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Per ricordare :

Kragujevac, Serbia, exJugoslavia - 21 ottobre 1941
Enrico Vigna (*)

E’ un autunno freddo in quell’anno 1941 nella Sumadjia, la regione di cui è capoluogo la città di Kragujevac…  molto presto per i suoi abitanti diventerà gelido.

L’occupazione nazifascista della Jugoslavia è in atto, e contemporaneamente comincia la lotta di liberazione e si formano i primi distaccamenti partigiani guidati dai comunisti, che nella clandestinità hanno costruito una rete di combattenti, sia nelle città che nelle campagne, e sotto la cui guida, i popoli jugoslavi uniti, animeranno una stagione di eroismi storici e sacrifici immani, ma vittoriosa.


Come raccontano i vecchi combattenti: “.. non appena una suola straniera ha calpestato la nostra terra, il nostro popolo ha cominciato la lotta di liberazione, senza indugi e senza dubbi, come sempre è stato dai tempi degli ottomani in poi, la consegna era lottare comunque. Vincere forse, ma comunque lottare…”.

Quella mattina una delle tante rappresaglie (ma certamente delle più feroci e atroci), che poi segnarono la storia quotidiana di quelle terre (non va mai dimenticato che, dopo il popolo sovietico, è stato il popolo jugoslavo a pagare il tributo di sangue e di mutilati più alto, per la liberazione dell’Europa dal fascismo italiano e dal nazismo tedesco ),  viene messa in atto in quella città, dove il rifiuto dell’occupante e il patriottismo erano unica cosa e continuamente dimostrata in mille piccoli atti di ostilità verso gli occupatori.

Attorno alla città vi è una serie di colline: una di queste viene scelta come luogo per la rappresaglia, lì vengono condotti con i camion migliaia di cittadini presi con i rastrellamenti del 20 ottobre, prelevati nei posti di lavoro, nelle strade, nelle scuole: uomini, donne e bambini indistintamente, persino invalidi e ragazze incinta. Vengono sistemati in baracche e casette di legno, raggruppati a gruppi in attesa del loro turno di fucilazione, che avverrà in luoghi doversi, là dove verranno poi costruiti, dopo la liberazione, i vari monumenti che ancora oggi formano quello che è chiamato il Parco della Rimembranza di Kragujevac.

All’interno delle baracche, vergati su muri, saranno poi ritrovati gli ultimi pensieri per le famiglie, messaggi di condannati a morte, che, come sempre in queste situazioni estreme,  rivolgono come un ultimo saluto: alcuni intrisi di disperazione, altri colmi di un senso di serenità finale che assomiglia a un atto liberatorio, altri come monito e grido per una battaglia che deve continuare. Altri sono in forma di riflessione sulla speranza, sulla vita, sul sole, sull’umanità, su padri o su figli che non si rivedranno mai più. Ancora oggi chi visita quei luoghi trova, su alcuni pannelli esterni al Museo, queste scritte , ormai sempre più sbiadite, sempre più illeggibili, perché il “nuovo corso” jugoslavo, non ha troppo interesse a mantenere e coltivare il patrimonio dell’antifascismo e del patriottismo: ideali su cui per oltre 50 anni le nuove generazioni sono state educate e indirizzate. Ogni 21 ottobre, da tutta la Jugoslavia venivano accompagnate scolaresche sui luoghi della memoria, cercando di  mantenere le radici della propria storia, di condividere collettivamente i valori su cui altri ragazzi e ragazze, in altri tempi. avevano perso il bene più prezioso: la vita.



Oggi sarebbe impresa non facile per questi nuovi governanti, che mentre il proprio popolo moriva e subiva il bombardamento della Nato, invitavano (dall’estero!) quest’ultima ad aumentarne l’intensità, in quanto era l’unico modo per allontanarlo dal precedente governo, inviso ai padroni del mondo. E il caso ha voluto che il primo missile della Nato che cadde sulla città, abbia centrato e distrutto proprio una delle baracche museo, uno dei tanti missili “intelligenti” che in quel caso non uccisero, ma che poi uccisero, e devastarono soprattutto edifici civili, fabbriche come la Zastava, scuole e civili inermi, ma sempre con spirito “UMANITARIO”.

Una leadership che in due anni ha provocato e favorito, con politiche devastanti e antipopolari, il disfacimento morale e sociale in corso in quel paese, che fino a pochi anni fa era un esempio di convivenza e progresso civile di popoli diversi, ma uniti (notare bene: ancora oggi l’unica repubblica multietnica e multiculturale è la Serbia, dove ancora oggi convivono pacificamente 32 etnie diverse…eppure ci avevano raccontato in occidente che bisognava bombardare, distruggere, uccidere per poter riportare diritti, libertà, democrazia e multietnicità; come mi disse una donna di lì…forse è solo tutto un terribile sogno…).

In quel lontano 1941 ci vollero tre giorni, dal 21 al 23 ottobre, per completare lo sporco lavoro : in quelle 70 ore furono oltre 7000 c’è chi dice quasi 10000 i fucilati (il numero esatto non è mai stato possibile stabilirlo, anche perché i carnefici occuparono ancora per anni la terra jugoslava e certo non fecero l’elenco degli assassinii commessi). L’UNESCO decretò Kragujevac Città Martire della Resistenza al nazifascismo.

Quando visitai la prima volta il Parco, e ogni volta che ci ritorno anche solo per pochi minuti, provo una sensazione interiore profonda: è come se quel silenzio così gravido di storia, di sofferenze, di atrocità,  crei un’ atmosfera particolare che quasi costringe a raccogliersi in sé stessi, con la propria anima. Perché una cosa che si nota è che chiunque si incontra passeggiando tra quelle pietre, quelle sculture sparse, bambini, adulti, anziani, cammina o chiacchiera sommessamente, senza alzare mai il tono della voce, come per non disturbare i propri martiri.

Ci sono due episodi che vorrei raccontare perché ritengo diano tutto il senso di quella tragedia,ma che rappresentano anche quanto fosse profondo e sentito nella stragrande maggioranza del popolo jugoslavo il sentimento e la coscienza della lotta antifascista e patriottica.

Il primo riguarda la toccante storia della classe di studenti prelevata mentre faceva lezione e il cui insegnante, decise di condividere la stessa sorte dei ragazzi mentre avrebbe potuto salvarsi e che, quando il plotone d’esecuzione stava per fucilare i ragazzi, si mise tra essi e gli assassini di spalle, con il libro di testo in mano, al che l’ufficiale tedesco gli chiese cosa stesse facendo ed egli rispose : “…io sto facendo il mio dovere di uomo e di insegnante con i miei alunni, voi fate quello che dovete fare..”. E così cadde con i suoi ragazzi: a loro è dedicato il monumento detto delle “Ali spezzate” (sotto nella foto)



L’altro profondo episodio è quello dei lustrascarpe Rom: un piccolo Rom lustrascarpe si era rifiutato di pulire gli stivali di un ufficiale tedesco che lo uccise per strada per lavare l’affronto, dopodiché mandò a prendere un fratellino del ragazzo, il quale si rifiutò e anche lui venne ucciso, allora mandò a prendere i familiari che, rifiutandosi, vennero fucilati tutti.  Giunta a quel punto la vera e propria sfida, vennero portati tutti i piccoli Rom che fu possibile trovare e chi si fosse rifiutato di lustrare gli stivali sarebbe stato ucciso. Ebbene non uno di questi piccoli lustrascarpe accettò, e così vennero condotti tutti alla collina e fucilati. 300 piccoli Rom uccisi …per DIGNITA’: a loro è dedicato il Monumento dei “ Fiori di pietra” (sotto nella foto)


Anche questo dovrebbe dare da pensare sulle ragioni per cui il popolo Rom si è schierato e ha difeso la Jugoslavia contro i bombardamenti, l’unico posto dove è accettato e ha vissuto con dignità.

Questo è un pezzettino di storia, che sembra lontana in questo occidente opulento e corrotto, ormai quasi estraneo a certi valori, a certe profondità dell’anima, al concetto di dignità e di identità nazionali, intesi soprattutto come valore profondo di libertà e indipendenza. Eppure io credo che chiunque, in questi ultimi anni di questa sventurata Serbia, vi sia stato, abbia potuto parlare e riflettere con qualcuno di questo popolo, chiunque sia riuscito a condividere dolori, speranze, attese, tradimenti,  abbia anche conosciuto un profondo e radicato senso generalizzato di umanità, solidarietà, amicizia, non in qualche singola persona, ma come un bene e una cultura comune. Sono posti dove si piange, si soffre ma dove ancora si canta, si balla, ci si abbraccia…naturalmente, TUTTI INSIEME !


E questa è la SPERANZA che un giorno questo popolo, ritroverà le forze per rialzarsi in piedi anche materialmente e caccerà i propri traditori e gli asserviti agli interessi stranieri, che stanno massacrando e svendendo il paese e il popolo, che hanno svenduto anche la dignità nazionale, le radici e la propria storia, tutto ciò che non aggrada lo straniero “liberatore” della Serbia e della ex Jugoslavia, …tutto in perfetta sintonia con le vicende italiane. Ma fino a quando ?!  

 

Fiaba cruenta
“ Avvenne in un paese di contadini, nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni, in un giorno solo morì di morte gloriosa.

Avevano tutti la stessa età, scorrevano uguali per tutti, i giorni di scuola
andavano alle cerimonie in compagnia, li vaccinavano tutti contro la stessa malattia.
E morirono tutti in un giorno solo.
Avvenne in un paese di contadini, nella Balcania montuosa :
una compagnia di alunni in un solo giorno morì di morte gloriosa.


Cinquantacinque minuti, prima che la morte se li portasse via
sedevano sui banchi di scuola, i ragazzi della piccola compagnia
E con lo stesso compito assillante :
andando a piedi, quanto impiega un viandante… e così via.


Erano pieni delle stesse cifre i loro pensieri,
e nei quaderni, dentro la cartella,
giacevano assurdi innumerevoli, i cinque e gli zeri…


Stringevano in tasca con ardore, una manciata di comuni sogni
di comuni segreti, patriottici e d’amore.
E ognuno, lieto della propria aurora, credeva di correre molto,
tanto ancora, sotto l’azzurro tetto rotondo
fino a risolvere, tutti i compiti di questo mondo.


Avvenne in un paese di contadini, nella Balcania montuosa :
una compagnia di alunni in un giorno solo morì di morte gloriosa.


File intere di ragazzi, si presero per mano
e, dall’ultima ora di scuola, si avviarono alla fucilazione
Calmi, col cuore forte, come se nulla fosse la morte.
file intere di compagni, salirono nella stessa ora
verso l’eterna dimora.”  
                                                                            ( Desanka Maksimovic)

Come disse S. Pertini l’unico partigiano presidente di questo paese chiamato Italia:
“ Ricordare è un dovere, dimenticare un delitto”


 
Torino 21 Ottobre 2012,
dedicato a tutti gli uomini e donne di Jugoslavia che hanno lottato, resistito, sfidato l’ordine mondiale imposto. Oggi sono caduti, offesi, umiliati ma la speranza è che un giorno insieme agli altri popoli resistenti, ritrovino la loro strada verso un futuro degno di essere vissuto e che si sono meritati. E a quelle compagne e compagni, fratelli e sorelle jugoslavi, che mi hanno onorato della loro stima e fiducia, di cui sono fieramente orgoglioso.
Essi e questo fiero popolo, sappiano che per quanto sarà nel possibile:
“Nessuno è dimenticato, Niente è dimenticato “
 
(*) Associazione “ SOS Yugoslavia- Kosovo Metohija”
Forum Belgrado per un Mondo di Eguali - Italia