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Incontro con Ahmed Naciri
Louis Benjamin Ndong


Il giorno 8 ottobre 2009, sette militanti saharawi vengono arrestati all’aeroporto di Casablanca, dove sono appena atterrati, di ritorno da una visita ai campi dei rifugiati di Tindouf, in Algeria. Si tratta di Brahim Dahane, presidente dell’ASVDH, di Lachgare Degia, componente dell’ufficio esecutivo della stessa associazione, ex desaparecida di Qalaet Megouna, dove ha passato più di 11 anni, di Ahmed Naciri, presidente del comitato di difesa dei diritti dell’uomo a Smara e membro della stessa associazione, di Ali Salem Tamek, segretario generale del Codesa, di Tarouzi Ihdih, membro dell’ODS, di Saleh Lebaihi, membro del Codesa e infine  di Rachid Sghavar.
Alle 13,37 Dahane telefonava ai compagni dell’ASVDH per informarli che erano appena atterrati e c’erano delle vetture della polizia sulla pista, quindi temevano di essere arrestati. Da allora nessuna notizia, fino all’annuncio stampa di qualche giorno successivo, apparso chissà perché sui soli quotidiani arabofoni .
L’intensità della campagna mediatica, e la discesa in campo dello stesso Re, suscitano immediatamente enormi preoccupazioni per la sorte dei sette saharawi arrestati. Preoccupazioni confermate dal loro deferimento dinanzi a un Tribunale militare  e dalla gravità delle imputazioni loro contestate:


art. 190 del codice penale: “E’ colpevole di attentato alla sicurezza esterna dello Stato ogni Marocchino o straniero che ha, con qualsiasi mezzo, intrapreso una offesa  alla integrità del territorio marocchino. Quando essa è commessa in tempo di guerra, il colpevole è punito con la morte. Quando è commessa in tempo di pace, il colpevole è punito con la reclusione da cinque a venti anni”.

art. 191 del codice penale: “E’ colpevole di attentato alla sicurezza esterna dello Stato, chiunque intrattenga intelligenze con agenti di una autorità straniera aventi come oggetto o come effetto di nuocere alla situazione militare o diplomatica del Marocco. Quando essa è commessa in tempo di guerra, la pena è della reclusione da cinque a trenta anni. Quando è commessa in tempo di pace, la pena è della prigione da uno a cinque anni e di una ammenda da 1000 a 10.000 dhiram.”

art. 206 del codice penale: “E’ colpevole di attentato alla sicurezza interna dello Stato e punito con la prigione da uno a cinque anni e di una ammenda da 1000 a 10.000 dhiram chiunque, direttamente o indirettamente, riceva da una persona o da una organizzazione straniera e sotto qualsiasi forma dei doni, dei presenti, prestiti o altri vantaggi destinati o impiegati in tutto o in parte a condurre o remunerare in Marocco una attività o una propaganda di natura tale da recare offesa  alla integrità, alla sovranità o all’indipendenza del Regno o a minare la fedeltà che i cittadini devono allo Stato e alle Istituzioni del popolo marocchino”.

art. 207 del codice penale: “Nei casi previsti dall’articolo precedente, deve essere obbligatoriamente disposta la confisca dei fondi o degli oggetti ricevuti. Il colpevole può inoltre essere interdetto, in tutto o in parte, dall’esercizio dei diritti previsti all’art. 40 (diritti civici, civili e familiari)”.

I sette sembrano rischiare la pena di morte, così come stabilito dal riferimento allo “stato di guerra” contenuto nell’art. 190.  Situazione che sembra attuale tra il Marocco e il Fronte Polisario, dal momento che essi hanno solo firmato, nel 1991, un accordo di “cessate il fuoco”, mai seguito da un trattato di pace.

Nel corso del tempo quattro dei sette arrestati vengono liberati, restano detenuti solo Ali Salem Tamek, Brahim Dahane e Ahmed Naciri.
Dopo più di un anno dall’arresto,  il 15 ottobre 2010, si apre il processo contro i sette, dinanzi al Tribunale di prima istanza di Ain Sebaa (Casablanca). Un tribunale ordinario, non militare, perché nel corso della istruttoria le accuse più terribili, quelle di “attentato alla sicurezza esterna dello Stato”, previste dagli artt. 190 e 191 del codice penale, sono cadute e, conseguentemente, il Tribunale militare si é dichiarato incompetente, trasmettendo gli atti al Tribunale ordinario.
Il dibattimento si svolge nel corso di cinque udienze, caratterizzate da una enorme tensione (vedi i rapporti di Ossin). L’epilogo, tragico quanto farsesco, è stata la liberazione degli ultimi tre detenuti e il rinvio sine die del processo. Un processo politico che il governo marocchino non si sente, evidentemente, di celebrare.



Incontro a Napoli con Ahmed Naciri

L’Osservatorio Internazionale ha seguito con assiduità tutte le fasi del processo. Il giorno 23 maggio 2011, Ahmed Naciri è stato a Napoli e ha incontrato Ossin. Ha accettato di concedere un’intervista.
Ahmed Naciri  è membro dell’associazione ASVDH che lotta contro le violazioni di diritti umani nel Sahara Occidentale. Vive nella città di Smara ed è stato uno dei 3 militanti detenuti più a lungo.

STORIA DEL PROCESSO

Domanda: Ci può raccontare cosa siete andati a fare a Tindouf e quello che è successo dopo?
Risposta: Il popolo saharawi è diviso dal 1975. Dopo che la Spagna si è ritirata, il Marocco e la Mauritania ne hanno approfittato per occupare il territorio. Con la guerra che ne è seguita, una parte della popolazione si è rifugiata  nel deserto algerino, in quelli che sono oggi i campi di Tindouf; l’altra è rimasta nella parte occupata dal Marocco. Quindi il popolo è diviso da 35 anni. Gli unici incontri che ci sono stati tra i rifugiati di Tinduf e i saharawi dei territori occupati, sono state organizzate dalla missione dell’ONU. Essi però hanno una breve durata di cinque giorni e, per parteciparvi, occorre iscriversi in una lista d’attesa. Così il vero motivo del nostro viaggio è stato quello di rompere questo muro che ci separa dall’altra parte della famiglia saharawi, anche a rischio delle nostre vite. È stata un’iniziativa più umanitaria che politica. L’idea era di abbattere gli ostacoli che ci separano.
Domanda: Siete andati alla luce del giorno, con una grande copertura mediatica. Secondo lei quale è stato il motivo dell’arresto?
Risposta: Il vero motivo del nostro arresto è perché noi difendevamo il diritto di autodeterminazione del nostro popolo.
Domanda: Il Sahara Occidentale e il Marocco sono ancora in uno stato di guerra, più precisamente di cessate il fuoco. Quindi non ci sono accordi di pace. Vi hanno accusato di aver visitato il nemico. Ma chi è il nemico per voi?
Risposta: Il Marocco occupa il Sahara Occidentale dal 1975 e considera i saharawi “cittadini marocchini”. Una parte di questa famiglia vive a Tindouf. Quindi c’è una contraddizione da parte loro. Io condivido le scelte del Fronte Polisario. Questo accanimento mira a scoraggiare la lotta per l’autodeterminazione dei Saharawi. Il fatto di portarci davanti al Tribunale militare era solo per evitare queste visite.
Domanda: Quali sono state le vostre condizioni carcerarie?
Risposta: Quando siamo stati arrestati, ci hanno tenuto per cinque giorni sempre con gli occhi bendati. Dopo essere stati presentati davanti al procuratore, l’arresto è stato prolungato per altri 4 giorni. Poi siamo stati condotti nel carcere di Salé, isolati da tutti gli altri prigionieri, e siamo rimasti qui dal 15 ottobre fino al 23 febbraio 2010.
Domanda: Mentre stavate in carcere molti eventi sono successi, per esempio la vicenda di Aminatou Haidar. Eravate al corrente di quello che succedeva?
Risposta: Per un lungo periodo siamo stati isolati da tutto. Il minimo d’informazione che siamo riusciti ad avere è stato attraverso alcuni  impiegati carcerari con cui siamo riusciti a creare rapporti umani. Il resto l’abbiamo scoperto durante il processo attraverso gli avvocati.
Domanda: Avete incontrato un avocato quando vi hanno fermato? Quanto tempo dopo?
Risposta: Abbiamo incontrato un avocato 11 giorni dopo l’arresto e dopo tre giorni di carcere. Comunque gli incontri erano resi difficili anche dalle nostre condizioni carcerarie. L’autorizzazione c’era, ma per gli avvocati era difficile venire a trovarci.
Domanda: Visite da parte dei vostri familiari in carcere e quando?
Risposta: avevamo la visita una volta la settimana per 20 minuti. La prima visita è stata dopo una settimana. C’era una distanza tra noi e i nostri familiari e la pressione delle guardie, con uno che ascoltava e un altro che ci camminava vicino. Quindi potevamo parlare solo di cose strettamente legate alla famiglia e non delle nostre condizioni carcerarie. Infatti  la sorella di Brahim Dahane  ha fatto un mese di carcere per aver tentato di dare 500 dirham a quest’ultimo.
Domanda: Sapevate di cosa eravate accusati?
Risposta: Sapevamo di essere stati arrestati per un fatto politico. Ma nessuna carta del processo ci è stata consegnata. Solo le carte della proroga dell’arresto sono state portate dopo un mese.
Domanda: Durante il processo, Ali Tamek ha chiesto il rispetto dei diritti umani. Sai se  ha posto anche la questione del ricongiungimento familiare?
Risposta:
Il discorso che preme di più è l’autodeterminazione del popolo saharawi . Il ricongiungimento è un punto secondario rispetto a questo.
Domanda: Gli altri hanno detto al giudice che lottavano anche per il ricongiungimento?
Risposta: Ognuno l’ha detto a modo suo.
Domanda: Nella manifestazione in Algeria e a Tindouf avete posto la questione del ricongiungimento?
Risposta: è un discorso piccolo rispetto alla lotta generale.
Domanda: Come interpretate l’interdizione da parte del governo di visitare liberamente i campi di Tindouf?
Risposta: C’è un’assurdità in tutto questo. Perché si può viaggiare con la copertura della missione dell’ONU e non succede niente, ma appena si decide di affrontare il viaggio verso Tindouf liberamente si va incontro ad un processo. Quindi una persona che ha già visitato i suoi parenti dovrebbe aspettare altri 7 anni per sperare di rincontrarli di nuovo.
Domanda: Nel vostro incontro con gli avocati, preso atto della contestazione, avete concordato una linea difensiva?
Risposta:  A noi non importava come gli avocati avrebbero proceduto. Non ci importava niente della difesa poiché  è un fatto politico per noi.
Domanda: Vi hanno accusato di aver contattato l’intelligence algerino?
Risposta: Il tribunale ha escluso questa accusa.
Domanda: Vi hanno anche accusato anche di aver ricevuto soldi da parte di stranieri per arrecare danno al Marocco. Chi ha pagato il vostro viaggio?
Risposta: Il tribunale non l’ha provato. La prima accusa parlava di soldi ricevuti dall’estero; ma se questo estero è il Polisario …. Poi  non potevano accusare ufficialmente l’Algeria. Infatti non ci hanno più chiesto chi ci aveva dato i soldi. Hanno condannato la sorella di Brahim per aver cercato di dare dei soldi in carcere a quest’ultimo. Comunque il viaggio è stato finanziato da associazioni che sono sul territorio saharawi. Nelle accuse mosse dall’autorità marocchina si parla di una valigia piena di soldi. Però in realtà si tratta di un somma di 100 euro e 5000 dinari algerini.
Domanda: Come si è svolto l’arresto?
Risposta :  quando siamo scesi all’aeroporto, la polizia ha aperto un’altra uscita appositamente per noi. C’erano già due macchine che ci aspettavano fuori. Quindi  hanno messo 4 di noi in una e 3 nell’altra. Ci hanno bendati gli occhi e portati in un luogo sconosciuto. Non abbiamo potuto vedere chi ci interrogava poiché, per quattro giorni consecutivi, abbiamo avuto gli occhi bendati. Il quinto giorno dopo l’arresto siamo stati portati davanti al giudice per la proroga dell’arresto. Non abbiamo subito nessuna violenza.
Domanda: nelle  vostre condizioni percepivate il  nostro sostegno per il processo?
 Risposta: all’inizio eravamo isolati. Siamo rimasti 4 mesi all’ oscuro di tutto. Ma dopo febbraio 2010, ci sono stati  miglioramenti nella nostra situazione carceraria. Abbiamo avuto contatti con le nostre famiglie, telefonate, visite. Poi, quando ci siamo resi conto di avere un sostegno internazionale, abbiamo preso l’iniziativa dello sciopero della fame.
Domanda: le vostre famiglie hanno subito minacce?
Risposta : si qualcosa c’è stato. È la sorella di Brahim che ha avuto la peggio.
Domanda: cosa volevano sapere i  poliziotti quando vi hanno interrogato ?  Di cosa vi hanno accusato?
Risposta: I siti e media saharawi e algerini avevano pubblicato tante foto del viaggio; ed è quello che  ci hanno fatto vedere alzandoci un po’ la banda dagli occhi. La maggiore parte delle domande hanno riguardato queste foto.
Domanda: Nelle ordinanze tradotte in italiano, sia quella del tribunale militare che quella civile,  vi è scritto che siete andati 2 volte a Tindouf per partecipare a delle manifestazioni. A cosa era dovuto il primo viaggio?
Risposta: La prima volta siamo andati in Algeria per il festival africano che si è svolto nel mese di settembre. Poi, in seguito, siamo andati a Tindouf per visitare i nostri fratelli separati.
Domanda: avete subito delle pressioni psicologiche per confessare?
Risposta: Si ci hanno minacciato dicendoci che su di noi pesava il pericolo di una condanna a morte. Però ci  siamo abituati.  Questa era la quinta volta che mi arrestavano. Le altre volte abbiamo subito delle aggressioni; poi sappiamo che si può morire nelle carceri segrete.
Domanda: Con tutte le violazioni che subite, non vi viene la rabbia, la voglia di reagire con violenza?
Risposta: Bisogna dire che la violenza è continua. Prima di venire in Italia, mio figlio è stato arrestato per qualche ora. Però è una lotta per  il diritto di esistere per la quale abbiamo scelto una strada non violenta. Per noi, è l’unico modo per avere il sostegno internazionale. L’esperienza palestinese della prima intifada ci ha fatto capire che il sostegno internazionale arriva con la non violenza. Infatti la seconda intifada è stata violenta e non ha avuto sostegno.
Domanda: Ci sono ancora sparizioni forzate di persone?
Risposta: Attualmente ci sono 525 persone scomparse. Ma il 2003 è stato l’ultimo anno in cui c’è stata una sparizione forzata di massa: 15 persone.
Domanda: Durante il processo abbiamo avuto l’impressione che tutto sarebbe finito male. Cosa è successo poi? Che idea vi siete fatta? Perché vi hanno liberato?
Risposta: Inizialmente questo processo ha avuto l’obiettivo di scoraggiare  la nostra volontà di lottare per l’autodeterminazione del popolo saharawi;  anche il fatto di aver rimandato Aminatou Haidar in Spagna. Per noi la liberazione significava il fallimento della politica marocchina. Poi gli eventi nel mondo arabo, e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ha posto la questione dell’allargamento della missione della Minurso,  hanno giocato molto su questa liberazione.
Domanda: Gli eventi di Tunis, Algeria, Marocco possono essere utili alla vostra azione?
Risposta: credo che tutto sia iniziato nel Sahara Occidentale. Infatti Naom Shomsky ne ha parlato analizzando gli eventi del mondo arabo. Poi il Marocco è stato condannato al livello internazionale.
Domanda: dopo questi eventi il Marocco continua a mantenere la stessa arroganza?
Risposta: si.
Domanda: Ci sono gruppi armati saharawi?
Risposta: no.
Domanda: la vicenda di Gmeil Izik?
Risposta: Il campo è stato organizzato da un gruppo saharawi. L’autorità marocchina diceva che i saharawi vivono come in  paradiso. In risposta i saharawi  hanno messo su questo campo.
Domanda: Gmeil Izik è stato una protesta sociale o politica?
Risposta: Inizialmente, la contestazione era per motivi sociali, poi col tempo ha preso una connotazione politica. Perché se lo fosse stata già fin dall’inizio, il campo sarebbe stato subito distrutto.
Domanda: c’è ancora la tensione a Laayoune?
Risposta: si. Ci sono manifestazioni quotidiane nei vari quartieri.
Domanda:  I giovani di Gmeil Izik che non sono attivisti che fine hanno fatto?
Risposta: Alcuni sono adesso con il Polisario, altri ricercati dalla polizia, altri ancora stanno cercando asilo politico in Spagna.