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Le Drapeau Rouge, 13 febbraio 2014 (trad. ossin)



"E' il mio impegno contro la guerra in Siria che

suscita l'ira di Erdogan"


Bahar Kimyongur

 


Infaticabile militante della solidarietà internazionale, nato e formato in Belgio dove si è laureato in Storia nella Libera Università di Bruxelles, Bahar Kimyoungur non ha mai dimenticato le proprie origini arabo-turche, né la convinzione che queste radici lo avvicinano, come un meccanismo di vasi comunicanti, a tutti i popoli in lotta.  Oppositore convinto del progetto di dissoluzione della Siria architettato da una torbida alleanza dell'imperialismo occidentale, del sionismo e dell'oscurantismo islamico, il nostro ospite non si stanca di denunciare il ruolo sinistro giocato in questo progetto dal governo turco guidato da Recep Erdogan. Comportamento insopportabile agli occhi di quest'ultimo che, a sua volta, si accanisce su Bahar cercando, con la complicità dei governi europei, di ottenerne l'estradizione per potergli fare pagare, a modo suo, il delitto di non sottomissione. E' così che Bahar si trova attualmente privato della libertà in Italia, da dove ci rende partecipi del suo punto di vista sulla propria situazione e anche sulle lotte nelle quali è impegnato




 

Le Drapeau Rouge - Dopo avere avviato una serie di iniziative giudiziarie in Belgio, si ha l'impressione che il regime di Ankara si sia lanciato in una caccia senza frontiere contro la tua persona. Come lo spieghi?

Bahar Kimyoungur - Su pressione dello Stato turco, in Belgio ho subito 4 processi e tre giudizi in cassazione tra il 2005 e il 2009, oltre ad una detenzione ingiustificata di quasi sei mesi dal novembre 2006 ad aprile 2007. Fino a quando la Corte d'Appello di Bruxelles mi ha completamente assolto.


In aprile 2006, subito dopo essere stato condannato a quattro anni di prigione dal Tribunale correzionale di Bruges (a piede libero), i servizi segreti belgi hanno messo su un trucco per farmi arrestare nei Pesi Bassi e consegnarmi alla Turchia in virtù di un mandato di arresto internazionale emesso dal regime di Ankara. Dopo 68 giorni di prigione, un tribunale a La Haye ha finalmente giudicato la richiesta turca irricevibile e mi ha subito rilasciato. Era il 4 luglio 2006.


Nel giugno 2013, sono stato arrestato da poliziotti spagnoli in abito civile, io e la mia famiglia, a Cordoba, mentre visitavamo la famosa moschea-cattedrale della città andalusa. Sono stato liberato dopo quattro giorni di detenzione pagando una cauzione di 10.000 euro.


Al momento, mi trovo letteralmente preso in ostaggio dalla Turchia in territorio italiano dal 21 novembre scorso. Quella mattina sono stato fermato all'aeroporto di Orio al Serio mentre mi recavo a Monza per dare una conferenza sulla Siria. Nel primo pomeriggio, elementi della polizia antiterrorismo (DIGOS) mi hanno condotto alla prigione di Bergamo dove ho trascorso 13 giorni. La Corte d'Appello di Brescia mi ha successivamente relegato in esilio, in attesa di esaminare la richiesta di estradizione turca.


Nel decennio precedente, la giustizia turca mi ha perseguitato a causa delle opinioni che manifestavo in materia di politica interna turca. Oggi sono le mie critiche verso la politica turca a proposito della guerra in Siria che suscitano l'ira delle autorità di Ankara.


Le D.R. - Oltre alla repressione politica, credi ci sia anche qualche cosa di personale nell'atteggiamento delle autorità turche?

B.K. - Ossessionato dalla sua immagine all'estero, il regime di Ankara reprime più severamente una critica quando essa viene espressa all'estero. Per esempio, l'articolo 301, in virtù del quale molti intellettuali turchi sono stati accusati di insultare "l'identità turca", prevede un aumento di un terzo della pena se l'infrazione viene commessa all'estero. Benché io sia belga di nascita e nazionalità, "beneficio" però a mie spese anche della nazionalità turca. Quel che è peggio è che sono attivo a Bruxelles, un luogo strategico per la Turchia desiderosa di aderire alla UE.


E' un fatto, le più alte istanze del governo AKP sono irritate per le mie prese di posizione. L'ex ambasciatore della Turchia in Belgio, Fuat Tanlay, è intervenuto personalmente nella vicenda cosiddetta del DHKP-C moltiplicando le provocazioni. Aveva auspicato che il Belgio fosse colpito da atti terroristici a seguito della mia assoluzione pronunciata dalla giustizia belga. Tanlay è attualmente consigliere per gli affari esteri del Primo ministro Erdogan. Vuole la mia pelle e dispone di tutti i mezzi tecnici e umani, oltre ai sostegni politici necessari per riuscirci.


Le DR - Sul piano politico nazionale, puoi parlarci del tuo impegno militante in Turchia e della situazione politica del paese? Che ne pensi della svolta laica e repubblicana di Ataturk? Pensi che Erdogan intenda liquidare quel che resta dell'eredità kemalista?


B.K. - Negli ultimi tre anni mi sono poco interessato delle lotte sociali in Turchia. Ho ovviamente sostenuto la lotta popolare che si è realizzata sulla vicenda del parco Gezi a Istanbul, manifestando o invitando in Belgio alcuni protagonisti del movimento. Quello che più mi ha preoccupato è il ruolo distruttivo del regime di Erdogan nel conflitto siriano.


Per quanto riguarda Ataturk, la giunta militare filo-NATO del generale Evren che assunse il potere il 12 settembre 1980 impose alla popolazione il ritratto del fondatore della Repubblica, valorizzandone solo il discorso ultranazionalista guerriero.
I putschisti si sono ben guardati dal diffondere le sue idee relativamente innovative, perfino progressiste per la sua epoca, come la laicità, la cittadinanza, l'anti-imperialismo, la sovranità economica e lo Stato sociale. Loro intento era in qualche modo di imporre Ataturk senza kemalismo, un Ataturk ingessato un po' a loro immagine.


Oggi il governo AKP persegue un programma reazionario di de-kemalizzazione centrato su due poli: l'islamizzazione dei costumi e l'ultra liberalismo. Al cuore del sistema Erdogan si trova il "capitale verde", un esercito di uomini d'affari venuti fuori dalle scuole coraniche ed ex predicatori convertiti in predatori economici. L'attacco frontale del regime di Erdogan contro i principi fondatori della Repubblica e contro le conquiste sociali dell'era kemalista ha provocato un sussulto patriottico perfino nei partiti della sinistra radicale.


Le DR - Nell'accanimento di Erdogan contro la tua persona, non credi che egli miri a impedirti di continuare la tua campagna di denuncia della criminale complicità del governo turco nella tragedia siriana?


B.K. - E' possibile che il mio arresto in Spagna rientri nella strategia di comunicazione di Ankara. Nel giugno 2013 Erdogan aveva tacciato il movimento popolare del parco Gezi a Istanbul di essere complice di un complotto ordito da terroristi all'estero. Il mio arresto a Cordoba, del più noto della fronda anti-Erdogan, è visibilmente servito ad alimentare la propaganda del Primo ministro turco.


Per contro, come dite voi, il mio arresto in Italia assomiglia di più a una rappresaglia  per il mio attivismo sulla Siria. Fin dall'inizio del conflitto siriano, non ho cessato di denunciare la complicità del regime di Erdogan coi tagliatori di teste della ribellione siriana.


Agli esordi di questa collaborazione, v'è stato l'accoglienza da parte del regime AKP dei mercenari libici feriti durante la lotta contro la Jamahiriya di Gheddafi. Fin dall'inizio, ho scoperto che questi feriti di guerra libici hanno costituito in seguito la punta di lancia del corpo di spedizione NATO in Siria.


Molto presto il governo AKP ha organizzato un ponte aereo e marittimo tra la Libia anti-Gheddafi e la Siria anti-Assad. La Turchia si è poi dotata di un esercito di mercenari siriani composto da ufficiali disertori dell'esercito baasista. In un terzo tempo, Ankara ha aperto le sue frontiere a tutti i candidati alla jihad in Siria: avventurieri apolitici, adolescenti manipolati, delinquenti desiderosi di riconoscimento, salafiti esaltati...


Io sono stato testimone di ciascuna di queste tappe.


Otto giorni prima del mio arresto in Italia, ho organizzato, con il Comitato contro l'ingerenza in Siria (CIS), una manifestazione davanti all'ambasciata di Turchia a Bruxelles per denunciare la collaborazione tra il regime di Ankara e Al Qaida, allo stesso tempo contro la Siria lealista e quella ribelle. L'azione ha avuto grande eco mediatica. Il regime non deve avere apprezzato.


Le DR - Si aveva l'impressione che le grandi manifestazioni del giugno dell'anno scorso contro Erdogan fossero state soprattutto ridotte al rango di rivendicazioni ecologiche e/o contro la corruzione del regime, e non tanto contro la sua attitudine guerriera e il suo appoggio alle forze oscurantiste che operano in Siria. Come lo spieghi?


B.K. - La resistenza per la difesa del parco Gezi a Istanbul è in qualche modo l'albero che nasconde la foresta. Nel parco Gezi, in piazza Taksim e in oltre settanta città, nessuno ha manifestato solo per salvare qualche albero. Anche gli ecologisti più accaniti hanno espresso, attraverso questo movimento, la loro esasperazione per il terrore poliziesco, la censura, l'arroganza bellicista del Primo Ministro, l'ipocrisia puritana delle élite islamiste corrotte, i licenziamenti, le privatizzazioni, l'impunità di cui beneficiano i torturatori, ecc...


Era infatti un movimento eteroclita che teneva insieme in modo abbastanza inedito l'estrema sinistra marxista e l'estrema destra nazionalista, i kemalisti e gli autonomisti curdi, gli ambienti liberali e i movimenti libertari, i mussulmani (sunniti) anticapitalisti e le associazioni alevite, i pacifisti e le femministe, i professori e gli studenti, gli operai e gli impiegati, gli artisti e gli artigiani, i tifosi di calcio e i sindacalisti intorno ad un obiettivo comune: le dimissioni di Erdogan.


L'opinione pubblica internazionale non ha avuto l'occasione di conoscere il movimento di Gezi Park nella sua diversità, perché i media si sono poco avventurati nei quartieri periferici delle città dove alcuni movimenti marxisti clandestini mobilitano decine di migliaia di abitanti intorno a slogan rivoluzionari.


Se la politica terrorista del governo AKP verso la Siria ha provocato l'ira della popolazione turca, ad Antiochia la fronda anti-governativa ha preso una piega apertamente filo-siriana. Le ragioni sono varie: Antiochia, città meridionale al confine con la Siria, è in prima linea nella guerra contro la Siria. La popolazione intrattiene relazioni (familiari, commerciali, comunitarie) fortissime con la Siria. Peraltro Antiochia e i suoi dintorni accolgono centinaia di migliaia di rifugiati siriani, tra i quali si sono infiltrati elementi jihadisti che attizzano le tensioni interconfessionali. In maggio 2013 Reyhanli, una città vicina ad Antiochia, è stata teatro dell'attentato più sanguinoso della storia della Turchia; attentato attribuito dalla popolazione ai ribelli siriani ma imputato dalle autorità turche agli alauiti della regione, poi all'estrema sinistra turca, poi ai servizi segreti siriani, e anche a tutti e tre insieme. Altro motivo di frustrazione: battaglioni interi di jihadisti giungono ogni giorno ad Antiochia per fare la guerra in Siria con il consenso del regime di Erdogan, al punto che la città, pacifica fino ad ora, è diventata una vera e propria base di retroguardia di Al Qaida. Dall'inizio delle manifestazioni per salvare parco Gezi, Antiochia ha manifestato soprattutto per denunciare la politica terrorista di Erdogan. La popolazione della città ha pagato un prezzo pesante: tre suoi giovani sono stati uccisi dalla polizia o dagli sbirri dell'AKP.


Le DR - E altrove, in Europa, come giudichi le posizioni delle forze politiche, particolarmente di sinistra, nei confronti della crisi siriana?


B.K. - Chiariamoci prima sul termine "sinistra". I partiti socialisti europei sono da molto tempo dei partiti elitari, liberali, atlantisti e sionisti.  I loro esponenti agiscono per conto di lobbie. Inoltre sono presenti all'interno dei più importanti organismi del dominio mondiale: FMI, Banca Mondiale, Gruppo di Bilderberg, OMC, NATO...
Dunque incoraggiare il crollo di regimi disobbedienti come quello di Damasco fa parte del loro lavoro.


L'altra sinistra, quella che ancora si dice alternativa, marxista e anticapitalista, non è molto diversa. E' la sorella minore  complessata che si accontenta di brontolare contro la rivale. Suo unico sogno, se ne ha, è di prendere il posto della sorella maggiore. Per questa sinistra, l'anti-imperialismo, vale a dire il rifiuto del sistema di dominazione imperialista, è un'eresia. Urla coi lupi contro ogni governo, ogni movimento politico e perfino contro ogni individuo che desideri emanciparsi ed esistere fuori dal sistema.


Vai a capire perché, in nome dei "diritti dell'uomo" e degli interessi della classe operaia internazionale, questa sinistra, è il caso ad esempio del NPA francese o dei Verdi in tonalità kaki, difende dei mercenari patrocinati dal Quai d'Orsay, dall'Arabia saudita e dalla CIA. In Francia ad esempio i soli siti che pubblicano delle analisi serie sull'imperialismo, l'esperienza degli Stati e dei movimenti non allineati, vengono criticati dalla "sinistra" anticapitalista. Così, per quanto ne so, nessun sito ospita i discorsi di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah libanese. Nonostante questi sia un ribelle sociale, un patriota, un internazionalista, il massimo comandante della
Resistenza contro Israele, un difensore della libertà di coscienza. Certo, si ispira all'imam Hussein piuttosto che a Che Guevara e porta un turbante nero al posto del berretto con la stella. Ma è comunque uno degli ultimi leader terzo-mondisti del nostro pianeta. In Francia bisogna visitare dei siti considerati di destra per trovare un discorso di Nasrallah. Mi dispiace doverlo dire: il patriottismo della destra francese mi sembra oggi più rispettoso del diritto internazionale del dirittoumanismo della sinistra.

In Belgio invece, con qualche rara eccezione, la sinistra marxista - tra cui il vostro giornale - è più libera, dunque più impermeabile alla propaganda di destra della sinistra francese.


Le DR - Che cosa della tua situazione personale? Conoscendo i pochi scrupoli del regime turco nei confronti degli oppositori, non temi per la tua sicurezza personale?


B.K. - Io aspetto da quasi due mesi la decisione della giustizia italiana a proposito della richiesta di estradizione turca.  Se Ankara perde questa quarta battaglia giudiziaria contro di me, ci si potrà attendere qualsiasi cosa. Non potendo mettermi a tacere per via legale, il regime potrebbe ricorrere alla sua arma segreta. Un anno fa, tre militanti curdi sono stati assassinati a Parigi. Oggi gli investigatori privilegiano la pista dell'assassinio politico. Sospettano che l'assassino, un certo Omer Guney, sia un agente dei servizi segreti turchi. In tutta evidenza la rete occulta di estrema destra Derin Devlet ("Stato profondo"), che Erdogan si vanta di avere combattuto attraverso l'operazione Ergenekon, non è mai stata smantellata. E' stata solo rimpiazzata da uno "Stato profondo" confezionato a misura. Di fronte a questa macchina io non godo di alcuna protezione dal momento che le polizie europee ne sono complici. Perfino il mio paese, il Belgio, ha tentato di consegnarmi ai miei torturatori.  Le mie sole difese sono l'amore, la resistenza e la solidarietà.