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Rue89, 18 luglio 2011


Un tunisino di 14 anni ucciso durante una manifestazione
Ramses Kefi


Causa del ritorno di violenze in Tunisia, islamisti o sbirri di Ben Ali? I Tunisini denunciano le “zone d’ombra”


Nella notte tra sabato e domenica più di 300 manifestanti, armati di pietre e bottiglie molotov, hanno assaltato un posto di polizia nel quartiere di Intikala a Tunisi. Nello stesso tempo, a Menzel Bourguiba (60 km a nord della capitale), diverse persone avrebbero, secondo le autorità, derubato armi da fuoco e munizioni durante il saccheggio di un commissariato.
Idem 24 ore più tardi, ma questa volta nella città simbolo di Sidi Bouzid, là dove, qualche mese fa, Mohamed Bouazizi si era immolato dandosi fuoco. Se la calma è tornata questo lunedì mattina, gli scontri della notte hanno provocato almeno due feriti gravi e un morto.
La vittima, Thabet Belkacem, aveva 14 anni e sarebbe stato colpito da un “rimbalzo di proiettile” mentre la polizia tentava di disperdere i manifestanti con degli spari di intimazione.
Originario di Sidi Bouzid, Slim, 21 anni, non è sorpreso. Secondo questo studente in elettronica, la polizia tunisina è ricaduta nei suoi errori. Quando apprende la notizia questo lunedì mattina, si trova a casa di un amico, a Kef, nell’ovest: “Se non ci fosse l’esercito, la polizia farebbe una carneficina, come sotto Ben Ali. Si direbbe che niente è cambiato e che la RCD tiri le fila dietro le quinte. Ci sono troppe zone d’ombra, troppe cose strane, soprattutto al ministero dell’interno.


Voci incontrollate per creare caos
La Tunisia vive un mese di luglio particolarmente complicato. Alla vigila di una scadenza elettorale storica, il paese è in preda a violenze che pongono il governo provvisorio in una situazione complicata. Spesso criticato per i suoi agganci col regime deposto, è oramai sospettato di frenare la transizione democratica, e di voler prolungare il suo interim oltre le elezioni previste per il 23 ottobre prossimo.
In un discorso pronunciato questo lunedì pomeriggio, Béji Caid Essebsi, primo ministro provvisorio, ha voluto smentire queste accuse, escludendo un ulteriore rinvio degli scrutini, nonostante i fatti sanguinosi del week end.
Militare a Tunisi da quattro anni, Béchir è categorico: il ministero dell’interno ha ragione ad attribuire la responsabilità di questi disordini agli islamisti. “Non tutti, perché alcuni sono pacifici. Anche se non rivendicano queste azioni, solo loro ad assoldare dei disperati ed a servirsi di loro, come hanno sempre fatto”.
Secondo lui la polizia non è responsabile degli atti di tortura dei quali alcuni manifestanti l’accusano. Punta il dito sulle voci incontrollabili, che creano disinformazione e fomentano il caos.


“A 14 anni che cosa faceva in una manifestazione?”

Béchir  ritiene che la polizia abbia quanto meno cambiato i suoi metodi, nonostante sia costantemente esposta al pericolo, come nel caso degli avvenimenti che hanno provocato la morte del ragazzino a Sidi Bouzid.
“Quando si viene attaccati con sassi e bottiglie molotov, è normale difendersi, no? Il piccolo è stato colpito da un proiettile vagante, ma che cosa ci faceva a 14 anni in una manifestazione?”
Martedì sarà alla frontiera libica, a Ras Ejdir. Prima di riagganciare, ci tiene a sottolineare lo stato di emergenza in cui si trova la Tunisia: “Va malissimo. La gente non capisce che non si possono cambiare le cose dall’oggi al domani. Bisogna avere pazienza, è dura.
Ma dall’inizio del mese tutto il paese si è infiammato. A Sbeitla (centro-ovest) e Gafsa (sud-ovest), è stato necessario addirittura decretare il copri-fuoco qualche giorno fa”.


Non si sa neppure chi governa

Mahdi, 28 anni, meccanico disoccupato, se ne è andato da Tunisi nel giugno scorso. In mancanza di soldi, si è ricreduto. Se si dice fiero della Rivoluzione, afferma che la Tunisia non si è liberata del RCD. Già un mese fa temeva che i “compari” di Ben Ali avrebbero ripreso il potere. Oggi ne è quasi sicuro: “Il loro padrone è partito, ma questo non impedisce loro di lavorare. Non se ne sono andati tutti in Arabia Saudita”.
Condivide una convinzione con Béchir, quella di ritenere che le voci incontrollate siano un pericolo per il buon svolgimento delle elezioni nel prossimo ottobre. Secondo Mahdi, la campagna rischia di essere completamente falsata da un contesto deleterio che metterà i veri problemi in secondo piano: “Per molti la democrazia non è un buon business”.
Egli considera la morte di Thabet come una conseguenza tragica ma logica. Sidi Bouzid e le regioni più sfavorite si spazientiscono e, soprattutto, non vedono nessuno spiraglio. Quindi è scettico rispetto all’idea che all’origine della tensione vi siano solo islamisti e delinquenti. Sospetta che vi siano delle manovre del regime deposto: “Per anni il governo ha mentito. Era addirittura una specialità. Vi sono molti antichi riflessi che resistono ancora oggi. La polizia picchia sotto l’occhio benevolo del primo ministro. In ogni caso, non si sa nemmeno chi governa”.