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“L’uomo che voleva uccidere il Papa”, secondo la stampa di Berlusconi
di Aziz El Yaakoubi

Accusato di terrorismo, Ahmed Errahmouni è stato espulso dall’Italia dove era giunto da pochi mesi per studiare all’università. Nei documenti ufficiali le accuse contestate al giovane immigrato marocchino non sono supportate da alcuna prova, ma la stampa italiana ha ugualmente parlato di un complotto contro Papa Benedetto XVI. Ritorno su una vicenda che ha dell’incredibile, prodotto della nuova legislazione italiana in materia di sicurezza e terrorismo

Affacciato al balcone della casa dei suoi genitori, Ahmed Errahmouni, 22 anni, osserva le strade colorate e brulicanti della sua città natale, Salé, patria del celebre scrittore Abdellah Taia e dell’ex detenuto di Tazmamart Ahmed Marzouki, e ancora città di uno tra i massimi esponenti del salafismo marocchino, Hassan Kettani. Da oltre un decennio ormai, l’ex-capitale dei Bourghoita, la sola dinastia pagana ad aver regnato su una parte del territorio marocchino anche dopo la conquista musulmana, viene correntemente identificata come una città islamista. Ma Ahmed non sembra troppo preoccupato dalla sospetta nomea assunta dalla città. A tormentarlo è piuttosto il peso delle accuse contestategli delle autorità italiane…
E’ il 29 aprile 2010, più o meno le quattro di mattina, quando il giovane studente riceve una visita inattesa: uomini con il volto nascosto dal passamontagna, armati di tutto punto, invadono la sua camera nel campus universitario della città di Perugia. “Ero sveglio, seduto al computer per ripassare alcuni esercizi di matematica, quando i cinque uomini sono entrati senza alcun riguardo”, ricorda Ahmed, sotto lo sguardo inquieto della madre. Dopo i primi secondi di panico riconosce l’identità dei suoi “ospiti”, grazie alla scritta sul giubbotto antiproiettile e ai metodi rudi impiegati nell’azione. Si tratta di alcuni agenti della Digos (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali), la polizia politica che sorveglia il nostro territorio. “Mi hanno detto di aspettare in un angolo e poi hanno cominciato a frugare dappertutto”, racconta il giovane. I poliziotti requisiscono allora il suo materiale informatico, il telefono cellulare e tutti i documenti presenti nella stanza (tra cui gli appunti delle lezioni e i libri di testo). Una voce celata dietro al cappuccio nero gli consiglia di prendere con sé qualche vestito, dal momento che potrebbe “passare la notte seguente al commissariato”. Ahmed non capisce cosa sta succedendo, ciò nonostante segue gli agenti senza opporre alcune resistenza.

Persona non grata

Arrivati al commissariato, la sorpresa è grande. Un responsabile presenta ad Ahmed un documento e gli chiede di controfirmarlo. “Ho iniziato a leggere il testo e ho avuto l’impressione che parlasse di Osama Bin Laden, data la gravità delle imputazioni”, precisa lo studente. Il documento non è altro che la notifica dell’espulsione inflitta ad Ahmed Errahmouni, arrivato in Italia solo sette mesi prima per iscriversi alla Facoltà di matematica dell’Università di Perugia. La notifica, firmata da Roberto Maroni in persona il 31 marzo 2010, è accompagnata da una traduzione in arabo classico.
Il testo richiama nei primi paragrafi la legislazione nazionale (di cui l’ultimo apporto è la legge anti-terrorismo del 2005, ricordata come “legge Pisanu”) che autorizza il Prefetto e il Ministro dell’Interno ad espellere dal suolo italiano ogni persona ritenuta “una minaccia per la sicurezza dello Stato”. Stando alle imputazioni riportate nel decreto, “il cittadino marocchino Errahmouni Ahmed risulta inserito in un complesso e consolidato circuito relazionale con estremisti islamici contigui alle reti transnazionali di sostegno al terrorismo di matrice religiosa”. Nessuna prova concreta viene citata nel documento, che, a parte l’accusa categorica di affiliazione al terrorismo internazionale, resta vago e lacunoso, come dimostra la considerazione riportata al paragrafo 4: “il suddetto straniero privilegia la rete internet, del cui utilizzo è un esperto, al fine di disporre in tempo reale delle informazioni di cui necessita e di ottimizzare l’efficacia delle proprie comunicazioni”. Dopo il passaggio in commissariato, Ahmed è condotto da una decina di poliziotti davanti al giudice di pace, che convalida immediatamente il provvedimento di espulsione, senza verificare la fondatezza delle accuse.
Verso le undici del mattino, il giovane studente viene scortato all’aeroporto di Roma Fiumicino, dove l’attende un volo della Royal Air Maroc. “Prima di salire a bordo ho notato la presenza di Mohamed Hilal - un altro marocchino espulso per gli stessi motivi – che avevo incrociato qualche volta nella moschea di Perugia”, precisa Ahmed. I due sono imbarcati nella carlinga dell’aereo, accompagnati da una decina di poliziotti fino all’aeroporto Mohammed V di Casablanca.
All’arrivo in territorio marocchino, Ahmed e Mohammed vengono caricati all’interno di un furgone dalle forze di polizia del Regno e subito trasferiti al commissariato centrale di Casablanca. “Quando mi hanno rinchiuso in una piccola cella, in condizioni di isolamento, era quasi mezzanotte. I primi due giorni mi hanno lasciato ammanettato e bendato”. Per quattro giorni consecutivi i due studenti sono sottoposti ad una lunga serie di interrogatori. “Quasi tutte le domande riguardavano le mie amicizie, le letture religiose che preferivo e gli imam che di solito ascoltavo. La polizia italiana, invece, non ha mai ritenuto necessario interrogarmi”, testimonia il ventiduenne.

“Ho perso tutto, i miei soldi e il diploma di mio figlio”
Mohamed, fratello maggiore di Ahmed, è venuto a conoscenza dell’espulsione attraverso internet. Appresa la notizia, decide di partire alla ricerca del fratello. “Ho fatto il giro di tutti i commissariati di Salé, Rabat e Casablanca, ma senza risultati”, racconta il trentenne. Disperato, decide di contattare l’AMDH (Associazione marocchina per i diritti umani), Amnesty Intarnational e il Consiglio consultivo per i diritti dell’uomo. “Al commissariato di Rabat un poliziotto mi ha consigliato di interrompere le ricerche, spiegandomi che se mio fratello era innocente, sarebbe stato lui ad entrare ben presto in contatto con la famiglia”. Liberato dopo una settimana di detenzione, senza alcuna accusa a suo carico, Ahmed raggiunge i suoi e racconta la triste vicenda.
Suo padre, un ex-militare che ha combattuto in Sahara Occidentale contro il Polisario, dice di aver ipotecato la casa per poter inviare Ahmed in Italia a studiare. “Ora ho perso tutto, i soldi e il diploma di mio figlio”, si lamenta il vecchio, mostrando chiaramente gli effetti della chemioterapia sul corpo rinsecchito. “Qui in quartiere molte persone sono finite in prigione dopo gli attentati di Casablanca. La nostra sola colpa è di avere dei vicini che, sospettati di terrorismo, se ne stanno in carcere. A parte questo, non so proprio cosa si possa rimproverare a mio figlio”, afferma dal canto suo la madre di Ahmed.
La legge italiana in materia di sicurezza e terrorismo autorizza ogni persona espulsa a presentare ricorso presso il tribunale amministrativo regionale di competenza entro sessanta giorni dall’attuazione del decreto. L’Osservatorio Internazionale dei diritti (Ossin) di stanza a Napoli e l’AMDH si stanno dando da fare affinché Ahmed possa tornare in Italia per riprendere gli studi. Nell’attesa, la stampa italiana vicina alle posizioni del governo continua a fare la voce grossa, denunciando la pericolosità dei soggetti e difendendo il provvedimento del ministro. Panorama, settimanale di proprietà del Primo ministro Berlusconi, sostiene senza mezze misure che “i due marocchini espulsi stavano preparando un attentato contro il Papa, al momento della sua visita a Torino”. Ma il documento che decreta l’espulsione di Ahmed Errahmouni non menziona in nessun passo questo genere di accuse.