tutte le componenti del Consiglio Nazionale della Rivoluzione (CNR) - che ha permesso di porre in essere atti fondamentali - sono apparse divergenze diventate, sulla scia della pratica e dei dibattiti, burrascose, contraddizioni,  quindi antagonismi.
Le cause? Sono multiple e intricate. Attengono, oltre che alla lotta inevitabile per la ripartizione del potere, ad una scelta volontaristica che sopravvaluta il fattore politico, tanto interno che esterno, e sottovaluta le costrizioni economiche di un paese povero e isolato. Attengono soprattutto alla questione decisiva della scelta del modello d'organizzazione della società e dello Stato: una democrazia popolare inquadrata da un partito monolitico di tipo leninista, o una democrazia sociale animata da un fronte democratico? È questa seconda opzione che è prevalsa. Certamente, occorre sapere se un'uscita diversa dal confronto armato fosse possibile; ma occorre anche situare il contesto nazionale - uno stato di emergenza in vigore per dieci anni -, ed internazionale: crescita della forza del liberalismo economico e le premesse del crollo del blocco socialista. Oltre al suo interesse storico, quest'approccio permette di capire meglio se  fosse stata possibile una strada alternativa a quella  scelta dagli iniziatori del fronte popolare (1987-1992) e che ha condotto il paese ad uno Stato di diritto nel quale - nonostante il quadro restrittivo imposto dal FMI e dalla Banca Mondiale -, gli stessi obiettivi fissati dalla rivoluzione del 4 agosto sono stati perseguiti con successi oggi misurabili: sviluppo dell'agricoltura, del sistema sanitario, dell'istruzione e della cultura, emancipazione delle donne, creazione di posti di lavoro, miglioramento delle infrastrutture pubbliche e degli alloggi, allargamento ed ammodernamento delle istituzioni dello Stato, incoraggiamento delle cooperative di produzione e delle associazioni cittadine…

 

Democratizzazione
Questo dinamismo. favorito dalla stabilità istituzionale e da una politica di raccolta e di coesione nazionale, è tuttavia - liberalismo aiuta - appannato dall'emergenza di uno strato di nuovi ricchi di successo tanto rapido quanto ostentato, e dalla pratica della corruzione. Sebbene in piccola scala, questi due fenomeni gettano un'ombra sul concetto di solidarietà e sulla nozione d'integrità di cui il Burkina Fasso è legittimamente orgoglioso. Se la democratizzazione rimane ancora da approfondire, questa non resta meno reale, tanto da permettere un confronto delle idee e dei programmi. Lontano dall’agiografia dell’auto-soddisfazione, delle esclusive o delle esclusioni.