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ProfileIntervento, 28 novembre 2017 - Si conferma dunque, ancora una volta, l’ambiguità del rapporto di una parte della città con la sua plebe. Una plebe che è complice ambita delle illegalità delle classi dominanti e dei suoi vizi, ma viene allo stesso tempo disprezzata, odiata e temuta (nella immagine, "Lazzari giocano a carte" - Silvestro Bossi, 1824)

 

Corriere del Mezzogiorno (editoriale), 28 novembre 2017
 
Illegalità della plebe (e delle classi alte)
Nicola Quatrano
 
Il presidente Vincenzo De Luca è stato perentorio come d'abitudine. “Quando spari in mezzo ai ragazzi durante la movida – ha tuonato – sei un delinquente”. Affermazione che è solo apparentemente incontestabile: chi commette un reato, infatti, certamente “delinque”, ma questo non è sufficiente a trasferire la qualità del gesto alla persona di chi lo ha commesso. E' una trasposizione riservata di solito alla sola criminalità delle classi inferiori, perché nessuno ha mai osato definire “delinquente”, che so,  Silvio Berlusconi, Adriano Sofri, o i giornalisti condannati per diffamazione. D'altronde lo stesso De Luca si risentì moltissimo quando venne considerato “impresentabile”, solo perché imputato di un reato (dal quale è stato poi assolto).  
 
Lazzari giocano a carte - Silvestro Bossi, 1824
 
Ancora più rude, se possibile, era stato qualche giorno prima il questore di Napoli Antonio De Iesu, definendo i giovani delle periferie che osano portare la violenza nei quartieri bene di Napoli come “belve che hanno l'odio e la malvagità nello sguardo”. Le zone signorili, ha detto testualmente, sono invase da branchi di soggetti che  “vengono dai loro quartieri periferici, portando nel centro il loro stile di vita, il loro atteggiamento comportamentale, il loro disagio, la devianza frutto di quei quartieri”. Va detto che il dito, più che contro di loro, pareva puntato soprattutto sulle “comunità” che hanno prodotto questi “demoni”, cionondimeno le parole hanno un peso, e il questore doveva ben rendersene conto. Non credo infatti che avrebbe usato lo stesso lessico se si fosse trattato di commentare, che so, le azioni dei responsabili della “macelleria messicana” di Genova (e delle prove generali fatte il 17 marzo 2001 a Napoli), o della morte di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e altri, per quanto si tratti di comportamenti che ben si sarebbero prestati. E avrebbe avuto ogni ragione di evitare generalizzazioni fuori luogo, non fosse altro perché furono proprio delle generalizzazioni fuori luogo a rendere in quelle occasioni violenta la mano degli uomini in divisa, vale a dire la loro convinzione di avere a che fare con “drogati”, “ribelli” o “belve malvagie”, immeritevoli del trattamento dovuto agli esseri umani.
 
Fatto sta che definire “belve” i giovani delle periferie è piaciuto molto ai frequentatori dei social, ed ha imbelvenito alcuni dei probi abitanti dei quartieri bene, indispettiti perché l'inciviltà della loro movida senza regole viene inquinata dalla presenza di cafoni più incivili di loro, e per di più violenti. Così i giornali hanno ospitato il lamento sconsolato di Renzo Arbore, e la sua nostalgia di quando piazza dei Martiri era solo ed esclusivamente “la piazza dei gagà”. E anche le preoccupazioni (fondate) dei genitori, in apprensione per i rischi che corrono i loro ragazzi con l'arrivo di branchi di spacciatori e parcheggiatori abusivi in zone fino ad ieri sicure. Dimenticando che i suddetti spacciatori arrivano perché qualcuno di questi “ragazzi” evidentemente acquista la loro merce, e i suddetti parcheggiatori abusivi arrivano perché i “ragazzi” pretendono di parcheggiare giusto di fronte ai “baretti”. 
 
La "movida" cittadina senza regole
 
Si conferma dunque, ancora una volta, l'ambiguità del rapporto di una parte della città con la sua plebe. Una plebe che è complice ambita delle illegalità delle classi dominanti (penso alle relazioni della camorra con certi salotti buoni della politica e dell'imprenditoria), e dei suoi vizi (dalla cocaina alla prostituzione), ma viene allo stesso tempo disprezzata, odiata e temuta. Ne è piena la letteratura, di questo timoroso stupore con cui si guarda alla plebe napoletana, dai “vermi” viziosi e indolenti di Francesco Mastriani, alla loro ignoranza e diversità raccontate nel “Ventre di Napoli” di Matilde Serao. Nel 1700, l'intellighenzia europea veniva a Napoli per vedere da vicino questo strano tipo umano, la cui capacità di violenza era stata rivelata dalla rivolta di Masaniello, e perfino l'acuta e visionaria Annamaria Ortese, del popolo minuto, finisce col descrivere solo donne senza naso, bambini malaticci e sporchi, scugnizzi viziosi che mostrano il sesso ai passeggeri di un tram. E poi, le folle nere e minacciose che scendono dai vicoli verso la città per bene... 
 
In teoria, anche in questi giorni, quasi tutti concordano sul fatto che la violenza dei giovani delle periferie richieda un impegno straordinario di risanamento del contesto sociale, e sembra chiaro che non vi sarà riscatto  per Napoli, finché non muterà il rapporto delle sue classi dirigenti con la sua plebe, finché l'inciviltà di quest'ultima continuerà a fungere da alibi e paravento per occultare l'inciviltà delle prime. E sembra pure chiaro che la necessità di una rivoluzione culturale interpelli tutti, perché è soprattutto responsabilità storica delle élite (della loro meschinità e inadeguatezza) non aver saputo avviare un processo di trasformazione della plebe in popolo...
 
Poi, in pratica,  piombano come macigni le parole del presidente De Luca e del questore De Iesu.