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ProfileLe schede di Ossin, ottobre 2017 - La storia del lungo sogno della indipendenza della Catalogna, dall'emergere nel XVII secolo, fino ai più recenti sviluppi (nella foto, manifestazione per l'indipendenza dalla Spagna)
 
SudOuest, 11 ottobre 2017 (trad. ossin)
 
Indipendenza della Catalogna: la lunga storia di un sogno antico
Cathy Lafon
 
Di portata storica, il contenzioso tra Barcellona e Madrid non nasce oggi. Nel XVII e XVIII secolo, la Francia vi ha giocato un ruolo e, nel 1934, è stata anche proclamata una effimera Repubblica Catalana
 
Manifestazione per l'indipendenza della Catalogna, il giorno della "Diada". Barcellona, l' 11 settembre 2017
 
"La Catalogna sarà uno Stato indipendente nelle forme di una Repubblica", ha annunciato ieri il presidente della regione, Carles Puigdemont, davanti al Parlamento catalano, nel corso di un discorso storico. Ma questa decisione, presa una settimana dopo un referendum per l’autodeterminazione della Catalogna vietato dalle autorità di Madrid, che ha visto il “sì” vincere con il 90,18% dei voti e un tasso di partecipazione del 43%, non ha avrà effetti immediati. Il leader separatista ha contestualmente proposto al Parlamento “la sospensione della dichiarazione di indipendenza", per darsi il tempo di una qualche concertazione con Madrid. 
 
Il sogno di indipendenza della Catalogna viene da lontano. Sempre, nella storia della Spagna, i Catalani si sono distinti per una lingua e una cultura politica proprie. Giuridici, economici e fiscali, i molteplici contenziosi tra Barcellona e Madrid, nati nel XVII secolo, si sono cristallizzati durante il periodo nero della dittatura franchista.
 
1714 : La "Diada" e il centralismo alla francese
 
"Corpus de sang". La Guerra dels Segadors. Quadro di Anton Estruch I Bros
 
Schiacciati dalle tasse imposte da Madrid per finanziare la guerra franco-spagnola del 1635, centinaia di contadini catalani si ribellarono. Concentratisi a Barcellona, uccisero il viceré che rappresentava il governo centrale spagnolo. Fu la leggendaria  "guerra dei Mietitori" ("guerra dels Segadors") che ha alimentato il nazionalismo catalano e costituisce ancora il tema dell’attuale inno catalano.
 
 
La riconciliazione tra Parigi e Madrid, col famoso trattato dei Pirenei (1659), stabilì una partizione della Catalogna e la restituzione della metà a nord della regione, ribattezzata Roussillon, alla Francia. Il matrimonio reale del giovane Luigi XIV e della Infante Maria Teresa, figlia del re di Spagna, suggellò la pace tra i due paesi.
 
Alla morte di Carlo II che, senza discendenti, aveva designato come erede il francese Filippo d'Angiò, scoppiò la Guerra di Successione spagnola (1701–1714). In prima linea, i Catalani si schierarono con gli Asburgo di Vienna, contro i Borboni. Sfortunatamente per loro, vinsero i secondi e presero Barcellona, l’11 settembre 1714. Da allora, questa data diventò quella della festa nazionale catalana, la "Diada", che commemora la resa di Barcellona e simbolizza, per i Catalani, l’inizio del loro “martirio”. Insediatosi sul trono, il nuovo re Filippo V di Borbone, nipote di Luigi XIV, decise di applicare al suo regno il centralismo alla francese e di sopprimere tutti i particolarismo regionali.
 
1932 – 1975 : La dittatura di Franco mette fine all’autonomia 
 
All’inizio del XX secolo, la Catalogna, diventata la grande regione industriale della Spagna, era la culla delle lotte operaie. Subì dunque le repressioni poliziesche della monarchia. Nel 1932, durante la Seconda Repubblica, il Parlamento spagnolo approvò uno statuto di autonomia per la Catalogna. Il castigliano e il catalano vennero poste sullo stesso piano come lingue ufficiali. Nel 1934, venne anche proclamata una effimera Repubblica catalana. Ma la guerra civile scoppiata nel 1937, dopo la vittoria del Fronte Popolare nel 1936, si concluse con la sconfitta repubblicana e la vittoria del generale fascista Franco, nel gennaio 1939, con la caduta assai simbolica… di Barcellona. A partire da febbraio 1939, cominciò l’esodo dei rifugiati spagnoli della guerra civile, la Retirada. Più di 450 000 repubblicani passarono la frontiera franco-spagnola.
 
Rifugiati repubblicani spagnoli in fuga verso la Francia
 
Fu la fine dell’autonomia catalana per i quattro decenni di dittatura che ne seguirono. Fino alla morte del Caudillo, il 20 novembre 1975, I movimenti indipendentisti nati negli anni 1920 e 1930 vennero rigorosamente vietati e perseguiti, come anche nelle altre regioni del paese. Divenuto obbligatorio il castigliano, si poteva parlare la lingua catalana solo in privato, in famiglia e con gli amici. Per I Catalani dell’epoca, andare alla partita e tifare per il FC Barcellona, il Barça, divenne uno dei rari momenti in cui poter affermare collettivamente una identità comune.
 
Nel 1942, mentre più di 20 000 Catalani marcivano in prigione, Franco, il padrone della Spagna incensato dalla propaganda franchista e fascista dell’epoca, s’offrì un bagno di folla a Barcellona, in occasione della finale della " Coppa del Caudillo" di calcio. Barcellona vinse sul Bilbao per 2 à 0.
 
 
1977 – 2006 : Dal ritorno all’autonomia allo statuto di "nazione"
 
Dopo la morte di Franco, avvenuta il 20 novembre 1975, e la caduta del regime del dittatore, il nuovo re di Spagna, Juan Carlos I, designato dal Caudillo, traghettò nel corso di qualche mese il paese nel campo delle democrazie: fu la "transizione democratica". Il governo regionale della Catalogna venne ristabilito provvisoriamente nel 1977, con a capo il presidente catalano in esilio. La Costituzione democratica del 1978 trasformò la Spagna in un paese semi federale, composto da diciassette comunità autonome. Tre di esse con uno statuto particolare: il Paese basco, la Galizia e la Catalogna.
 
 
Nel 1979, la Catalogna ottenne un nuovo statuto di autonomia regionale, all’esito di un referendum e approvato dall’88,1% dei votanti. Le vennero così attribuite competenze soprattutto in materia di istruzione, di sanità o ancora di politica linguistica, e le venne permesso di istituire una polizia regionale autonoma. Nel marzo 2006, un voto del Parlamento spagnolo che definì la regione come una « nazione »  all’interno dello Stato spagnolo, sancì solennemente l’autonomia della Catalogna. Con questo nuovo statuto, approvato dal popolo, i Catalani disponevano ufficialmente di una bandiera nazionale, di un inno e di feste popolari. A questi simboli nazionali si aggiunse l’uso della lingua catalana, che diventò un diritto e un dovere in Catalogna.
 
2010 – 2017 : Il braccio di ferro sulla autodeterminazione e la creazione dello "Stato catalano"
 
Reazione gravida di conseguenze: nel 2010, il Partito popolare (destra) di Mariano Rajoy mette fuoco alle polveri facendo annullare parzialmente lo statuto catalano. Su sua richiesta, la Corte Costituzionale spagnola non riconosce valore giuridico alla definizione della Catalogna come "nazione" e all’uso del catalano come "lingua preferenziale" nell’amministrazione e nei media. Più di un milione di Catalani scendono in piazza a Barcellona.
 
Due anni dopo, ancora un milione di manifestanti separatisti a Barcellona, l’11 settembre 2012, in occasione della grande festa della Catalogna, la "Diada", per reclamare un referendum sull’indipendenza e negoziati per modificare il patto fiscale. Il loro slogan : "Catalogna, nuovo Stato d’Europa". Rajoy, al governo dal 2011, rifiuta di intavolare negoziati. Il presidente catalano Artur Mas, che vince le elezioni regionali anticipate di novembre, promette un referendum di autodeterminazione.
 
La Catalogna organizza un primo referendum per l’indipendenza nel 2014. Fatto simbolico, la consultazione viene dichiarata incostituzionale dallo Stato spagnolo. Quasi l’80% dei votanti (35% di partecipazione), vale a dire 1,8 milioni di Catalani su quasi 6 milioni di elettori potenziali, dicono “sì” all’indipendenza. Sull’onda di questi risultati, i partiti indipendentisti diventano per la prima volta maggioritari al Parlamento regionale, il 27 settembre 2015.
 
Il presidente catalano Artur Mas, il 9 novembre 2015 al Paramento di Catalogna a Barcellona
 
Il 9 novembre, il Parlamento catalano lancia il processo di costituzione di uno “Stato catalano”, come primo passo per la creazione di una Repubblica indipendente della Catalogna, entro il 2017. La Corte Costituzionale spagnola annulla la risoluzione.
 
Il 9 giugno 2017, Carles Puygdemont, un separatista di lunga data, eletto presidente della regione nel 2016, annuncia la tenuta di un referendum per l’autodeterminazione per il 1° ottobre. Mentre Madrid ha dichiarato lo scrutinio incostituzionale e illegale, il 6 settembre, il Parlamento regionale sfida Mariano Rajoy votando la legge che organizza il voto.
 
Il presidente catalano Carles Puigdemont, al centro, dopo l'approvazione delle legge che indiceva un referendum di autodeterminazione, a Barcellona il 6 settembre 2017
 
Il 12, la Procura spagnola ordina a tutti i corpi di polizia di agire contro le autorità, soprattutto i funzionari, per impedire il "referendum illegale". Nonostante le pesanti ammende inflitte il 21 settembre dalla Corte costituzionale spagnola a 24 organizzatori del referendum, le autorità catalane assicurano che il referendum avrà luogo. Mobilitatisi, migliaia di manifestanti indipendentisti scendono lo stesso giorno in piazza per il diritto all’autodeterminazione che reclamano dal 2012.
 
In un clima appassionato, i separatisti al potere in Catalogna assicurano che organizzeranno 2 315 seggi elettorali per permettere ai Catalani di partecipare al referendum vietato da Madrid. L’arrivo ci qualcosa come 10 000 guardie civili rafforza la sensazione di emergenza, suscitando il timore di forti mobilitazioni, perfino degli scontri tra i fautori dell’indipendenza e quelli che considerano la secessione come un suicidio. La vigilia del voto, sabato 30 settembre, mentre le autorità spagnole annunciano che la metà dei seggi elettorali sono stati chiusi e sigillati dalla polizia, gli indipendentisti restano determinati a andare oltre l’opposizione di Madrid: "Voteremo !", ripetono.
 
Domenica 1° ottobre, migliaia di Catalani vanno alle urne. Il “sì” vince con il 90,18% dei voti e un tasso di partecipazione del 43%, nonostante il divieto di scrutinio imposto dal governo spagnolo, che ha represso le operazioni di voto a prezzo di violenze che hanno provocato decine di feriti.
 
Dopo un giorno di sciopero generale e una immensa manifestazione, il 3 ottobre il re di Spagna, Felipe VI, denuncia nel corso di un discorso televisivo di rara fermezza "l’inammissibile slealtà" dei dirigenti catalani. Sullo sfondo di crolli in Borsa, mentre grandi imprese con sede in Catalogna si trasferiscono in altre regioni della Spagna, decine di migliaia di manifestanti vestiti di bianco sfilano il sabato successivo in diverse città della Spagna, per reclamare una apertura di dialogo tra la regione di Barcellona e lo Stato.
 
 
Momento culminante di una settimana di altissima tensione, domenica 8 ottobre, dopo due giorni dall’intervento del presidente della regione Carles Puigdemont dinanzi al Parlamento catalano per prendere atto dei risultati favorevoli alla secessione, almeno 300 000 persone (1 milione secondo gli organizzatori), scendono in piazza a Barcellona per difendere l’unità del paese in una manifestazione di forza anti-indipendentista.
 
LA CATALOGNA IN CIFRE
 
Prima regione esportatrice di Spagna, la Catalogna, 16% degli abitanti del paese, genera il 19 % del PIL spagnolo. E’ quarta come PNL per abitante (28. 600 euro, contro 24 000 come media spagnola), dietro Madrid, il Paese Basco e la Navarra. Il suo tasso di disoccupazione è del 13 %, contro il 17,2 % al livello nazionale. Se l’agroalimentare è il suo primo settore industriale, all’avanguardia per le bioscienze, controlla la metà della produzione chimica della Spagna e fabbrica il 19 % delle auto del paese.