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Le Point.fr, 9 gennaio 2014 (trad. ossin)


Le incresciose abitudini della Francia in tema di libertà di espressione

Marc Leplongeon


La Francia paese dei diritti dell'uomo? Eppure è uno dei paesi europei più condannato per gli ostacoli che pone alla libertà di espressione


L'affaire Dieudonné ne è un esempio calzante. Non appena Manuel Valls ha evocato la possibilità di vietare gli spettacoli di Dieudonné, i giuristi si sono allarmati. In nome di che cosa si devono censurare preventivamente gli abusi della libertà di espressione, quando vi sono idonei strumenti giudiziari per sanzionarli eventualmente davanti ai tribunali? La Francia si è spesso nascosta dietro il concetto di "turbamento dell'ordine pubblico" o di "offesa al capo dello Stato " per far tacere delle voci abiette, intollerabili o diffamatorie, insabbiare vicende che fanno scandalo o proteggere le proprie relazioni diplomatiche. M anche i tribunali francesi vengono spesso sconfessati dalla Corte Europea dei diritti dell'uomoDEDH) per mancato rispetto della libertà di espressione. Florilegio di queste decisioni.


"Casse toi pov' con" (Fanculo stronzo)
Come dimenticare questa espressione assassina  pronunciata da Nicolas Sarkozy all'indirizzo di un agricoltore che non aveva voluto stringergli la mano? Era il 2008 al Salone dell'agricoltura. Qualche mese dopo, Hervé Eon scrisse l'oramai celebre "Casse toi pov' con" su di un cartello che sollevò dinanzi al presidente della Repubblica, allora in tournée a Laval. Immediatamente l'uomo è stato fermato dalla polizia, portato in commissariato, inquisito per offesa al capo dello Stato, convocato davanti al tribunale correzionale e condannato con una motivazione divertente: "Se il prevenuto non avesse avuto l'intenzione di offendere, ma solo quella di dare una lezione di educazione incongrua, non avrebbe mancato di far precedere la frase "Casse toi pov'con" da una formula del tipo "Non si dice". Hervé Eon, rifiutando di scusarsi, venne condannato ad una ammenda di 30 euro. Dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell'uomo ha insistito che si era trattato di una battuta. La Corte ha riconosciuto che vi era stata violazione del diritto di espressione.


"Tiberi tu nous casses les urnes"
Nel 1997, Benoit Brasilier è candidato a Parigi per le legislative e ha come principale avversario Jean Tiberi. Afferma di avere stampato 60.000 schede e di avere constatato la loro assenza nei seggi elettorali. Ha investito della cosa il procuratore, che lo ha però informato che non avrebbe dato seguito alla sua denuncia. . Il 23 luglio Brasilier organizza una manifestazione nel corso della quale vi sono degli striscioni con lo slogan : "Tiberi ci hai rotto le urne"o ancora: "Seggi della frode: furti e intrighi". Inoltre emette dei comunciati nei quali paragona i comportamenti di Jean Tiberi a "pratiche delle banane". Aggiunge: "Nel momemnto in cui si criticano i Cinesi in materia di democrazia, ricordiamoci che la piazza del Panteon non si chiama Tienanmen". Benoit Brasilier sarà condannato per diffamazione, avendo dimostrato una "indiscutibile" mancanza di misura nelle sue espressioni. La Corte Europea dei Diritti dell'uomo riterrà invece che le espressioni riflettevano "più dei giudizi che dei fatti". Riconoscendo così la violazione della libertà di espressione.


I test nucleari francesi. E' tabù
Dorothée Piermont è una militante ecologista, donna politica tesdesca ed ex deputata europea. Nel 1986 viene invitata in Polinesia da Oscar Temaru, il presidente del Fronte di liberazione della Polinesia francese, nel momento in cui i test nucleari francesi erano al loro massimo. Alla vigilia delle nuove elezioni, il contesto politico è estremamente teso. Appena giunta, la polizia invita Dorothée Piermont a moderare i suoi discorsi se non vuole essere espulsa. Subito lei denuncia, nel corso di un meeting, queste intimidazioni e grida alto e forte che i test nucleari in Polinesia sono una ingerenza della Francia. L'indomani viene decisa l'espulsione e il divieto per la militante di rientrare in Polinesia. Avrebbe, secondo le autorità, "attentato alla politica della Francia" e violato una "certa neutralità nei confronti del territorio" francese. La deputata ecologista non si scompone e si reca in aereo in Nuova Caledonia, dove sarà trattenuta all'aeroporto e di nuovo espulsa. Sicurezza nazionale, sicurezza pubblica, ordine pubblico. Davanti alle giurisdizioni, il governo ricorre a ogni possibile argomento per giustificare questa restrizione della libertà di espressione. Dorothée Piermont avrebbe dovuto, secondo loro, essere "prudente" nei suoi discorsi in un contesto teso tra partigiani della Polinesia francese e indipendentisti. Con soli 5 voti contro 4, la Corte Europea dei diritti dell'uomo concluderà che si è trattato di una violazione della libertà di espressione.


Il re Hassan II e il trafficante di hashish
Negli anni 1990 il Marocco vuole aderire alla Comunità europea. La Commissione incarica degli esperti di redigere un rapporto sull'ampiezza del traffico di cannabis in questo paese. Nel 1994 il rapporto viene consegnato alla Commissione, ma deve essere rivisto perché contiene i nomi di alcuni trafficanti. Sarà dunque pubblicata una versione edulcorata. Il rapporto originale resterà segreto fino a quando Le Monde non ne parlerà nel suo numero del 3 novembre 1995, col titolo: "Un rapporto confidenziale coinvolge il governo marocchino nel traffico di hashish". Risultato: il re del Marocco indirizzerà una richiesta ufficiale al ministro degli Affari esteri dell'epoca per l'avvio di un procedimento penale a carico di Jean Marie Colombani, direttore de Le Monde, e della giornalista Eric Incian. La Corte d'Appello riterrà che vi era stata una "intenzione malevola" da parte degli autori. Scriverà che gli articoli contenevano una "accusa di ambiguità, di artificio, di ipocrisia tale da configurare una offesa ad un capo di Stato straniero". E che i giornalisti non avevano tentato di verificare l'esattezza delle informazioni contenute nel rapporto. Anche la Corte di Cassazione respingerà il ricorso di Le Monde, ritenendo che l'articolo metteva in discussione "la stessa volontà del re del Marocco di porre termine al traffico di droga nel suo paese". Occorrerà attendere la decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo (CEDH) del 2002 perché venisse riconosciuta la violazione della libertà di espressione. La Corte ha affermato che i giornalisti debbono potersi "affidare ai rapporti ufficiali senza dover svolgere ricerche indipendenti. Altrimenti la stampa sarebbe ostacolata nel suo indispensabile ruolo di cane da guardia".


Le cartelle esattoriali del patron della Peugeot "più loquaci di lui"
Nel 1989 vi è una grande agitazione sociale. I dipendenti di Peugeot reclamano un aumento dei salari che è loro rifiutato dal dirigente dell'impresa, Jacques Calvet. Claude Roire, giornalista del Canard enchainé, pubblica allora un articolo intitolato "Calvet mette un turbo al suo salario", nel quale scrive: "Le sue cartelle esattoriali sono più loquaci di lui. Il patron della Peugeot si è accordato il 45,9% di più in due anni". Assolti in prima istanza, i due giornalisti saranno condannati in appello ad ammende di 5000 e 10.000 franchi per ricettazione di dichiarazioni dei redditi provenienti da una violazione del segreto professionale da parte di un funzionario non identificato. Innanzi alla CEDH, i giornalisti hanno sostenuto che la divulgazione dei redditi di Jacques Calvet avrebbe aiutato a comprendere "l'importanza del conflitto sociale in corso". Hanno affermato di aver ricevuto quei documenti in una busta anonima, verificando poi che le informazioni erano autentiche. la Corte europea ha ancora una volta dato torto alle giurisdizioni francesi e riconosciuto la violazione della libertà di espressione.


La riabilitazione del maresciallo Petain
Nel luglio 1984 l'Associazione per la difesa della memoria del maresciallo Petain compra uno spazio pubblicitario in Le Monde, intitolato "Francesi, avete la memoria corta".  Marie-François Lehideux, presidente dell'associazione, e Jacques Isorni, ex avvocato di Petain, tentano di riabilitare il Maresciallo e spiegano che aveva "fatto tutto" per salvare la patria. Immediatamente l'Associazione nazionale degli ex combattenti della Resistenza querela Le Monde per concorso in apologia di delitto e  in delitto di collaborazione col nemico. Seguirono due lunghi dibattimenti e una procedura giudiziaria estremamente nutrita. La questione era la seguente: l'inserto pubblicitario mirava a presentare sotto una luce favorevole la collaborazione del maresciallo Petain con la Germania nazista o voleva solo evidenziare le cose buone fatte durante il suo governo? E, di conseguenza, quale era la responsabilità di Le Monde? La Corte Europea dei diritti dell'uomo riconobbe che vi era stata una violazione della libertà di espressione con 15 voti contro 6. L'opinione conforme del giudice De Meyer illustra perfettamente questo punto di vista: "La libertà di espressione implica assolutamente tanto il diritto di presentare un personaggio pubblico sotto una luce favorevole, quanto quello di presentarlo sotto una cattiva luce (...) E' normale che quelli che intendano fare ciò mettano in luce i meriti dell'interessato o ciò che essi pensano essere i suoi meriti. Non si può pretendere che evochino anche i suoi torti, reali o supposti, o alcuni di questi".