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www.lesoirdalgerie.com, 22 ottobre 2012 (trad.ossin)



Qatar, una diplomazia al servizio degli USA
Ali El Hadj Tahar

“La volontà di potenza dell’emiro Hamad del Qatar non ha altri limiti se non quelli fissati dalla NATO”, scriveva Gilles Munier in Global Research, il 6 febbraio 2012


Questo piccolo Nerone del piccolo Qatar, che fino a due decenni fa non conosceva nemmeno il cucchiaio, sembra avere nel mirino una lunga lista di nemici. Questo frantumatore di Repubbliche diventato un fabbricante di false rivoluzioni a catena, questo spacciatore di opinioni nessuna delle quali è degna di essere presa in considerazione, questo sponsor di terrorismi che vuole battere il record dei colpi bassi con la stessa disinvoltura con la quale ha deposto suo padre, questo capo di uno Stato del quale ci si dimentica di ricordare che è wahabita come l’Arabia Saudita ha cercato noie anche a Riyadh. Per alcuni anni le relazioni di Doha con Riyadh sono state pessime perché, oltre ai conflitti di frontiera, gli Al-Saud non hanno mai perdonato ad Hamad di aver fatto un colpo di Stato contro il proprio padre: nessun monarca auspica un colpo di Stato contro un altro monarca, tanto meno alle proprie frontiere. Poi con le sue “primavere arabe” Hamad il dinamico ha cominciato ad animare il noioso quotidiano di un re liquidando Gheddafi e facendo strage di qualche povero diavolo al passaggio. In seguito è sorto qualche altro problema col sobillatore: il mancato putsch contro il Kuwait e la divulgazione, nel febbraio 2012, da parte dell’agenzia iraniana IRIB, di un colloquio registrato clandestinamente nel corso di un incontro privato tra l’emiro Hamad e il defunto colonnello Gheddafi (in occasione del summit arabo di Damasco del 2008). Nel corso del colloquio, Hamad diceva che “il re Abdallah (dell’Arabia Saudita) è sfinito e incapace di controllare il paese” e che sarebbe venuto il giorno in cui il Qatar si sarebbe impossessato di Al-Qatif e di Al-Sharqiya e avrebbe smembrato l’Arabia. Confidava a Gheddafi anche di avere trasmesso un rapporto sulla situazione securitaria del regno a richiesta degli USA e dell’Inghilterra e che era imminente una sollevazione contro gli Al-Saud, aggiungendo poi : “Il regime dell’Arabia Saudita sta per cadere a causa di un monarca che invecchia e non permette ai giovani principi di accedere al potere”.


Per il momento l’emiro e il re hanno messo da parte questi conflitti, preoccupati come sono della sconfitta annunciata dei loro progetti in Siria, a dispetto dei 30 miliardi di dollari che hanno speso per comprare complicità su scala regionale e internazionale, oltre che per l’acquisto di armi, programmi di comunicazione nei grandi media occidentali, senza parlare delle agenzie di comunicazione e di propaganda, degli agenti o delle agenzie di reclutamento di mercenari come Blackwater, la società militare statunitense specializzata nel reclutamento di mercenari. Quando falliranno in Siria troveranno un’altra vittima, il Mali e qualcuno dei vicini che è già pronto ad essere infilzato allo spiedo, e perché no il Libano, che Israele ha interesse a spezzettare, o la Giordania, considerata dallo Stato ebraico come la sola patria dei Palestinesi.


I conflitti come metodo di governo
Diversi dirigenti occidentali importanti ammettono il coinvolgimento di Al-Qaida nei fatti siriani: il direttore dell’intelligence dell’Unione Europea, Patrice Bergamini, ha riconosciuto (in una intervista accordata venerdì 17 agosto al quotidiano libanese Al-Akhbar) che in Siria sono attivi alcuni jihadisti. Anche in Turchia e in Giordania, le basi controllate che i governi di questi paesi hanno loro creato rischiano di debordare come in Libano, dove è dovuto intervenire l’esercito per riprendere il controllo di Tripoli. Capiscono adesso di essere stati presi in giro da questo Qatar che credeva che la sua campagna in Siria sarebbe stata una passeggiata come in Libia, e che un’orda chiamata “Esercito siriano libero”, senza armi pesanti e senza sostegno popolare, potesse sconfiggere un esercito nazionale di 200.000 uomini esperti nell’arte della guerra. I Siriani sanno che, di fronte a un numero ancora più alto di terroristi, l’Algeria è stata capace di sradicare la peste jihadista. Certamente in Siria il compito dell’esercito è più difficile perché si tratta di una guerriglia urbana e dunque di tentare di sradicare i terroristi senza colpire i civili. In ogni caso i soldati siriani non hanno disertato, cosa che dimostra che anche il popolo è col suo governo, nonostante le prime strabilianti promesse di Doha ai traditori: 1 milioni di dollari per ogni ufficiale.


La situazione in Mali è, dal canto suo, sempre più inquietante, tanto più che i terroristi reclutano bambini tra i loro ranghi. Il finanziamento dei gruppi terroristi da parte di Doha è un segreto di Pulcinella, e secondo Le Canard enchainé, che ha diffuso l’informazione, l’emirato del Qatar avrebbe delle mire sulle ricchezze del sottosuolo del Sahel. Il Qatar è azionista di TOTAL, alla quale il nuovo governo libico avrebbe già promesso il 35% delle sue risorse petrolifere. Roland Marchal, ricercatore al Centre d’études et de recherches internationales di Sciences Po a Parigi, scrive: “Nello stesso modo in cui il Qatar ha inviato forze speciali per addestrare l’opposizione a Gheddafi, si pensa che un certo numero di elementi delle forze speciali del Qatar si trovano oggi nel Nord-Mali per assicurare l’addestramento delle reclute, soprattutto Ansar Dine”. Mentre il giornale maliano L’Indépendant del 6 aprile (all’indomani del rapimento del console algerino) scriveva che un cargo del Qatar era atterrato all’aeroporto di Gao per consegnare armi e stupefacenti ai ribelli, altre fonti maliene parlano addirittura di molti cargo atterrati in giorni diversi, aggiungendo che erano in arrivo islamisti dal sud del Niger, dal Ciad e dalla Nigeria (Boko Haram) verso il nord del Mali. Così dunque Hamad prenderà più piccioni con una sola fava, perché non vorrà farla passare liscia al presidente Oueld Abd Al Aziz di Mauritania che ha osato metterlo a posto, chiedendogli di non intromettersi più negli affari interni degli altri popoli. Ben Ali, Gheddafi, Mubarak, Ali Abdullah Saleh dello Yemen hanno accusato tutti il Qatar di aver pianificato e messo in opera le sollevazioni e le violenze che hanno colpito i loro paesi: erano stati male informati dai loro servizi di intelligence?


L’emiro “rivoluzionario” non è uno zaim (capo)
Nei paesi arabi e mussulmani, la diplomazia è quasi sinonimo di angelico e viene percepita come il modo di conservare le buone relazioni tra i popoli nella tutela dei comuni interessi. Per contro è il cinismo e l’egoismo che caratterizzano la politica estera del nuovo intruso che viene a sparigliare tutte le carte, approfittando della debolezza o della tolleranza dei fratelli. È lontano il tempo in cui l’Algeria inviava i suoi ministri degli affari esteri a risolvere i problemi regionali, come tra l’Iraq e l’Iran, a rischio anche della vita di un ministro. Benyahia è stato assassinato perché voleva porre fine ad una guerra inutile tra due paesi mussulmani istigati dagli Stati Uniti e i loro vassalli del Golfo, che hanno strumentalizzato Saddam Hussein prima di eliminarlo. L’Algeria non è più che l’ombra del paese dei martiri, lo spettro invisibile del quale non viene nemmeno più issata la bandiera durante gli incontri internazionali. Dipendente dalla borsa del Qatar e degli USA, anche l’Egitto non è più che l’ombra di un presidente nella persona di una banderuola islamista. Chi deve la sua poltrona ad Hamad non può contraddirlo. Come l’emiro del Qatar, Morsi è filo-palestinese, ma chiude i tunnel che portano a Gaza e impedisce così il transito delle merci verso le regioni sotto embargo. Presidente copia incolla, piccolo clone di un Qatar diventato grande grazie ai complotti. Ultimo arrivato dello stesso clan della subalternità a Israele e agli Stati Uniti.


Gli Arabi si domandano come sia accaduto che grandi paesi come l’Egitto, l’Algeria e l’Iraq siano diventati così piccoli e come un tanto piccolo Qatar sia diventato tanto potente. E così arrogante. Come se il Liechtenstein o Monaco si potessero permettere di sfidare la Germania o la Francia. Ma Doha ha un modello cui si ispira: lo Stato di Israele, la cui potenza è stata costruita su una identica attitudine egemonica e su una massa di denaro sufficiente a dominare il mondo… La diplomazia del Qatar è niente altro che la traduzione di una politica estera USA che cerca di salvare il sistema unipolare che fa ancora degli Stati Uniti il gendarme del mondo. A dispetto di tanta agitazione, gli Stati Unti non fanno altro che ritardare l’avvio della futura dominazione planetaria della Cina e di una Russia che si è riposizionata dopo la caduta del comunismo. Il XX° secolo è stato solo a metà un secolo USA e non è nemmeno detto che gli USA saranno dominanti per tutto il XXI° secolo, in ogni caso certamente non sul piano economico. Ma si può dominare militarmente di fronte alla Cina e alla Russia, se non li si domina economicamente? Il Qatar? Non ritornerà probabilmente subito ai suoi dromedari e alla sua pesca, ma il suo avvenire dipende dal futuro dei suoi padroni. Il suo ruolo è di battere il tamburo, alto e forte, per far credere al primato degli Stati Uniti d’America che crea nuovi Pearl Harbour sul suo territorio per poter avere la legittimità di bombardare chi vuole. Questo terrorismo USA, necessario per l’instaurazione del nuovo ordine mondiale o del Grande Medio oriente, ha bisogno dell’assistenza dell’Arabia Saudita e di un cinico come il Qatar per convincere qualche ultima vittima. Una volontà di esistenza si trasforma in volontà di potenza, poi di influenza, anche coi mezzi violenti dell’ingerenza militare. Il Qatar avrebbe potuto essere facilmente un potente catalizzatore per il mondo arabo, un motore, una locomotiva preziosa per spingerlo in avanti, federarlo, tenerlo unito, promuoverlo, ma ha preferito giocare il ruolo contrario, indebolire una fragile unione, aggravare i conflitti, attizzare le violenze, rianimare le inimicizie e i vecchi rancori, fare tutto il contrario di quello che fanno tutti coloro che costruiscono un impero, che è poi la sua pretesa. La Turchia di Erdogan ha anche lei questa pretesa, ognuno dei due con l’aspirazione ad essere il leader della stessa regione, che si lasci guidare, verso il successo o verso il macello, una regione che è in cerca di una guida capace di sperimentare nuove vie o un leader avventurista di quelli che ha già avuto. Tuttavia, in altri tempi, califfi che non avevano che una infima parte delle ricchezze di Doha hanno saputo creare delle dinastie, quella omayyade, la dinastia abbaside, quella degli Hammadidi o della fiera Andalusia… Hamad l’anticaliffo pieno di soldi. Che fallimento in tante vittorie! Il Qatar è riuscito a innalzarsi al rango dei paesi ricchi, ma non dispone di un know out scientifico o tecnologico. Hamad, dal canto suo, si è proiettato sulla scena internazionale come il leader arabo più in vista. Di fatto, è diventato il primo rappresentante di una nazione (araba) da molto tempo senza zaim (capo), e ciò grazie ad una emittente e al denaro, che gli hanno aperto le porte del mondo. Ma questo falso elettrone libero non è diventato uno zaim, perché la piazza araba non gli ha riconosciuto questa legittimità che aveva già conferito a Nasser, Boumedienne, Bourghiba, e perfino a Saddam Hussein, Gheddafi e Ben Ali. Egli ha tradito dei popoli che aspettano con impazienza il loro nuovo zaim, come gli sciiti attendono il loro imam nascosto. Sarebbe stato facilissimo per Hamad diventare un idolo, uno zaim illuminato, ma lui preferisce essere una marionetta di Obama. Preferisce agire come un pirata in tempi di razzia, come un predatore che possiede immense ricchezze che altre ne accumula, senza godersele e senza condividerle.