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Perché l’espulsione di Aminatou Haidar è illegale?


Lo voglio dire subito: l’espulsione di Aminatou Haidar è assolutamente illegale, secondo il diritto marocchino, come secondo il diritto internazionale. Tanto io detesto il separatismo e i separatisti, tanto devo riconoscere che in questa occasione il governo marocchino ha, non solo violato in modo flagrante i diritti riconosciuti ai suoi cittadini – dalle leggi interne e dalle convenzioni internazionali ratificate dal Marocco  -, ma ha anche regalato ad una separatista conosciuta esclusivamente nel giro degli attivisti dei diritti dell’uomo una superba tribuna internazionale, e soprattutto  ha creato enormi difficoltà ad uno dei governi spagnoli più favorevoli al Marocco dal 1990.
Bisogna ricordare qualche fatto elementare a proposito del Sahara marocchino: in Sahara vige dal 6 settembre 1991 un cessate il fuoco tra Marocco e Polisario, che ha messo fine a sedici anni di guerra. Secondo il diritto internazionale, il cessate il fuoco, esattamente come un armistizio, non pone fine allo stato di belligeranza tra le parti – cosa che normalmente avviene solo con un accordo di pace. La cessazione dei combattimenti a partire da quella data, a parte qualche sporadica violazione dall’ una o dall’altra parte, non ha posto fine dunque allo stato di ostilità tra le due parti. Non mi pare scandaloso perciò che il Marocco persegua penalmente delle persone attivamente legate a questo movimento, come i sette militanti separatisti arrestati a Casablanca di ritorno da una visita pubblica nei campi del Polisario a Tindouf (per contro non condivido affatto che dei civili siano giudicati da un Tribunale militare). Quanto ad Amiantou Haidar, i suoi legami formali con il Polisario non sono pubblici, anche se certamente la sua azione si iscrive nell’ambito dell’azione politica del movimento separatista. Ella si reca soprattutto all’estero, dove difende la causa separatista, per lo più ricevendo premi per la sua azione a favore dei diritti dell’uomo (quattro tra il 2006 ed il 2009).
TelQuel ha dedicato un articolo a questa donna, descrivendone il percorso politico, dal quale emerge che non è mai stata separatista, avendo perfino militato nell’OADP, uno dei gruppi che hanno poi costituito il PSU (Partito socialista unificato) – d’altronde è nativa di Akka, in territorio incontestabilmente marocchino, e mi domando se possegga i requisiti richiesti dal Polisario per fare parte di un ipotetico stato saharawi (d’altra parte sia Ali Salem Tamek, che Mohamed Abdelaziz e Marrakchi si trovano nelle medesime condizioni):


L’articolo di TelQuel

Una liceale ordinaria
Nata nella regione di Tan Tan nel 1967, conduce un’esistenza pacifica tra la sua regione natale e Laayoune. Si trova dunque a vivere direttamente tutta la storia del conflitto del Sahara, seguendo da vicino gli sviluppi. Nel 1987 Aminatou Hadar, allora liceale, viene arrestata durante una manifestazione brutalmente repressa dal famoso governatore Saleh Zemrag. Viene portata al tristemente celebre PC CMI, il quartier generale delle forze di intervento rapido, trasformato durante gli anni di piombo in un centro di detenzione segreta. La giovane Aminatou, come molte altre centinaia di saharawi, conosce così i tormenti della detenzione arbitraria e dell’umiliazione quotidiana. Viene finalmente liberata solo nel 1991. Ma, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non diventa subito indipendentista. In questo periodo frequenta, senza esserne militante, la sede dell’OADP (uno dei gruppi che hanno poi dato origine al PSU). “Si lavorava insieme per tentare la riconciliazione tra Stato marocchino e i detenuti politici”, racconta un militante di sinistra che, a quell’epoca, frequentava Haidar. Nel 1998 Aminatou, che già si fa notare per le sue qualità oratorie, si avvicina ad altri militanti apertamente indipendentisti e fonda (ufficiosamente)  una struttura che federa diverse organizzazioni. Ma non per questo taglia ogni legame col Marocco, riuscendo anche a trovare un impiego nel comune di Boujdour e ottenendo anche un risarcimento per i danni subiti durante la detenzione arbitraria del 1987. “Non bisogna dimenticare che fa parte di una tribù tradizionalmente fedele alla causa marocchina. Anche a Tindouf, molti Izerguiyine sono stati perseguitati o gettati in prigione a causa delle loro posizioni moderate”, dice un membro del Corcas.
Approfittando delle aperture democratiche, Aminatou Haidar acquista visibilità, così come un certo Ali Salem Tamek o Mohamed Moutawakel. I media internazionali cominciano ad interessarsi a questa “donna coraggiosa che difende la causa del suo popolo” e cominciano ad attribuirle dei soprannomi lusinghieri (e esagerati), come la “leonessa indomabile” o il “Ghandi saharawi”. “E tuttavia anche in questo periodo, Aminatou Haidar viveva tranquillamente a casa sua, al centro di Laayoune, insieme ai suoi due figli. La vera svolta avverrà nel 2005”, racconta uno dei suoi amici.
In quell’anno si hanno violente manifestazioni a Laayoune, con scontri quasi quotidiani tra giovani indipendentisti e forze dell’ordine. Aminatou Haidar vi partecipa. Durante una di esse, viene pestata brutalmente dalla polizia. Arrestata, sarà condannata a sette mesi di prigione per turbamento dell’ordine pubblico. Aminatou diventa una icona, le sue foto fanno il giro del mondo. Una nuova carriera comincia per la giovane madre di famiglia saharawi. All’uscita della prigione viene accolta come un’eroina e viene ricevuta con tutti gli onori in molte capitali mondiali. A partire da questo momento, Aminatou comincia a collezionare premi. L’Austria, gli Stati Uniti, la Spagna e molti altri rendono omaggio a questa nuova icona dell’indipendentismo saharawi… e contribuiscono a incrementare il suo conto in banca. Ma Haidar (che è stata menzionata anche per il premio Nobel) si agita tanto da diventare incontrollabile. Perfino i suoi più ferventi sostenitori a Tindouf cominciano ad essere irritati per il suo (iper)attivismo. Dal canto suo, Aminatou non nasconde più il suo odio per il Marocco. Ricevendo un  giornalista marocchino a casa sua nel 2006, gli dice freddamente: “Per la tua prossima visita in Sahara dovrai procurarti un visto. Il tuo paese dovrà pagare per tutti i danni provocati al mio popolo”.


Rientrando il 14 dicembre in Marocco, via Canarie, dopo aver ritirato un premio per i diritti dell’uomo, ha deliberatamente cercato l’incidente all’aeroporto di Laayoune. Non avendo riempito la casella della nazionalità ed avendo indicato “Sahara Occidentale” come suo luogo di residenza, si è vista confiscare il suo passaporto marocchino – ottenuto nel 2006 – dopo essere stata interrogata dalla polizia sotto la supervisione del procuratore del re di Laayoune. Le autorità di polizia marocchine hanno allora deciso di espellerla verso le isole Canarie, da cui il suo volo proveniva. Le autorità di polizia spagnole hanno accettato che lei facesse ingresso in territorio spagnolo, malgrado fosse sprovvista di passaporto, perché Aminatou Hadar possiede un permesso di soggiorno in Spagna. E tuttavia le hanno impedito di imbarcarsi nuovamente per il Marocco, proprio perché non aveva passaporto (il permesso di soggiorno non è un titolo di viaggio idoneo a consentirle di lasciare il territorio spagnolo, in assenza di altri documenti  che assicurino che la stessa sarà accettata nel paese di destinazione): Aminatou Haidar è in sciopero della fame nell’aeroporto di Lanzarote dal 14 novembre, reclamando che le autorità marocchine le restituiscano il passaporto o le consentano comunque di ritornare in Marocco.
Io non voglio attardarmi sugli aspetti politici e diplomatici della vicenda. Mi interessano soprattutto gli aspetti giuridici, che toccano principalmente il diritto alla nazionalità ed il diritto di ritornare nel proprio paese.
Ogni paese è sovrano in materia di concessione della nazionalità:
Appartiene al Liechtenstein come ad ogni altro Stato sovrano di disciplinare con legislazione propria l’acquisizione della nazionalità o il conferimento di essa per naturalizzazione. Non vi sono limiti posti dal diritto internazionale alla sovranità degli stati nazionali in questo campo.  D’altro canto la nazionalità produce i suoi effetti più immediati, più importanti e, per la maggior parte delle persone, i suoi unici effetti, nell’ordinamento giuridico dello Stato che l’ha conferita. La nazionalità attribuisce i diritti e gli obblighi che la legislazione di quello Stato impone ai suoi cittadini. Ciò è il significato implicito del più ampio concetto secondo cui la nazionalità rientra nella competenza nazionale dello Stato (sentenza della Corte internazionale di giustizia del 6 aprile 1955, nella vicenda Liechtenstein c. Guatemala).
Le limitazioni a questo potere sovrano sono ridotte:
Ai fini che qui interessano, è sufficiente segnalare che è senz’altro possibile, anche in una materia che come quella della nazionalità non è in linea di principio disciplinata dal diritto internazionale, che la sovranità dello Stato possa tuttavia essere limitata dagli impegni che lo stesso abbia assunto verso gli altri Stati. In tali casi la competenza dello Stato, esclusiva in linea di principio, si trova ad essere limitata da norme di diritto internazionale (sentenza della Corte permanente di giustizia internazionale del 7 febbraio 1923 nell’affare cd. dei decreti di nazionalità rilasciati in Tunisia e in Marocco)
C’è anche una Convenzione del 1961 per la riduzione dei casi di apolidia (vale a dire l’assenza di nazionalità), ma non è stata ratificata dal Marocco e non gli è opponibile – anche se il diritto marocchino della nazionalità tende ad evitare i casi di apolidia. Il Patto internazionale dei diritti civili e politici del 1966 contiene delle disposizioni pertinenti all’art. 12:

Articolo 12
1.    Chiunque si trovi legalmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliere liberamente la sua residenza.
2.    Tutti i paesi hanno il diritto di lasciare ogni paese, compreso il proprio.
3.    I diritti sopra indicati non possono essere oggetto di altre restrizioni, se non quelle previste dalla legge, necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la salute o la moralità pubblica, o gli altrui diritti di libertà e che siano compatibili con gli altri diritti riconosciuti dal presente Patto.
4.    Nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio paese.
E’ evidentemente soprattutto il punto 4 dell’art. 12 che è applicabile alla fattispecie, Aminatou Haidar essendo marocchina nativa del Marocco e titolare di un passaporto marocchino.

La versione ufficiale marocchina dice che Aminatou Haidar avrebbe “rinunciato” alla sua nazionalità marocchina, non compilando la casella “nazionalità” che ogni viaggiatore deve riempire quando sbarca in Marocco, ed indicando il “Sahara Occidentale” come luogo di residenza.
Va da sé che tale versione è totalmente priva di ogni fondamento legale: il diritto marocchino della nazionalità è regolato dal dahir (decreto reale, ndt) n. 1 – 58 – 250 del 21 safar 1378 (6 settembre 1958), recante il Codice della nazionalità marocchina, che contiene precise disposizioni in materia di perdita della nazionalità marocchina (contrariamente al detto secondo il quale “la nazionalità marocchina non si perde né si acquista”, essa può perfettamente acquisirsi e perdersi). Ricordiamo qui la regola universale che stabilisce che la nazionalità non è a disposizione dell’individuo, che sarebbe libero di acquisirla o perderla secondo la propria volontà, ma costituisce una prerogativa sovrana dello Stato, indispensabile per l’identificazione degli individui, così come la filiazione, il genere o il nome. Anche se un individuo desidera cambiare nazionalità, è solo l’intervento dello Stato  che può produrne l’effetto, al di là di una semplice menzione o omissione sulla carta di sbarco di un aeroporto.

Secondo il Codice della nazionalità marocchina, vi sono tre modi principali:
1.    La revoca dell’atto di naturalizzazione (articolo 14 del Codice), inapplicabile al caso di specie, essendo Aminatou Haidar marocchina di nascita;
2.    La perdita della nazionalità (articoli 19-21 del Codice): si ottiene a domanda dell’interessato secondo le formalità amministrative previste agli articoli 25-29 del Codice, nei cinque casi tassativi indicati dall’art. 19, e deve, per diventare effettiva, essere stabilita con decreto del Ministro della Giustizia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (articolo 29);
3.    La decadenza (articoli 22-24): possibile solo nei confronti dei marocchini naturalizzati, inapplicabile dunque al caso di specie.
La fattispecie più vicina al caso di specie è dunque quella della perdita della nazionalità su domanda. Ma non occorre  essere un esperto di diritto pubblico per rendersi conto che i requisiti richiesti dal Codice sono assai lontani dall’essere sussistenti. Ecco quali sono le condizioni che si sarebbero dovute realizzare perché Aminatou Hadar avesse potuto perdere la sua nazionalità marocchina su domanda:
1.    Aminatou Haidar avrebbe prima di tutto dovuto trovarsi in una delle cinque situazioni indicate nell’art. 19: acquisizione volontaria di una nazionalità straniera (articolo 19, comma 1), perdita della nazionalità da parte di un Marocchino che abbia comunque un’altra nazionalità di origine (articolo 19, comma 2), acquisizione di nazionalità straniera per effetto di un matrimonio (articolo 19, comma 3), rinuncia alla nazionalità da parte di un marocchino che l’aveva acquisita come minore naturalizzato (articolo 19, comma 4) ed infine il caso del marocchino che conservi un impiego pubblico o privato in uno Stato straniero per oltre sei mesi dopo l’ingiunzione del governo marocchino a lasciarlo (articolo 19, comma 5). Aminatou Haidar non si trovava in alcuna di queste condizioni il giorno del suo allontanamento dal suo paese natale, il 14 novembre (l’offerta di naturalizzazione spagnola da parte del governo non è pertinente, non solo perché è stata rifiutata dall’interessata, ma anche perché è posteriore all’espulsione di Aminatou Haidar).
2.    Inoltre Aminatou Haidar avrebbe dovuto depositare ella stessa una domanda di perdita della nazionalità marocchina presso il Ministero della Giustizia (articolo 25, comma 1 del Codice). Il fatto di riempire una carta di sbarco destinata alla polizia di frontiera non può essere in alcun modo assimilata ad una simile domanda.
3.    La domanda avrebbe dovuto essere accompagnata dai “titoli, atti e documenti diretti: a) a dimostrare la sussistenza delle condizioni previste dalla legge; b) a consentire la valutazione della conformità all’interesse nazionale della concessione richiesta” (articolo 25, comma 1 del Codice) e il ministero della giustizia avrebbe dovuto rilasciare una ricevuta o un attestato di ricezione.
4.    In caso di accoglimento della domanda di perdita della nazionalità marocchina da parte del ministero della giustizia, avrebbe dovuto essere pubblicato il relativo decreto sulla Gazzetta Ufficiale del Regno del Marocco.
E’ dunque chiaro che quanto viene contestato ad Aminatou Haidar non può in alcun modo considerarsi come equivalente ad una richiesta di perdita di nazionalità marocchina, secondo quanto stabilito dal Codice della nazionalità marocchino.

La questione della nazionalità di Aminatou Haidar si pone in questi termini: nata marocchina, resta marocchina, non potendo la nazionalità dipendere dalle opinioni politiche dell’interessata. Dopo tutto si noterà che il suo separatismo non le ha impedito di chiedere un passaporto marocchino (né di essere dipendente comunale a Boujdour), senza considerare il carattere davvero originale di uno sciopero della fame realizzato da una separatista per ottenere il passaporto di uno Stato che lei considera come potenza occupante. La vicenda Aminatou Haidar ricorda peraltro quella di Abraham Serfaty, espulso dal Marocco dopo essere stato graziato nel 1991, in quanto “brasiliano”, valutazione che fu, per la vergogna della giustizia marocchina, avallata dalla Corte Suprema…

Resta la questione del suo passaporto marocchino e del sui ritiro (ricordiamo che il passaporto non è che uno dei modi per dimostrare la propria nazionalità, e che non si confonde con essa- tanto che una buona maggioranza di marocchini non dispone di passaporto). In tutto l’ordinamento giuridico marocchino, di una povertà desolante, non c’è da meravigliarsi che alcun testo legislativo o regolamentare disciplini specificamente le condizioni di rilascio e di ritiro del passaporto marocchino. Per quello che ho potuto verificare, solo un “Ordre résidentiel” (Un decreto del Commissario residente generale del Protettorato della Repubblica Francese in Marocco, ndt), la cui validità nel 2009 è tutta da verificare, sembra disciplinare la materia. Si tratta dell’”ordre résidentiel” dell’8 gennaio 1915, che prescrive la presentazione di un passaporto da parte di tutte le persone che escono o entrano nel territorio della zona francese dell’Impero dello Sceriffato, il cui art. 3 dispone che “ogni persona che non sarà in grado di presentare un passaporto regolare non potrà in alcun caso essere autorizzata a uscire o fare ingresso nel territorio della zona francese”.
La confisca del passaporto è prevista dal Codice di procedura penale – l’articolo 49 comma 14 del Codice di procedura penale prevede la possibilità per il Procuratore del Re di confiscare il passaporto di un sospetto, vietandogli di uscire dal territorio nazionale, in caso di crimini o delitti punibili con  pena superiore a due anni di prigione – ma nessuna dichiarazione ufficiale marocchina indica che sia questo il caso di Aminatou Haidar. Senza dubbio vi saranno altre disposizioni sparse che mi sono sfuggite. Dunque, in assenza di disposizioni normative precise o pubbliche (il ministro dell’interno avrà certamente emesso una o più circolari in materia di rilascio di passaporti e di divieto di espatrio, ma esse sono evidentemente non pubbliche), non c’è alcun fondamento legale per il ritiro del passaporto ad Aminatou Haidar.

Ciliegina sulla torta, non solo si è illegalmente ritenuto che Aminatou Haidar avesse rinunciato alla sua nazionalità marocchina, non solo l’hanno successivamente privata del suo passaporto, ma l’hanno perfino espulsa dal suo paese, vietandole di ritornare.

Ebbene l’articolo 9 della Costituzione marocchina così recita:
Articolo 9: La Costituzione garantisce a tutti i cittadini:
-    La libertà di circolazione e di residenza in ogni parte del Regno
-    La libertà di opinione, la libertà di espressione in tutte le sue forme e la libertà di riunione
-    La libertà di associazione e la libertà di aderire ad ogni organizzazione sindacale e politica di loro scelta
Queste libertà non possono essere limitate se non dalla legge.
Come si vede, la Costituzione garantisce al cittadino marocchino, dunque anche ad Aminatou Haidar, il diritto di circolare e fissare residenza in ogni parte del Regno – e dunque necessariamente il diritto di fare ingresso nel territorio marocchino. Al che occorre aggiungere il già citato articolo 12, comma 4 del Patto internazionale dei diritti civili e politici : “Nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio paese”.
Come si vede, le autorità marocchine hanno realizzato un bel risultato, riuscendo a non rispettare nessuna delle rare e stitiche leggi che lo Stato Marocchino vara per dare prova di rispetto per i diritti dell’uomo. Naturalmente in uno Stato di diritto, cosa che il Marocco non è, una giustizia indipendente avrebbe immediatamente annullato tali decisioni arbitrarie, incriminandone gli autori. Perché in uno Stato di diritto, anche i traditori potenziali come i separatisti hanno diritto al rispetto della legge, che non protegge solo coloro le cui opinioni piacciono al governo o alla maggioranza, ma anche coloro le cui opinioni sono esecrate dal governo e dalla maggioranza.

Ciò significa che il Marocco deve accettare che l’azione separatista si realizzi liberamente e senza limiti? Certamente no, e fondamentalmente io non contesto assolutamente la necessità per il Marocco di passare all’offensiva . in modo intelligente – contro il separatismo ed i separatisti, sia che si trovino in Marocco, che all’estero. Solo, occorre combattere il separatismo principalmente sul piano politico, e se è concepibile che delle azioni giudiziarie a carattere repressivo siano necessarie, deve comunque evitarsi l’arbitrio in quanto tale – ed anche perché niente porta acqua al mulino separatista come l’arbitrio del makhzen (sistema di potere della monarchia marocchina, ndt) in tutto il suo splendore. Dunque la legge marocchina dovrebbe essere riformata, con una chiara incriminazione dei comportamenti che si intendono combattere – soprattutto i contatti diretto col Polisario, col quale il Marocco è ancora legalmente in stato di belligeranza, nonostante il cessate il fuoco del 1991. In materia di passaporto marocchino è necessaria una disciplina legislativa, che regoli in modo preciso il potere dell’amministrazione di rilasciarlo o ritirarlo – anche per evitare lo spettacolo realmente desolante di separatisti globe-trotters che vanno a getto continuo all’estero a sputare sulla bandiera marocchina, pur attraversando la frontiera con passaporto marocchino, potranno essere adottate delle misure: esigere da tutti coloro che chiedono un passaporto marocchino una dichiarazione sull’onore che sono marocchini, o prevedere il ritiro del passaporto marocchino per verificare lo status di coloro che dichiarano di non essere marocchini nei documenti amministrativi. Ma occorrerebbe per fare ciò che la questione della integrità territoriale sia trattata seriamente, senza spirito cortigiano né propaganda sterile, ciò che, ahimè, non è il caso del Marocco di oggi.

Aminatou Haidar  fa dunque uno sciopero della fame contro una decisione illegale e arbitraria. Le conseguenze di un esito fatale, se saranno senza dubbio gravi per le relazioni marocco-spagnole, potrebbero paradossalmente far comodo sia al Marocco che al Polisario, almeno a breve termine: abbiamo capito che la pubblicità che circonda Aminatou Haidar infastidisce i grossi papaveri meno famosi e meno fotogenici del Polisario – un esito fatale fornirebbe un martire alla causa che  manca da un po’ di tempo, fornendo un pretesto per  una sospensione del dialogo puramente formale con il Marocco, fino ad un’escalation oltre il piano politico-mediatico (sono certo che né il Polisario né l’Algeria né il Marocco sarebbero in grado di sopportare il costo diplomatico di un ritorno alle ostilità sul piano militare). Per il Marocco ciò significherebbe che nessun separatista potrà sentirsi  al riparo della sua notorietà internazionale – il discorso reale del 6 novembre 2009 vedrebbe la sua prima concreta applicazione. Una eventuale escalation del Polisario con la rottura dei negoziati potrebbe ugualmente consentire al Marocco di attribuirne la colpa ai separatisti, e di fare pressioni per una soluzione imposta dal Consiglio di sicurezza sulla base di un piano di autonomia – peraltro non molto plausibile. La cosa più probabile, indipendentemente dall’esito di questo sciopero della fame, è la continuazione dello status quo, giacché nessuno dei fattori di equilibrio tra i protagonisti del conflitto (Marocco, Algeria, Francia e Stati Uniti) è stato sostanzialmente toccato da questa vicenda.