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Corriere della Sera, 25 marzo 2013 - Uno dei leader dei ribelli Seleka, Michel Djotodia, si è autoproclamato nuovo presidente della Repubblica Centrafricana, dopo che le sue forze hanno preso il controllo della capitale Bangui, in seguito a violenti scontri armati. Secondo l'emittente radio francese Rfi, Djotodia nel corso della giornata rivolgerà un messaggio alla nazione e annuncerà l'impegno per indire entro tre anni nuove elezioni democratiche. Djotodia si sarebbe impegnato – secondo un portavoce – a formare un governo di coalizione…






Espedienti
Remake del copione centrafricano…

Jean Marc Soboth


Gli analisti della situazione centrafricana, sopraffatti dall’emozione suscitata dai media occidentali,  si limitano a rallegrarsi per l’uscita di scena dell’ex presidente François Bozizé. In tal modo non fanno del bene all’opinione pubblica africana, cui non viene offerta un’analisi compiuta della posta in gioco. Schivano il vero problema della permanente instabilità di questo paese che la Francia si è sempre compiaciuta di sfruttare gratuitamente, attribuendogli la formula impressionante di paese “tra i più poveri del mondo”


E’ oramai noto che l’ex capo di Stato centrafricano, Ange Felix Patassé, eletto nel 1993 e rieletto nel 1999, è stato deposto da François Bozizé nel 2003, dopo essersi inimicato la Francia – “Stato membro” dittatore della CEMAC (Communauté économique et monétaire de l’Afrique centrale) che ha sede nella capitale Bangui, e che ha come filiale la “Banca d’emissione” BEAC (Banque des états de l’afrique centrale).

All’epoca, ricordiamo, ci venne raccontata la stessa storia. Patassé – morto a Douala in Camerun nell’aprile 2011 in condizione di miseria, mentre i media-menzogneri gli attribuivano, per rendercelo antipatico, una “fortuna immensa” – Patassé, dicevamo, era accusato di avere flirtato coi… Cinesi, evidentemente più promettenti della Francia – proprietaria delle risorse naturali del paese.

Questa “infedeltà” avrebbe immediatamente provocato l’ira di… Parigi, spingendo la Francia ad appoggiare il golpe del generale Bozizé.

A sua volta, François Bozizé, “uomo della Francia” fino a quando non ha firmato contratti con la Cina, ha finito per
firmarne uno, più o meno due anni fa, per i giacimenti di petrolio di Barama nel nord del Centrafrica. E immediatamente è diventato un “dittatore”.


Petrolio di Barama
Ha finito col confessare di aver tentato invano di offrire il petrolio centrafricano ai Francesi, prima di rivolgersi alla Cina – tutto ciò che i suoi detrattori sanno dire in proposito è che mentirebbe. Manifestamente la sua sorte era già segnata.
Era diventato pericoloso per gli interessi francesi, unico barometro di “democrazia” nelle ex colonie.

Arriva dunque al potere a Bangui, il 24 marzo 2013, un certo Michel Am-Nondokro Djotodia, capo della coalizione Seleka. Tra gli applausi. “All’insaputa di Parigi”, ovviamente!

Per puro caso il ribelle annuncia illico la revisione dei “contratti cinesi” firmati da Bozizé, dai quali la Francia era stata danneggiata. Per questo colpo, la Francia, che ogni giorno faceva il conto delle mani tagliate dagli islamisti in Mali, si è improvvisamente dimenticata di contare i morti di Bangui. Ha anche accordato al governo di Seleka altri 350 soldati, oltre ai 200 che già stazionano a Bangui in funzione, appena velata, di contrappeso alle forze sud-africane, tra le altre potenziali sacche di resistenza.

Ed è sempre l’esercito francese ad occupare l’aeroporto internazionale di Bangui-M’poko – non si sa in base a quale diritto internazionale o risoluzione dell’ONU.

Il capo ribelle Djotodia, cui poco prima Bozizé aveva fatto a Libreville un’offerta di condivisione del potere – si sa oramai che è il nuovo diritto internazionale francese in versione negra -  accantona il processo democratico. Quasi lodato dai media occidentali, si concede la maggior parte dei portafogli ministeriali importanti.

E Parigi fa il resto. Il capo del Quai d’Orsay, Laurent Fabius, ne avrebbe accennato a Paul Biya (presidente del Camerun, ndt) durante la sua ultima visita a Youndé – dopo che quest’ultimo aveva inviato recentemente 200 uomini del BIR (Battaglione di Intervento Rapido) al presidente Bozizé. Vi sarebbero stati anche dei negoziati tra Parigi e il presidente del Chad Idriss Deby, i cui soldati da anni sono a protezione di Bozizé.

Si dice infine che François Hollande abbia chiesto personalmente al presidente sud-africano Jacob Zuma di evitare ogni conflitto coi ribelli di Seleka. Desidera forse evitare uno scontro nel quale l’esercito francese sarebbe costretto a schierarsi dalla parte dei… ribelli che hanno già dato del filo da torcere ai sud-africani, che hanno perso 13 soldati? Non si saprà forse mai, data l’imbecillità secolare degli analisti applauditori africani.

Ma Zuma non è nato ieri. Ha disposto che i soldati sud-africani – solo 200 uomini che, secondo lui, hanno combattuto come fossero 1000 – di rimanere a Bangui. Senza dubbio per avere la sua parte nel piano francese di “smembramento” del cadavere centrafricano.


Parigi avanza a volto coperto
Nascondendosi dietro un dito, Parigi avanza dunque a volto coperto. Seleka ha annunciato ai suoi bambini soldato… un addestramento francese.

La Francia avrebbe anche avviato una azione rapida all’ONU “per rassicurare la comunità internazionale” sul “ritorno alla calma” a Bangui – perché è proprio fuori questione che i residenti francesi lascino il paese. L’addestramento promesso sarà ovviamente architettato a misura di un prossimo colpo di mano non appena Seleka non sarà più obbediente.

La parentesi Bozizé è dunque finita. E il generale sa di dover fare attenzione alla sua propria sicurezza in esilio perché sa che la Francia non fa mai le cose a metà – il caso sconvolgente del congolese Pascal Lissouba, diventato pazzo dopo essere stato cacciato dal potere dalla coalizione Elf-Sassou Nguesso, è là per dimostrarlo…

Gli analisti della situazione a Bangui? Se la cavano coi luoghi comuni: “Chi di spada colpisce, di spada perisce”, riducendo a questo la situazione geostrategica che ha provocato la caduta del putschista Bozizé. L’incapacità prospettica è sconcertante.

Dal tempo di Barthelemy Boganda, “padre fondatore” della nazione centrafricana, verosimilmente ucciso per le sue idee, il colonizzatore ha acquisito una conoscenza scientifica di questi popoli semplici di spirito – il panafricanista centrafricano venne definito in due articoli apparsi sul quotidiano Le Figaro nel febbraio 1958 un “dittatore de facto” (tieni!).

Con Bokassa, lo stesso scenario. Si è divulgato con facilità il mito del dittatore antropofago per punire la sua infedeltà e far dimenticare il burattinaio: la Francia. Se la sono bevuta tutti.
Nel loro subconscio di colonizzati, è stata loro inculcata la favola del “bianco che non mente mai…”.


Battage mediatico
Basta dunque un battage mediatico a orientare il dibattito, creare emozioni, e tutti se la berranno, sintetizzando le questioni con stupide formule lapidarie che saranno scambiate per analisi. In tal modo si assicura l’essenziale: il controllo delle ricchezze naturali di questi paesi dei quali si continuerà a ripetere all’infinito che sono i “paesi più poveri del mondo”.

Un amico Gabonese di Montreal, dottore in biologia dell’Università di Franche-Comté, si pone spesso la questione, e ogni volta se ne stupisce, di come sia stato possibile praticare il traffico di Africani per secoli senza provocare spettacolari rivolte. La nostra generazione se ne indigna.

La Repubblica Centrafricana ci offre, per l’ennesima volta, la risposta: la gente vedeva bene quello che stava accadendo e se ne indignava.

Ma, astuti e sperimentati, gli Stati europei schiavisti organizzavano periodicamente la diversione sostituendo gli uomini di paglia detestati, attirando così l’attenzione verso le cose meno importanti.

Le generazioni che verranno dopo di noi non riusciranno a capire, a loro volta, fino a che punto la nostra generazione è stata tanto stupida da farsi fregare per decenni da una sola potenza predatrice.