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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), ottobre 2017 (trad. ossin)
 
Perché la Russia e l'Iran appoggiano i Talebani
Julie Descarpentrie
 
Mentre Mosca e Teheran impegnano il grosso delle loro truppe sul teatro siriano, l’aggravarsi del conflitto afghano sta diventando una sfida più importante per le politiche di sicurezza russa e iraniana. Infatti, di fronte alla resilienza dei Talebani e all’alleanza di alcuni di loro col gruppo Stato Islamico nel Khorasan (ISK), è concreto il pericolo che, a breve, il conflitto possa estendersi (effetto spill-over) alle Repubbliche vicine. E’ per questo che molti specialisti non usano più l’espressione AfPak (1), preferendo AfCent (2) e considerano tutta l’Asia centrale come il cuore delle sfide securitarie del futuro prossimo.
 
 
Per quanto una simile minaccia non debba essere esagerata, si constata però che le ex Repubbliche sovietiche, la provincia iraniana del Sistan-Belucistan, oltre allo Xinjiang, vedono la presenza di molti movimenti insurrezionali, come quelli dei ceceni, degli Uzbechi, del Jundullah (3) e degli Uiguri, alcuni dei quali hanno giurato fedeltà a Daesh e sono stati presenti sul teatro di guerra siro-iracheno. Dove sono state segnalate diverse migliaia di combattenti provenienti dall’Asia Centrale e dal Caucaso.
 
A tal proposito, l’Imam Bukhari Jamaat, uno dei più importanti gruppi radicali uzbechi operanti in Siria al comando di ISIS, costituisce motivo di forte inquietudine giacché, a partire dal 2016, i suoi elementi hanno ripiegato nel nord dell’Afghanistan e vi hanno organizzato molti campi di addestramento. Prendono soprattutto di mira le forze di sicurezza nazionale afghane (4). Una simile situazione non rassicura la Russia, che teme il ritorno di questi combattenti dopo la sconfitta militare dello Stato Islamico in Medio Oriente. Mosca cerca quindi degli alleati capaci di lottare efficacemente contro Daesh, e le recenti vittorie dei Talebani contro questo comune nemico sembrano indicare che proprio gli « studenti di teologia » potrebbero a termine diventare questo alleato.
 
Infatti la loro conoscenza del terreno, e la loro esperienza di guerriglia, ne fanno dei soldati agguerriti, al contrario dei militari dell’esercito nazionale afghano che, invece, hanno difficoltà ad imporsi nelle regioni tribali pashtun, nel nord e nell’est del paese. A questo proposito, la provincia di Nangarhar pone un problema di sicurezza molto importante giacché si tratta di una delle roccaforti talebane nella quale Daesh ha messo le tende; la sua vicinanza geografica con le zone tribali pachistane la rende un luogo di transito strategico. Considerando che i Talebani sembrano essere gli unici in grado di affrontare l’ISK nei suoi santuari, si può notare come, da un anno e mezzo, Russi e Cinesi invitino regolarmente i loro rappresentanti a Mosca e a Pechino, consigliando loro di partecipare al processo di riconciliazione nazionale con Kabul. In proposito, si sono visti molti tentativi di negoziato tra Kabul e i Talebani, sia nel 2014 a iniziativa del Primo Ministro pachistano Nawaz Sharif, che nel 2016, sotto l’egida degli Stati Uniti, della Cina e della Russia.
 
La posta dell’Afghanistan per la Russia
 
L’interesse dei Russi per l’Eurasia risale al XVIII secolo e mirava a estendere la loro zona di influenza al Caucaso e alla Crimea, a detrimento dell’espansionismo turco e iraniano. L’Asia Centrale e l’Afghanistan divennero ancora più importanti nel XIX secolo, in virtù delle loro risorse naturali (5). Nacque così la rivalità tra Russi e Britannici, nota come il « Gran Gioco » (6), per la conquista del territorio afghano. Conquista che fu portata a termine durante la Guerra Fredda con l’invasione sovietica del paese, mirante a ottenere un accesso diretto all’Oceano Indiano e al Golfo Persico, sfruttare le sue risorse di gas con la costruzione di un gasdotto in collaborazione con i paesi dell’Asia centrale e con l’India e, ovviamente, fare dell’Afghanistan un satellite sovietico.
 
Oggi, anche se il paese non riveste un interesse primario per Mosca, la stabilità del territorio russo dipende ancora dalla messa in sicurezza dell’intera regione, e quindi anche di Kabul. Si tratta per la Russia di una sfida importante, giacché le frontiere che l’Afghanistan condivide con paesi dell’Asia centrale come il Tagikistan, l’Uzbekistan, il Turkmenistan e il Kirghizistan sono porose e costituiscono zone di transito per terroristi e trafficanti di oppio che passano per il territorio russo con le loro merci dirette in Europa.
 
Il posto che occupa l’Afghanistan nella strategia russa è tanto più importante in quanto il Cremlino, desideroso di rinsaldare i rapporti di partenariato con Pechino e Islamabad, vorrebbe potersi servire delle infrastrutture del nuovo porto pachistano di Gwadar (7), per ottenere un accesso al mare d’Arabia e accrescere le sue esportazioni. Tuttavia sono tanti i problemi di sicurezza che questo progetto pone, che la sua fattibilità dipende dalla messa in sicurezza della regione. Infatti, situato nel Belucistan pachistano, questo porto – la cui costruzione rientra nel progetto di creare un corridoio economico tra la Cina e il Pakistan passando per lo Xinjiang – viene guardato con sospetto dall’India, che teme un riavvicinamento troppo grande tra Islamabad, Pechino e Mosca. E’ per questo che sui fronti est (Xinjiang) e ovest (Gwadar), i suoi servizi di informazione esteri (R&AW) tentano di rallettarne la costruzione strumentalizzando gli insorgenti beluci, un popolo che abita la zona di sud-ovest del Pakistan e che vorrebbe la secessione e creare un Belucistan autonomo.
 
A ciò si aggiunga che, a partire dal 2016, si osserva un avvicinamento tra alcuni gruppi terroristi pachistani della provincia e Daesh. E’ risultato infatti che, a seguito delle operazioni militari pachistane Zarb-e-Azb (2013) e Radd-ul-Fassad (2017), realizzate soprattutto contro i gruppi terroristi Lashkar-e-Jhangvi Al Alami e Lashkar-e-Khorasan, questi ultimi hanno finito con l’allearsi a Daesh, per rafforzare la loro presenza nella regione instabile del Belucistan. Da allora si sono moltiplicati gli attacchi contro gli sciiti Hazara e contro gli operai cinesi. Di conseguenza, posti di fronte ad una simile minaccia, né Pechino, né Mosca sembrano avere interesse a che i Talebani vengano sconfitti dal governo di Kabul, perché costituiscono uno degli ultimi bastioni contro la presenza di ISIS nella regione.
 
La politica afghana di Teheran…
 
Peraltro, anche gli Iraniani hanno incominciato a discutere coi Talebani, sebbene siano loro nemici storici. E se Teheran si preoccupa dell’attuale situazione è perché, sia a est che a ovest, in Iran vivono delle minoranze religiose sunnite che potrebbero essere strumentalizzate dagli islamisti di Daesh. Per quanto non si sia ancora arrivati a questo, le azioni terroriste contro gli sciiti realizzate nel Belucistan iraniano da  Jundallah potrebbero comportare un tale rischio. Di conseguenza, mentre Muhammad Reza Bahrami, ambasciatore iraniano a Kabul, ha confermato che Teheran ha un canale di comunicazione coi Talebani, deve constatarsi che la lotta  anti-Daesh che questi ultimi portano avanti coincide con gli interessi della Repubblica Islamica iraniana, come nel 1995, quando il governo di Teheran pure tentò un avvicinamento ad essi – avvicinamento interrotto in seguito ad un attentato contro dei diplomatici iraniani nel 1998.
 
Interessato a stabilizzare l’Afghanistan,  fin dal 2002 il governo guidato dal presidente Khatami ha molto contribuito alla sua ricostruzione. Da allora, ogni anno sono stati assegnati agli Afghani 50 milioni di dollari in nome della solidarietà islamica, ma anche perché i Pasdaran e l’ayatollah Khamenei volevano aiutare gli sciiti; esportando il principio del velayat-e faqih (8). Sono stati inoltre avviati, sempre in nome della lotta antiterrorista, negoziati coi Talebani fin dal 2011. L’Iran ha invitato i leader del High Peace Council – composto da jihadisti, ex capi talebani, ulema e rappresentanti della società civile – a riunirsi con l’obiettivo di promuovere il dialogo e la pace in Afghanistan. Il fatto però che siano i Guardiani della Rivoluzione islamica a occuparsi delle questioni della sicurezza in Iran allarma gli USA, che sospettano vogliano creare un fronte anti-occidentale come ai tempi di Ahmadinejad e che vogliano fornire armi ai Talebani. E’ per questo che gli Statunitensi hanno fortemente criticato l’apertura, nel 2012, di un ufficio dei Talebani nella città iraniana di Zahedan – anche se gli stessi Statunitensi avevano approvato l’apertura di un analogo ufficio a Doha, in Qatar.
 
Il timore degli USA è accresciuto dalla influenza che gli Iraniani hanno sempre avuto nella regione, a cagione della cultura persanofona degli Afghani e della loro capacità di manovrare alcuni membri del governo, attraverso il partito filo-sciita Hezb-e Wahdat-e Islami. Deve sottolinearsi che in Afghanistan, oltre alle strategie di influenza iraniane verso gli Hazara e i Qizilbhash, le antenne del ministero iraniano degli affari religiosi (e quelle dell’Imam Khomeini Relief Committee) si sono sempre impegnate nella Dawa (proselitismo religioso) e nella diffusione di un sentimento anti-statunitense.
 
Dopo l’accordo di Ginevra sul nucleare iraniano (9), sono tuttavia nate reali speranze di riconciliazione tra i due governi. Malauguratamente, scegliendo di circondarsi di un gruppo di neoconservatori come James Mattis – noto per essere un oppositore sistematico dell’Iran – e facendo dell’Arabia saudita il suo alleato più importante, il presidente Trump ha ripescato la nozione di « asse del male » e rovinato tutto il lavoro diplomatico del governo Obama. Proprio quando il ministro iraniano degli Affari esteri, Javad Zarif, tentava un avvicinamento a Riyadh, riconoscendo che i  Pasdaran costituiscono la minaccia principale di questo governo bicefalo in seno al quale viene riconosciuto al capo dello Stato un modesto margine di manovra, il fatto di rigettare l’Iran alla condizione di paria fornisce nuovi argomenti per un nuovo rafforzamento della politica di sicurezza dei Guardiani della rivoluzione islamica, come testimoniano le loro campagne anti-USA in Afghanistan, e la recente ripresa di esperimenti per testare missili balistici.
 
Peraltro l’ostacolo principale risiede nel crescente rifiuto delle popolazioni afghane di farsi usare da paesi la cui politica di sicurezza dipende in parte da progetti politici e religiosi. L’Afghanistan è uno dei paesi in cui la lotta di influenza tra l’Iran sciita e l’Arabia saudita wahhabita ha provocato molti lutti, e questo spiega perché sempre più Hazari respingano il soft-power iraniano e contestino il progetto di Teheran di estendere agli sciiti della regione il principio del velayat-e faqih, per paura che il resto della popolazione non persanofona si opponga.
 
…di fronte al gioco dell’Arabia saudita
 
Tuttavia, la scelta del Presidente Ashraf Ghani di unirsi alla coalizione anti-Houthi in Yemen solleva interrogativi sui rapporti che l’attuale governo intrattiene con l’Arabia saudita. Altrettanto sorprendente, la decisione del 2012 del ministro afghano degli Affari religiosi, Dayi-ul-Haq Abed, di autorizzare il regno saudita a costruire un immenso complesso islamico a Kabul, del valore di 100 milioni di dollari e la cui architettura ricorda una tenda beduina. Una volta costruito, il centro, che porterà il nome del re saudita Abdallah ben Abdelaziz, potrà accogliere fino a 15 000 fedeli e  5 000 studenti e farà pendant con la moschea Faysal di Islamabad, costruita nel 1976 dall’Arabia saudita (10). Benché presentata come la punta di diamante della diplomazia filo-wahhabita dell’Afghanistan, una simile alleanza rischia di contrariare gli sciiti. Occorre anche dire che Riyadh, che ha confermato la concessione di un aiuto economico stimato in 200 milioni di dollari, partecipa anch’essa alla ricostruzione dell’Afghanistan e costituisce un grosso problema per Kabul, essendo uno dei pochi paesi ad avere appoggiato il regime dei Talebani (1996-2001), con gli Emirati Arabi uniti e il Pakistan.
 
Il governo afghano sembra quindi contare su Riyadh per aprire un canale di negoziati coi Talebani e il Pakistan e trovare una via di uscita dal conflitto e raggiungere un accordo con gli « studenti di teologia » – accordo che ha poche speranze di concludersi, in quanto il mullah Akhunzada non intende derogare al principio dei Talebani, che nessun dialogo potrà essere accettato se non dopo che i soldati occidentali avranno lasciato il suolo afgano.
 
 
Note:
 
(1) Teatro Afghanistan/Pakistan
(2) Afghanistan/Asia centrale
(3) Comparsa intorno al 2003, si tratta di una organizzazione sunnita armata insediata nel Belucistan iraniano, particolarmente attiva nella città di Zahedan. Soprattutto ostile al regime del velayat-e faqhi, che costituisce il fondamento della primazia sciita sulle istituzioni politiche in Iran, ha rivendicato dal 2009 diversi attentati suicida contro le autorità iraniane. Da non confondere col movimento separatista del Belucistan pachistano pure chiamato Jundullah, che persegue un chiaro progetto indipendentista, a differenza del suo pendant iraniano che è pan-iraniano e fautore di un regime federale
(4) Combattuti da Islam Karimov fin dal 1991 – data di apparizione delle prime cellule fondamentaliste nella vallata di Ferghana -, gli islamisti uzbechi hanno trovato rifugio in Tagikistan negli anni 1990, poi in Afghanistan, dove si sono mescolati alla popolazione locale e sposato delle Afghane. Combattendo al fianco di Al Qaeda, dei Talebani e di Daesh, sono pronti ad allearsi con qualsiasi movimento islamista, nella prospettiva di un jihad globale
(5) Da notare che qualche incursione era stata già tentata in precedenza, soprattutto quando Napoleone aveva chiesto allo zar Paolo 1° di allearsi con lui per scacciare i Britannici dalle Indie – richiesta che convinse, erroneamente, lo zar che sarebbe riuscito a sottomettere l’Afghanistan col suo esercito di Cosacchi
(6) Il Gran Gioco (1813-1907) rimanda alla rivalità coloniale tra la Russia e la Gran Bretagna in Asia nel XIX secolo, che ha portato tra l’altro alla creazione dell’attuale Afghanistan come Stato cuscinetto
(7) Situato nel Belucistan pachistano, vicino allo stretto di Ormuz attraverso cui passa un terzo del traffico marittimo petrolifero mondiale, il porto di Gwadar è finanziato con capitali cinesi. Potrebbe diventare una delle più importanti basi navali cinesi. Questo progetto si iscrive nella Nuova via della Seta cinese, e anche in quello del Corridoio economico Cina-Pakistan
(8) E’ un principio teologico sviluppato dall’ayatollah Rouhollah Khomeini e da Mohammad Sadeq al-Sadr, che conferisce ai religiosi il primato sul potere politico, nel quale al faqih è la guida suprema
(9) L’Accordo preliminare di Ginevra sul programma nucleare iraniano, ufficialmente chiamato « Piano di azione congiunta », è un accordo concluso a Ginevra dalla Repubblica Islamica dell’Iran e i paesi del P5+1 (Germania, Cina, Stati Uniti, Russia, Francia e Regno Unito) il 24 novembre 2013. Esso tende a trovare una soluzione globale mutualmente accettabile a lungo termine che assicuri che il programma nucleare iraniano sarà esclusivamente civile e pacifico, consentendo così a questo paese di beneficiare del proprio diritto all’energia nucleare a scopo pacifico in virtù del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Ma, nell’ottobre 2017, il presidente Trump ha rifiutato di certificare il rinnovo della partecipazione degli Stati Uniti a questo accordo, definendo il regime iraniano come « dittatoriale »  e come « principale sponsor del terrorismo nel mondo »
(10) In Afghanistan il progetto si iscriveva nell’ambito della politica di islamizzazione di Zia-ul-Haq