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Il 14° Dalai Lama adesso sostiene la democrazia, sembra difficile credere che il rappresentante di un sistema medievale e feudale come quello abbattuto dall’Armata di Liberazione possa sostenere la Democrazia. La verità è che il Dalai Lama rappresenta il marketing di stile americano adattato alla politica. E’ famoso e celebre come lo sono i Mc Donald’s, Adidas e Nike. E’ un divo così come lo sono Zidane e Brad Pitt e adesso, come se non bastasse, ha annunciato che il suo successore sarà una donna. Si comporta proprio come i governi occidentali, impegnati a guadagnarsi le simpatie delle categorie meno rappresentante. Peccato che il Tibet non abbia colonie in Africa altrimenti il ministro dei rituali sarebbe stata una donna nera (vedi Condoleza Rice che non rappresenta assolutamente né le donne né la popolazione nera).

Il Dalai Lama denuncia che il Governo cinese non ha mai rispettato gli accordi del 1951, con i quali l’Armata di Liberazione e il Governo tibetano hanno concordato la formula “di un paese due sistemi”. Ciò significava che il Tibet restava cinese, ma poteva conservare le sue caratteristiche politiche e sociali. Il punto è che il Dalai Lama non ha mai avuto il coraggio di dire quali erano le caratteristiche politiche e sociali del Tibet che sognava. “Caratteristiche politiche e sociali” sa di folklore, pertanto riscuote la simpatia degli occidentali, ma si tratta di ben altro. Il sistema feudale tibetano era dominato dai nobili e dai monasteri (vi ricorda qualcosa?), il 5% della popolazione possedeva tutte le risorse (terra, pascoli, foreste, fiumi). Il 95% era invece composta da schiavi e servi della gleba (La Francia di Luigi XVI a confronto era progressista). E’ inutile dire che la certezza del diritto, i sindacati e qualsiasi strumento che in genere tutela i più deboli erano del tutto assenti. Questi schiavi appartenevano a chi li acquistava o a chi possedeva la terra sulla quale erano nati. Ancora nel 1951 questi schiavi potevano essere venduti, offerti in dono e usati per pagare debiti.

Per proteggere i loro interessi, i signorotti locali e i lussuosi monasteri (che per la cronaca appartengono alla stessa famiglia di quelli che in Birmania reclamano Democrazia) non disprezzavano il ricorso a leggi che pochi nella storia hanno osato pensare: il tredicesimo ed il sedicesimo codice stabilivano il costo della vita umana per i diversi ranghi sociali. Non solo il governo aveva delle proprie prigioni, ma anche i signori e i monasteri ne possedevano. Uno scenario, questo, che non ricorda nemmeno il mio trisnonno.

Tra le punizioni previste dalla legge c’erano anche le mutilazioni corporee: piedi, occhi, mani, lingua, nulla era disprezzato, come dire che del maiale non si butta niente. I piedi spesso venivano anche tagliuzzati e nemmeno la morte tramite affogamento era rara.

Le tre istituzioni del Tibet (monasteri, signorotti e Dalai Lama) felicemente imponevano corvèe, tasse e ricorrevano spesso anche all’usura. La popolazione non solo doveva pagare tasse a chiunque gliele chiedeva, ma doveva anche svolgere lavoro non retribuito per le terre dei signori.

La nobiltà e i monaci si recavano spesso a Lhasa (la capitale del Tibet), erano accomunati da medesimi interessi, stringevano alleanze e difendevano la propria classe di appartenenza. Costoro, alla metà del XX° secolo erano fermamente convinti che la maggioranza della popolazione dovesse essere tratta diversamente da loro. Tutto ciò farebbe sorridere, se non fosse tragicamente vero!

La fusione tra politica e religione era il cuore del sistema, la religione non era solo una fede, ma soprattutto un sistema di dominio. I monasteri ed i monaci godevano a pieno titoli dei privilegi feudali. Era vietato credere in altre religioni. Proprio così, il campione del dialogo tra religioni vietava di credere in altre religioni! Ciò dimostra quanto il Tibet fosse un sistema chiuso e reazionario, e quanto fosse isolato dal mondo. Nella seconda metà del XX° secolo nessuno Stato imponeva una sola religione, ma in Tibet ciò accadeva!

Questa tendenza antidemocratica continua a perpetuarsi oggi, nel governo in esilio del Tibet che vede incarichi importanti affidati ai familiari del Dalai Lama. La sua ed altre poche famiglie controllano le attività del Governo tibetano in esilio. Solo ultimamente sembra che stiano adottando forme democratiche, come la separazione dei poteri. Nel 2007 il Dalai Lama scopre la separazione dei poteri, ma l’ultima parola spetta sempre a lui e il Governo in esilio conserva ancora una forma teocratica.



Valerio Quatrano