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Hebdo Al-ahram – 27 aprile 2011


Lo scontro continua
di Inès Eissa


Siria – Nonostante le riforme annunciate, tra cui la soppressione dello stato di emergenza, Assad e i suoi consiglieri continuano a dare prova di ostinazione e provocano i manifestanti


Da sempre la repressione è la caratteristica delle autorità siriane che non cedono mai su niente, e lo scontro attuale tra il regime e i manifestanti è destinato ad aggravarsi. I servizi di sicurezza siriani hanno operato in questi giorni numerosi arresti tra i militanti che si oppongono al regime e migliaia di persone hanno partecipato domenica, senza incidenti, ai funerali dei manifestanti uccisi dalla repressione.
Migliaia di abitanti della provincia di Deraa, la località del sud del paese dove è cominciata la contestazione, hanno partecipato al funerale di cinque vittime, dopo la preghiera. In seguito vi è stata una manifestazione ostile al regime del presidente Bachar Al-Assad, senza interventi delle forze di sicurezza.
Mentre il movimento di contestazione senza precedenti avviatosi il 15 marzo non accenna a spegnersi, il regime, nonostante gli annunci di riforme, come l’abrogazione dello stato di emergenza e dei tribunali speciali, continua a reprimere le manifestazioni. Nello stesso tempo i servizi di sicurezza hanno effettuato irruzioni in diverse città siriane, tra cui Damasco, arrestando militanti dell’opposizione. Secondo l’osservatorio siriano dei diritti umani con sede a Londra, “decine di arresti sono stati effettuati venerdì in diverse città e, in soli due giorni, 120 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza in diverse città del paese”. L’osservatorio denuncia la prosecuzione delle politiche di arresti arbitrari, nonostante l’abrogazione dello stato di emergenza e sollecita una inchiesta indipendente sulle uccisioni avvenute durante le manifestazioni.
“Il regime siriano, al potere dal 1963, usa da sempre una doppia strategia di gestione politica e di sicurezza. Promette riforme e al tempo stesso reprime” assicura Caroline Donati, autrice di un libro intitolato “L’Eccezione siriana”. Non ci sono ambiguità, il regime ha sempre funzionato così: dà l’idea di cedere, ma in realtà non cede su niente”, aggiunge l’autrice.
Una volta al potere, il partito Baas ha sempre operato una implacabile repressione contro i suoi oppositori, soprattutto contro i Fratelli Mussulmani, schiacciati nella loro roccaforte di Hamas, nel 1982, al prezzo di 20.000 morti. Nel 2008 la Siria aveva riconosciuto che le forze dell’ordine avevano represso dei disordini nella prigione di Saydnaya, vicino a Damasco. Le autorità avevano accusato alcuni condannati per terrorismo ed estremismo di avere provocato le violenze nel corso delle quali vi erano stati almeno 25 morti. Secondo gli specialisti, questa duplice strategia ha un obiettivo interno: impedire che gli indecisi prendano posizione, come quella borghesia e quegli intellettuali che hanno paura del salto nel buio. Perché se il movimento di contestazione sta crescendo e allargandosi geograficamente, non tocca tuttavia tutti gli strati della popolazione. “L’obiettivo delle autorità è quello di dividere la popolazione per evitare che la contestazione diventi globale”, dichiara un giornalista e consulente specialista della Siria.
“L’annuncio dell’abrogazione dello stato di emergenza aveva un duplice obiettivo: rispondere ad una esigenza e nello stesso tempo suggerire che non vi erano più ragioni per manifestare”, ha sostenuto Basma Kodmani, ricercatrice di origine siriana e direttrice della “Initiative arabe de réforme”, un centro di ricerca con sede a Parigi e Beirut. Sottolineando che l’annunciato programma di riforme era stato concepito per porre completamente fine al movimento, giacché non si è invece arrestato, le autorità si sentono costrette a ricorrere alla forza. La strategia di controllo e repressione è totale e tutto il sistema è mobilitato, col rischio di armare i civili”.
Il presidente Bachar Al-Assad parla perché non ha più altro modo per tentare di tranquillizzare la gente, “Bachar non ha alcuna intenzione di fare delle concessioni. Sa perfettamente che quando comincerà a farle dovrà andare fino in fondo”, ritiene Ignace Leverrier, un ex diplomatico francese che è stato a lungo in servizio a Damasco. “Si va verso un aggravamento della repressione e può essere che in tal caso, all’interno del sistema, qualcuno comprenda che si sta correndo contro il muro e che la strada è senza uscita”, aggiunge.


Sanzioni unilaterali
Con un gesto inedito, due deputati di Deraa si sono dimessi sabato per protestare contro la sanguinosa repressione della manifestazioni, che è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale. Da parte loro, le autorità siriane continuano dare conto dei morti. La giornata di venerdì che aveva visto una mobilitazione inedita di manifestanti all’indomani dell’abrogazione dello stato di emergenza, è stata una delle più sanguinose, con un bilancio di almeno 82 morti, tra cui vecchi e bambini.
Human Rights Watch ha chiesto agli Stati Uniti e all’Unione Europea di imporre sanzioni contro di dirigenti siriani, ”accusati di essere ricorsi alla forza per uccidere i manifestanti e alla tortura di centinaia di detenuti”.
Fonti anonime ma affidabili hanno informato che l’amministrazione di Barack Obama prepara un decreto che autorizza il presidente a congelare i beni dei dirigenti siriani e ad interdire loro ogni relazione di affari con gli Stati Uniti. Tali sanzioni unilaterali, adottate da Washington, potranno avere solo un effetto limitato, giacché la maggior parte dei componenti la cerchia del presidente siriano hanno ben pochi beni negli Stati Uniti. Ma le nuove sanzioni USA potrebbero influenzare l’Europa, dove i beni siriani sono ben più importanti, a seguirne l’esempio. Nel maggio 2010, il presidente Barack Obama aveva rinnovato per un anno le sanzioni USA contro la Siria, accusando Damasco di sostenere organizzazioni “terroriste” e di cercare di procurarsi missili e armi di distruzione di massa.
Le sanzioni risalgono all’11 maggio 2004, quando il presidente Bush aveva imposto sanzioni economiche al paese, assumendo che si trattava di un paese che sosteneva il terrorismo. Esse furono prorogate nel 2006, rafforzate nel 2007 e rinnovate successivamente.