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Counterpunch, 30 marzo 2018 (trad.ossin)
 
I Palestinesi non smetteranno mai di reclamare i loro diritti
Basem Naim
 
L'Occidente è stato a lungo innamorato dello spirito della resistenza passiva, con decine di migliaia di dimostranti disarmati che affrontano, chiedendo giustizia, una forza armata di tutto punto e spietata.
 
Oggi centinaia di migliaia di pacifici manifestanti disarmati hanno marciato verso la frontiera imposta da Israele alla Striscia di Gaza posta sotto assedio. Non sono riusciti ad avvicinarsi in quanto, quando erano ancora a una distanza di diverse centinaia di metri, i cecchini israeliani hanno aperto il fuoco, lasciando sul terreno centinaia di palestinesi feriti e almeno dieci morti.
 
Questo non è un film. È Gaza. È la Palestina.
 
Israele spara contro la folla disarmata
 
Per più di settant’anni, i Palestinesi hanno tentato con tutti i mezzi possibili di ottenere il riconoscimento dei loro diritti, garantiti dal diritto internazionale e umanitario.
 
Nel corso degli ultimi decenni, decine di risoluzione sono state adottate da un largo assortimento di organismi internazionali, associazioni e ONG in favore dei loro fondamentali diritti alla libertà, all’autodeterminazione e al ritorno nelle case da cui vennero espulsi con la forza nel 1948.
 
Contraddicendo il mito romantico costruito intorno alla creazione dello Stato ebraico, decine di storici e giornalisti rispettabili, compresi degli Israeliani come Ilan Pappe e Gideon Levy, hanno dimostrato che l’attacco sionista coordinato contro centinaia di villaggi palestinesi secolari, nel 1948, fu solo l’inizio di un progetto calcolato di pulizia etnica che prosegue ancora oggi.
 
Sostenere che quasi un milione di Palestinesi abbiano lasciato volontariamente le loro case, le loro scuole, le loro moschee e le loro chiese nel 1948 è totalmente  privo di senso, è come proclamare che la terra è piatta. La fuga in massa e disperata dei Palestinesi dall’assalto paramilitare alle nostre comunità ancestrali è una realtà che nessuno può onestamente contestare.
 
Nonostante la quasi unanimità dei giuristi internazionali a proposito della nostra causa, la comunità mondiale non ha potuto o non ha voluto rendere giustizia ai Palestinesi, che vivono in bantoustan (i ghetti riservati a neri del Sudafrica dell’apartheid, ndt) circondati da muri nel loro stesso paese, o sono costretto a fuggire nella diaspora e diventare rifugiati apolidi, sparpagliati in giro per il mondo.
 
E, nel corso di tutti questi decenni, gli Stati occidentali hanno apertamente adottato delle politiche che, non solo favoriscono e proteggono Israele, ma gli conferiscono i mezzi per proseguire la sua occupazione illegale dei territori palestinesi.
 
Nessuno Stato ha contribuito a questa ingiustizia storica più degli Stati Uniti. Non paghi di concedere più di 250 miliardi di dollari in aiuti governativi diretti a Israele, gli Stati Uniti hanno usato il loro diritto di veto più di 70 volte al Consiglio di sicurezza dell’ONU per impedire l’adozione di risoluzioni di condanna delle politiche israeliane.
 
Nel sostegno finanziario senza precedenti degli Stati Uniti a Israele, vanno ricomprese decine di miliardi di dollari in aiuti e materiale militare che forniscono a Israele i mezzi per calpestare i diritti e le aspirazioni legittime di milioni di Palestinesi e seminare morte e distruzione nelle nostre comunità. Decine di migliaia di persone hanno perso la vita, molte altre sono state ferrite o mutilate e più ancora sono state imprigionate nel corso di tutti questi anni, in un sistema di « giustizia » militare che priva in Palestinesi di ogni minima giustizia.
 
Recentemente, per punire ancor più i Palestinesi per il fatto di manifestare una volontà politica, l’amministrazione USA ha tagliato più di 360 milioni di dollari di aiuti sulla sua parte annuale di 1,2 miliardi di dollari all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione per i rifugiati di Palestina nel Medio Oriente (UNRWA). Questo programma di aiuti internazionali fornisce prestazioni in materia di sanità, educazione e alimentazione a qualcosa come 5 milioni di rifugiati palestinesi nel mondo, vale a dire quasi il 40 % della popolazione totale di 11,5 milioni di Palestinesi all’interno e all’esterno della Palestina.
 
Nel corso degli ultimi 25 anni, i Palestinesi hanno vanamente tentato, in assoluta buona fede, di realizzare le loro legittime aspirazioni, partecipando ad un processo di negoziati lungo, complesso, e controproducente.
 
A causa dello squilibrio fondamentale nel rapporto di forze sul campo e di un costante partito preso internazionale a favore di Israele, questo Stato ha utilizzato questo « negoziato » come una copertura per il suo programma di annessione illegale di terre palestinesi in Cisgiordania.
 
Non pago di inondare la Cisgiordania di centinaia di migliaia di « coloni » illegali, Israele ha proseguito nel suo attacco sistematico contro i diritti fondamentali dei Palestinesi in tutti i territori occupati, ivi compreso Gaza.
 
Quale è stato quindi il risultato di questo stallo israeliano durato 25 anni ? Non abbiamo forse assistito, come c’era da aspettarsi, al sabotaggio di ogni significativa opportunità di stabilità e/o di riduzione della violenza, che invece si è propagata in tutta la regione ?
 
Lo stallo del processo si proponeva di annichilire ogni speranza di libertà, ogni speranza di uno Stato indipendente e di un ritorno alle case da cui sono stati tenuti lontano in tutti questi anni, non è così? E che dire della vita quotidiana dei Palestinesi sotto occupazione, che siano quelli che vivono in una Cisgiordania divisa in cantoni controllati, o nella striscia di Gaza sotto assedio? Entrambi i territori sono stati trasformati in un inferno insopportabile che tutti possono vedere e che noi viviamo. Uccisioni, arresti, assedi, confisca di terre, demolizione di case, miseria, disoccupazione, privazione di assistenza medica e divieto di circolazione, ecco il modo di vivere quotidiano di milioni di Palestinesi.
 
Come il resto del mondo, noi Palestinesi amiamo la vita, la comunità e la famiglia, e tutto quanto vogliamo è che i nostri figli abbiano un futuro migliore del nostro. Sembra però che la nostra aspirazione collettiva e legittima sia considerata invece inaccettabile da molti paesi del mondo, che sembrano molto interessarsi a noi, ma  che non fanno nulla, mentre l’occupazione e l’ingiustizia proseguono sotto gli occhi di tutti.
 
Sembra che poche nazioni sentano il bisogno di opporsi all’aggressione israeliana e alla sua occupazione, che pure viola tutte le norme della decenza e del diritto internazionale, da qualunque punto di vista le si esaminino.
 
Dopo aver valutato le opzioni che ci restano, e forti del nostro diritto legittimo a resistere, noi Palestinesi di Gaza abbiamo deciso di organizzare delle marce pacifiche fino alle linee di segregazione che ci impediscono la minima velleità di autodeterminazione. Noi pretendiamo la fine dell’occupazione, la fine dell’assedio di Gaza, e il riconoscimento del diritto dei Palestinesi al ritorno, conformemente a quanto stabilito dalla risoluzione 194 dell’ONU, del dicembre 1948.
 
Questi eventi che iniziano oggi coincidono con l’anniversario della « Giornata della Terra », quando sei Palestinesi vennero uccisi nel 1976, mentre difendevano la loro terra confiscata dalle autorità israeliane nella regione della Galilea.
 
Nella tradizione della resistenza passiva, le nostre iniziative saranno pacifiche e si svolgeranno vicino alla frontiera fino al 15 maggio, data del 70° anniversario della Naqba (“la catastrofe”, l’occupazione israeliana del 1948), quando più di un milione di Palestinesi vennero cacciati dalle loro case.
 
Tutti i Palestinesi, quelli che sono in patria e quelli della diaspora, compresi uomini, donne e bambini, parteciperanno a queste marce e alle manifestazioni che reclameranno giustizia e il diritto di vivere. Le nostre iniziative saranno coordinate da un comitato nazionale che rappresenta tutte le forze e le fazioni palestinesi e anche la società civile, le personalità e i simpatizzanti palestinesi.
 
Il Comitato ha diffuso numerose pubblicazioni e direttive per i partecipanti alle marce, che sottolineano il carattere pacifico del movimento e la necessità di evitare la violenza e le provocazioni di Israele, interessata a scatenare una escalation di violenza. Il Comitato ha designato anche diversi rappresentanti sul campo per supervisionare lo sforzo collettivo e fare in modo che il nostro messaggio venga diffuso con mezzi potenti e pacifici.
 
Nonostante tutti I nostri sforzi, ci attendiamo le provocazioni di Israele durante le nostre manifestazioni, e faremo tutto il possibile perché nessuno raccolga queste provocazioni.
 
Oggi, ancora una volta, I nostri peggiori timori si sono malauguratamente avverati, quando Israele ha cominciato a sparare centinaia di proiettili veri e bombe lacrimogene contro i manifestanti pacifici, armati solo della loro voce e della loro determinazione.
 
In fin dei conti, Israele ha a lungo temuto e sfidato tutti i tentativi dei Palestinesi di rivelare al mondo la realtà dell’occupazione e dell’assedio di Gaza, che dimostrano la falsità della pretesa israeliana di essere l’unico Stato democratico della regione: uno Stato che rispetterebbe e proteggerebbe i diritti dell’uomo e onorerebbe il diritto fondamentale alla libertà di espressione.
 
Contro questo ritornello, si leva la pratica quotidiana delle forze di occupazione, che mostrano una realtà completamente differente … Una realtà fatta di razzismo, violenza e violazioni sistematiche dei diritti dell’uomo.
 
Recentemente, l’arresto e la detenzione di Ahed Tamimi, attualmente diciassettenne, in Cisgiordania, perché aveva schiaffeggiato un soldato israeliano armato di tutto punto che si era introdotto nella sua casa, è solo uno di centinaia di eventi che dimostrano come si vive e si muore in Palestina. Non molto tempo fa,  Ibrahim Abu Thuraya sulla sua sedia a rotelle è stato ucciso da un cecchino israeliano solo per avere sventolato una bandiera palestinese, alla frontiera di Gaza, davanti ai soldati israeliani che controllano chi può entrare e uscire dalla prigione sotto assedio in cui vivono circa due milioni di persone.
 
Tenuto conto di una lunga storia ben documentata delle violenze dell’Occupazione, i Palestinesi temono con ragione che, nonostante la natura pacifica di queste marce, Israele se ne serva come pretesto per uccidere e ferire altri nostri concittadini. Nel passato, le forze di occupazione hanno sempre provocato le manifestazioni non violente per farle degenerare in scontri violenti, durante i quali le nostre comunità e i nostri figli hanno pagato un prezzo elevatissimo per aver tentato di fare intendere la loro voce.
 
L’attacco israeliano di oggi contro il nostro popolo pacifico prova, ancora una volta, che la storia si ripete e che essa consente di prevedere quanto accadrà.
 
Non ci lasceremo però scoraggiare dall’aggressione israeliana, perché noi esercitiamo il nostro diritto fondamentale di resistere all’oppressione e di manifestare per garantire ai nostri figli un futuro migliore, un futuro in cui ci siano giustizia ed uguaglianza.
 
 
Basem Naim, che risiede a Gaza, è l’ex ministro della salute e consigliere del Primo Ministro palestinese per le relazioni internazionali.