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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), ottobre 2017

 

L’Islam jihadista pakistano: radici storiche, correnti ideologiche e gruppi terroristi

Julie Descarpentrie

 

E’ stato nel 1747 che Ahmad Shah Durrani, un Pashtun nativo di Herat, creò il primo regno afghano sovrano, considerato come lo Stato fondatore dell’Afghanistan moderno. Re molto amato dai suoi sudditi, riuscì a stabilizzare le frontiere e fondò la prima entità politica pashtun, ponendo così termine a diversi secoli di dominazione straniera. Via via designato col nome di « Aryana », di « Khorasan », infine di « Afghanistan » dopo la fondazione dell’impero Durrani, questo paese dell’Asia centrale è stato sempre temuto dai suoi vicini. I Persiani chiamavano il paese « Yaghestan », che vuol dire « terra dei ribelli » o « regno dell’insolenza », con riferimento soprattutto alla natura insubordinata della popolazione pashtun.

 

 

Un gruppo di Pashtun

 

Popolo fiero i cui servizi possono essere noleggiati ma non acquistati, i Pashtun sono apprezzati per il loro coraggio – reputazione che viene loro dall’applicazione del codice d’onore chiamato pashtunwali e che, come la sharia e la nanawatai (1), funge da codice consuetudinario la cui legittimità viene collocata molto al di sopra delle leggi dello Stato. Abitando essi prevalentemente le zone tribali alla frontiera della Linea Durand (2), Kabul ha pochi mezzi per controllare queste popolazioni che, di conseguenza, non dispongono di alcuna infrastruttura e possono contare solo sui consigli tribali, i tribunali della sharia e i notabili (malik) corrotti per l’amministrazione e le funzioni giudiziarie. E’ in tale contesto che i Pashtun hanno sempre dimostrato una certa sfiducia verso il governo centrale. Non stupisce dunque che nel corso delle lotte insurrezionali e anticoloniali, molti di loro abbiano finito per unirsi agli insorti. Anche se, di volta in volta, è capitato che essi siano stati strumentalizzati dai servizi di informazione pakistani (ISI), dagli Arabi di Al Qaeda, dai Talebani e, più recentemente, da Daesh.

 

Un humus ideale per un processo di « talebanizzazione » dei Pashtun

 

Tracciata nel 1893 dai Britannici dopo un accordo col re Abdur Rahman che era ad essi asservito, la Linea Durand non è stata però mai riconosciuta dalle popolazioni pashtun che, da allora, si sono visti separati dai loro pari pakistanti che abitavano l’altro lato delle montagne dell’Hindu Khush e che vengono chiamati Pathan. Per quanto non si tratti di una vera e propria frontiera, ma piuttosto di un confine montagnoso che delimitava due imperi, il fatto che il Pakistan l’abbia ufficialmente riconosciuta nel 1947, in occasione dell’indipendenza e della scissione dall’India, contraddice la velleità degli Afghani di stabilire una unità territoriale fondata sull’appartenenza all’etnia pashtun, nell’ambito di un Pashtunistan (3) che ridurrebbe di fatto il territorio pakistano.

 

All’epoca del « Gran gioco » (4), l’istituzione di una simile delimitazione territoriale si spiegava con l’intento britannico di dotarsi di una riserva di violenza posta a ridosso del territorio afghano, che servisse a respingere il nemico russo nel caso si fosse avventurato nella zona cuscinetto che all’epoca proteggeva l’Impero britannico delle Indie. Di conseguenza le aree tribali (agenzie) dell’attuale Pakistan – come il Waziristan del Nord e del Sud, Bajaur, Orakzai, Kurram ecc. – sono state create con l’intento di utilizzarle come retrovie, lasciando gli abitanti in condizioni di vita arretrate. Ancora oggi, le Federally Administered Tribal Areas (FATA) nelle quali vivono i Pathan restano una zona di non diritto nella quale l’esercito da molto tempo non osa avventurarsi, abbandonando così questa regione del Nord Ovest del Pakistan alle sue logiche tribali. Di fatto, i Pashtun pakistani restano un popolo guerriero che rifiuta di sottomettersi all’autorità di Islamabad e vive in una delle zone più diseredate e meno bene integrate del Pakistan. Deve anche osservarsi che le FATA sono rimaste fuori da ogni forma di sviluppo economico, favorendo il diffondersi di assassini, banditismo, traffico di eroina, lotte interetniche e interconfessionali, ma anche del terrorismo. Per quanto siano il 3% della popolazione, rappresentano solo l’1,5% del PIL e il tasso di alfabetizzazione è solo del 17% contro il 44% della media nazionale. Considerati incontrollabili a cagione dei loro costumi violenti, i Pashtun sono tuttora sottoposti ad una legge liberticida che risale al 1901. Chiamata Frontier Crimes Regulations, destinata a reprimere queste popolazioni tribali insubordinate.

E’ così che le FATA – regione semi-autonoma posta sotto la diretta autorità del presidente del Pakistan ma di fatto governata da un funzionario chiamato Political Agent – sono sottoposte a disposizioni legislative, giuridiche ed esecutive che autorizzano questo stesso Political Agent a punire le tribù a sua discrezione e ad imprigionare chiunque voglia per non più di tre anni, senza risponderne a nessuno, nemmeno al Parlamento. Per questo, egli dispone di una propria milizia composta da Khassadar e di Frontier Corps, e opera sulla base dell’articolo 247 della Costituzione pakistana, secondo il quale nessun atto del Parlamento si applica alle  FATA, salvo l’autorizzazione del Presidente, al quale spetta in esclusiva il potere di emendare le leggi e promulgare ordinanze che abbiano ad oggetto le regioni tribali. Dunque il Parlamento pakistano non ha alcun potere sulla vita delle FATA, nonostante in esso siano presenti deputati eletti da quelle tribù.

 

Simili disposizioni antidemocratiche si spiegano col peso della storia e della tradizione britannica che aveva istituito la politica del « dividere per meglio controllare » fin dal 1893 con l’istituzione della Linea Durand, ma anche attraverso varie leggi. Specialmente la Frontier Crimes Regulation Law (1867), la Murderous Outrage Regulation (1877), il Ghazi Act (1877) e più particolarmente la Frontier Crimes Regulations (FCR, 1901) che si caratterizza per il fatto che nega I tre diritti fondamentali agli abitanti delle FATA ; vale a dire il diritto di proporre appello, di avere un avvocato e di fornire le prove della propria innocenza. Questa legge consente inoltre l’irrogazione di punizioni collettive in caso di crimini e attribuisce il potere al governo federale di sequestrare i beni e le terre degli accusati senza alcun controllo giurisdizionale.

 

La violenza che regna in queste zone tribali risponde anche in qualche modo all’interesse dello Stato pakistano, giacché queste zone marginali sono teatro di un gioco di potere tra Islamabad e Kabul ; i Pashtun essendo utilizzati come mercenari da una parte e dall’altra della frontiera. Da questo punto di vista, impedire ai servizi statali di ammodernare le FATA sembra inserirsi in una strategia di radicalizzazione della popolazione. Infatti, spinti dal bisogno di venir fuori dal loro confino territoriale e di lottare contro la povertà endemica, queste popolazioni finiscono con l’affidarsi ai gruppi islamisti per trovare qualche forma di giustizia. L’alleanza di circostanza tra i Pathan e i Talebani, lungi dall’assicurare qualche forma di stabilità nelle FATA, le ha rese una terra del jihad internazionale, col concorso dei Servizi di informazione pakistani che si sono adoperati per istituire una « diplomazia del disordine » per poter contare su queste zone come una piattaforma del crimine. In tal modo, Islamabad le ha utilizzate per finanziare alcune iniziative politiche. Per esempio il programma di ricerca nucleare, finanziato con il traffico di droga. Allo stesso modo, il controllo sui traffici di narcotici negli anni 1970 ha consentito di finanziare la guerra contro i Sovietici. E sono state sempre le zone pashtun che hanno avuto funzione di retroguardia per il traffico di armi durante la repressione lanciata dal governo di Islamabad contro l’Alleanza del Nord, favorendo così lo sviluppo delle madrase deobandi e wahhabite. (5)

 

L’emergere di correnti islamiste radicali

 

I Deobandi

Il deobandismo è una scuola di pensiero revivalista sorta dopo la rivolta dei Sepoy (6), come reazione alla colonizzazione britannica e all’importazione dei valori occidentali. Ufficialmente fondata nel 1867, questa accademia religiosa tradizionalista, favorevole ad una interpretazione letterale dei testi, si è trasformata in movimento politico per opera del partito Jamiat-i-Ulema-i-Islam (JUI), il maggiore partito politico indiano nel 1945, attraverso il quale gli ulema di ieri e di oggi operano per la radicalizzazione della popolazione. Alla pari dei membri della rete Haqqani che si sono formati in madrase di obbedienza deobandi, anche il mullah Omar, contadino povero di Kandahar, ha attinto ispirazione nel deobandismo – oltre che negli scritti di Shah Waliullah (7).

 

Contrari al riconoscimento delle frontiere disegnate dai Britannici, volendo istituire una Umma universale, i Deobandi hanno elevato il jihad al rango di un dovere sacro per difendere i mussulmani oppressi in tutto il mondo. Ma, scacciati dall’India nel 1947, sono stati costretti a rifugiarsi a Lahore, nella provincia del Punjab, dove si sono organizzati in diverse madrase e hanno esportato la loro intolleranza in Pakistan. Così è stato che, durante l’islamizzazione della società pakistana incoraggiata da Zulfiqar Ali Bhutto (1973) e Zia-ul-Haq (1977) nel contesto della lotta antisovietica e poi della Rivoluzione iraniana del 1979, proprio i Deobandi siano stati utilizzati a fini di mobilitazione nazionalista e religiosa (8). Da questa loro strumentalizzazione da parte del governo pakistano e anche dei paesi del Golfo preoccupati di contrastare l’influenza dello sciismo iraniano nella regione, deriva la « wahhabizzazione » dei Deobandi – i legami ideologici col wahhabismo valsero loro importanti finanziamenti provenienti dal Golfo. E ancora oggi, il 65% delle madrase pakistane di obbedienza deobandi sono ancora le incubatrici di un islam influenzato dagli scritti di Ibn Taymiyya (9) e di Abd-el-Wahhab, e restano una fonte importante di ispirazione per i Talebani afghani, oltre che per i membri del Tablighi-Jamaat (10).

 

Gli Haqqani

Per quanto il jihad della rete Haqqani sia in realtà venuto alla luce solo nel 1973, quando divenne presidente Ali Bhutto, fu nella lotta anti britannica degli anni 1930 che si plasmarono i suoi primi membri, formati in madrase deobandi che all’epoca erano dirette da preti sufi (pir) che volevano organizzare la lotta contro il colonizzatore. Soprattutto presenti nel Nord Waziristan, si distinguono dai Talebani, la cui pratica dell’islam considerano troppo rigorista. Tuttavia il loro intento di non limitarsi al solo territorio afghano e di lanciare un jihad globale modellato sull’esempio di Al Qaeda per difendere i mussulmani oppressi – sia in Kashmir, che in Israele o in Russia – ha avuto un certo successo tra i Talebani, ma anche in Al Qaeda, che hanno entrambi finito col collaborare con loro.

 

Composta da elementi « wahhabizzati », punta di lancia del jihad internazionale – come Bil Laden e Abdullah Azzam (11) – i membri della rete Haqqani sono da sempre circondati da una certa aurea e il fascino del suo fondatore, Jalaluddin Haqqani (12), fu tale da riuscire a convincere sia gli Stati Uniti, che gli Emirati arabi uniti, l’Arabia saudita e l’Iran a finanziarlo. Avendo operato come collegamento tra i primi combattenti arabi e i mujaheddin afghani finanziati dall’ISI, la CIA e i Servizi di informazione sauditi, gli Haqqani si sono distinti per il loro accanimento nella lotta che hanno sempre combattuto contro i nemici dell’islam, per instaurare uno Stato islamico afghano.

 

Gruppo che può vantare il maggior numero di attentati in Afghanistan negli anni 2000, Haqqani resta alleato dei Servizi pakistani (ISI), ed è per questo che non appoggia gli attacchi dei Talebani pakistani del Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP13) contro Islamabad ; la sua azione si rivolge principalmente contro il governo afghano, che ha sempre combattuto per imporre la sua agenda. Inoltre la sua rete si è dimostrata utilissima agli ufficiali dei Servizi di Informazione pakistani che, bisognosi di una profondità strategica in Afghanistan per combattere il nemico indiano, hanno mandato molti mujaheddin a formarsi nei campi Haqqani, col proposito di esportare il loro jihad nel Kashmir indiano. Ancora oggi questa rete costituisce un canale indispensabile per il Pakistan, perché consente al governo di avere contatti diretti coi Talebani per negoziare con loro tregue. Tanta connivenza spiega come mai l’ISI avverta i membri della rete Haqqani prima di ogni attacco coi droni, e perché il generale Musharraf abbia atteso il 2014 per decidersi a lanciare delle offensive nel Nord Waziristan, bastione degli Haqqani. Conviene però chiarire che queste offensive erano soprattutto contro il TTP e non contro gli Haqqani.

 

Di concerto con la CIA e i Servizi di Informazione sauditi, l’ISI ha strumentalizzato gli elementi islamisti afghani come Abdul Sayyaf e il famoso Gulbuddin Hekmatyar, un Pashtun afghano superviolento senza legami tribali e in lotta contro l’Alleanza del Nord guidata da Massud, che all’epoca era sostenuto da Mosca e da Teheran. Siccome il Pakistan strumentalizzava  questi fanatici per combattere contro i Sovietici, essi gli servirono come cavallo di Troia nell’ambito della sua politica afghana, i cui punti principali sono:

 

– impedire la costituzione di un governo che non sia gradito al Pakistan ;

– combattere l’Alleanza del Nord e i nazionalisti pashtun, ed evitare la nascita di un Pashtunistan ;

– e infine assicurarsi una profondità strategica nel paese, per poter contrastare sia la presenza indiana, che gli esponenti politici afghani amici dell’India.

 

Da queste molteplici esigenze nacque l’interesse dell’ISI verso il partito Hezb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar, e poi la rete Haqqani, considerati gli unici in grado di riprendere Kabul all’Alleanza del Nord. Tuttavia, di fronte alle disfatte inflitte a questi da Massud, l’ISI decise di scegliere i Talebani ai quali i Servizi di Informazione pakistani presentarono Bin Laden.

 

I Talebani

Anch’esso nato nelle madrase deobandi nel 1994, il movimento talebano si è erto a difensore dell’unità afghana dopo che Gulbuddin Hekmatyar ebbe distrutto Kabul e lasciato il paese in rovina. Sostenuti da ex soldati del partito Khalq – di ex marxisti convertiti all’islam radicale -, I Talebani hanno ottenuto anche un sorprendente appoggio, quello di Benazir Bhutto che accettò di operare un avvicinamento tra il suo partito, il PPP, e il JUI-F del mullah Fazlur Rahman nel quale militavano allora molti « studenti di teologia ». La dirigente pakistana trovava in questa nuova riserva di violenza un interesse strategico. In un primo tempo, lei e suo marito, Asif Ali Zardari, li utilizzarono come mercenari perché garantissero la sicurezza dei convogli della loro impresa familiare di cotone proveniente dal Turkmenistan. Un simile modo di procedere non poteva non favorire l’emergere e la legittimazione di questi Talebani. Indottrinati nelle scuole coraniche (madrasa) e pesantemente armati dall’ISI, diventarono gli « amici » di Islamabad e assicurarono numerosi servizi al Pakistan in Afghanistan (14).  Anche i Talebani vi ebbero il loro tornaconto giacché, oltre a ottenere il controllo dei due terzi del paese, riuscirono però a estendere a tutto il territorio afghano il dominio dei Pashtun – patria dei Talebani – nei confronti delle altre etnie afgane.

 

Anche gli Stati Uniti hanno finanziato i Talebani, volendo contrastare lo sviluppo di una possibile alleanza tra la Russia e la Cina, all’esito della quale i due alleati avrebbero potuto fare dell’Asia centrale il loro giardino privato. Inoltre è accaduto che, nell’ambito del progetto TAPI (15), i paesi del Gruppo di Shanghai – oggi Organizzazione di cooperazione di Shanghai (OCS) – abbiano progettato di sfruttare il gas turkmeno e di costruire un gasdotto che attraversasse l’Afghanistan, in collaborazione con il Tagikistan, l’Afghanistan, il Pakistan e l’India. Per ostacolare una simile alleanza, gli Statunitensi misero dunque in atto un progetto concorrente che sfociò nella creazione di un consorzio raggruppante il gruppo statunitense UNOCAL e la compagnia saudita Saudi Oil Company Delta. E’ in questo contesto che gli Stati Uniti fornirono aiuti finanziari ai Talebani fino al 1997, perché vedevano in questa milizia religiosa un alleato che avrebbe loro permesso di ottenere i diritti di passaggio e i contratti relativi a questo importante gasdotto che avrebbe collegato l’Asia centrale al Pakistan, passando sul territorio afghano. A questo proposito, la  lobbista statunitense, Robin Lynn Raphel – inviata speciale per gli affari « AfPak », in collaborazione con Richard Holbrooke, in seguito emissario del generale Musharraf – giocò un ruolo importante nel tentativo di legittimazione del regime talebano presso il comandante Massud. Tuttavia, gli attentati contro le ambasciate USA del Kenya e della Tanzania dell’agosto 1998, realizzati dagli uomini di Osama bin Laden – protetti dal mullah Omar – indussero Washington a prendere le distanze da Talebani.

 

I « cattivi » e I « buoni » terroristi

 

A differenza delle forze occidentali che parlano dei Talebani come un blocco unico, I Pakistani fanno una distinzione tra I buoni e cattivi Talebani, come anche tra i buoni e i cattivi terroristi.

 

Dato che l’ISI ha sempre strumentalizzato I Talebani afghani cercando di renderli loro « amici », l’establishment militare pakistano si preoccupa di non mettere sullo stesso piano Talebani e insorgenti pakistani. I gruppi terroristi considerati « nemici » dal governo di Islamabad sono dunque quelli che prendono di mira le forze dell’ordine del paese, soprattutto dopo che il governo Musharraf si è lanciato in una lotta antiterrorista di grande ampiezza su ingiunzione degli Stati Uniti. Il risultato di questa iniziativa è che, dopo le incursioni dei militari pakistani nei bastioni talebani del Sud Waziristan nel 2007, essi sono regolarmente presi di mira dai gruppi terroristi, come testimonia l’attentato perpetrato dal TTP nel 2014 contro la scuola militare di Peshawar. A ciò si aggiunga che, dopo la morte del loro leader, il mullah Hakimullah Mehsud, in un attacco di droni, i Talebani pakistani si sono scissi in due gruppi: uno – il TTP – che riconosce l’autorità del nuovo capo dei Talebani, il mullah  Fazlullah ; l’altro  – il Jamat-Ul-Ahrar – che ha deciso di allearsi con Daesh e di nominare suo capo Omar Khalid Khorasani. Gli obiettivi del gruppo Jamaat-ul-Ahrar sono più o meno gli stessi di quelli del Tehrik-e-Taliban Pakistan, cioé : rovesciare il governo pakistano, fondare uno Stato islamico ; riprendere il controllo dell’arma nucleare e proseguire il jihad a livello mondiale, ciò che ne fa un’autentica minaccia.

 

Al contrario, per Islamabad, i « buoni terroristi » sono i Talebani afghani e anche quelli che si sono dati per missione di lottare contro gli sciiti – tramite il Lashkar-e-Jhangvi (LJ), creato nel 1994 (16) – o di scacciare il nemico indiano dal Jammu-e-Kashmir (17). La repressione degli sciiti risale, quanto ad essa, agli anni 1980. Volendo utilizzare i militanti sunniti per contrastare la mobilitazione sciita e contenere l’influenza iraniana in Pakistan, il presidente Zia-ul-Haq sostenne la creazione nel 1985, del Sipah-e-Sahaba Pakistan (SSP, Esercito dei compagni del Profeta) che, in collaborazione con il LJ, è responsabile di molti attacchi anti sciiti. In proposito, la presenza di numerosi islamisti sunniti all’interno del Consiglio di difesa pakistano dimostra l’ambiguità dello Stato giacché questo consiglio, chiamato Difa-e-Pakistan Council, è un organo ufficiale conservatore che raggruppa una quarantina di partiti politici e religiosi interessati a contrastare le missioni delle forze occidentali in Afghanistan, di attaccare l’India  e di incoraggiare le azioni violente contro la minoranza sciita del paese.

 

Conclusioni

 

In tema di lotta contro il terrorismo, risulta che, a causa del doppio gioco dei Servizi di Informazione pakistani e del comportamento eccessivamente repressivo dell’esercito nei bastioni terroristi dopo il 2014, solo un adeguato rafforzamento dei poteri delle polizie provinciali permetterebbe di far fronte alle attuali minacce terroriste, perché esse sarebbero le più adatte a raccogliere informazioni sul campo, ascoltare le rivendicazioni delle popolazioni, sorvegliare le madrase e fare applicare la legge.

 

Tuttavia questo approccio di politica di sicurezza è ancora assai poco sviluppato in Pakistan, paese nel quale l’instabilità politica, i colpi di Stato, le logiche clientelari e la lenta autonomia della Corte Suprema hanno da tempo favorito un ciclo di violenza. Inoltre il Piano di azione nazionale lanciato dal Primo Ministro Nawaz Sharif nel gennaio 2015, per chiudere le madrase finanziate dal Golfo e punire ogni atto terrorista contro le minoranze religiose del paese, si è rivelato inefficace a causa della mancanza di coordinamento tra l’esercito, le forze dell’ordine e i Servizi di informazione del paese. Esso ha anche prodotto una serie di irrigidimenti e dato il via ad una frenesia securitaria, che ha indotto le autorità ripristinare la pena di morte, estendere le impiccagioni previste per gli atti di terrorismo a tutte le altre forme di crimine, e il Parlamento emendare la Costituzione autorizzando i tribunali militari a processare civili per terrorismo. Di conseguenza vi sono state molte impiccagioni senza che sia certo se si trattasse realmente di terrorismo e senza nemmeno che si conoscano i capi di imputazione. Per porre rimedio a questa situazione, è stata istituita una nuova Commissione nazionale dei Diritti dell’uomo, col compito di promuovere e proteggere I diritti degli accusati, ma non le è stato riconosciuto il potere di svolgere indagini sulle accuse di violazione dei diritti imputabili ai Servizi di informazione.

 

Qualche novità si è tuttavia vista grazie al Piano di azione nazionale, giacché, secondo il ministero dell’interno, sono state sciolte quasi 180 organizzazioni religiose nel 2015, mentre circa 10 000 persone sono state arrestate per incitamento all’odio intercomunitario [18 . Rapporto annuale 2015-2016 di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani in Pakistan. URL : https://www.amnesty.org/fr/countries/asia-and-the-pacific/pakistan/report-pakistan/]. A questo si aggiungono i progressi avviati dalla riforma costituzionale del  2010, conosciuta come 18° emendamento, che ha ampliato i poteri civili e anche delle province, e cambiato la procedura di nomina dei giudici della Corte suprema che devono adesso essere approvate da un comitato parlamentare. Nonostante questi progressi, però, le minoranze, ma anche le forze dell’ordine e i giudici, sono bersaglio dei Talebani del TTP e del Jamat-ul-Ahrar di Omar Khalid Khorasani, che reclamano la stretta applicazione della sharia e la creazione del califfato. Deve notarsi infine che una delle maggiori difficoltà del paese è la diffusione generalizzata della corruzione che interessa tutti i servizi dello Stato; secondo un sondaggio realizzato nel 2013 da Transparency International, i Pakistani considerano la polizia come il corpo più interessato dal fenomeno endemico della corruzione.

 

Note:

 

1. reoccupati di difendere la loro etnia, i Pashtun hanno sviluppato un codice d’onore capace di garantire in perpetuo la loro identità mercé norme  consuetudinarie e orali vecchie di duemila anni, che stabiliscono le regole di vita da rispettare, ciò che ne fa una sorta di norme giuridiche che i Pashtun sono disposti a difendere fino alla morte. Per esempio, secondo il pashtunwali, l’audacia e il coraggio sono elevati al rango di valori simili a quelli della legge del taglione, e questo spiega come mai i Pashtun abbiano sempre rifiutato di essere unificati in una sola nazione o di sottomettersi a chiunque. E’ un popolo fiero che rispetta la sharia e le regole dell’onore, della vendetta, del coraggio e dell’indipendenza, ma anche della famiglia, dell’ospitalità e dell’asilo. La relazione tra i Talebani e Al Qaeda si spiega in parte con la melmestia e il nanawatai, codici del pashtunwali che impongono di offrire asilo a chiunque chieda aiuto.

 

2. Questa linea è l’attuale frontiera col Pakistan. Chiamata Linea Durand », con riferimento al britannico Sir Henry Mortimer Durand che la tracciò nel 1893 per isolare le tribù baluce dalle tribù pashtun. Essa corre lungo 2 640 chilometri seguendo, grosso modo, la linea delle creste montagnose che attraversa.

 

 

3. L’idea di riunire i Pashtun afghani e pakistani in un unico Pashtunistan è stata parte della retorica del presidente Daud, che ne aveva fatto la sua priorità numero uno. Quello che non sapeva era di essere strumentalizzato dai Sovietici, che vedevano in questo progetto il modo di destabilizzare l’Afghanistan.

 

4. Il Gran Gioco rinvia alla rivalità coloniale tra la Russia e il Regno Unito in Asia nel XIX° secolo, che ha condotto, tra l’altro, alla creazione dell’attuale Afghanistan, col Corridoio del Wakhan, come Stato cuscinetto.

 

 

5.  Laurent Gayer, « Le Pakistan : un Etat en formation dans un contexte de turbulences internes et externes », Annuaire Français de Relations Internationales, Vol. 5, 2004, pp. 395-416.

 

6.  La rivolta dei Sepoy è stata una sollevazione popolare che ha avuto luogo in India nel 1857 contro la Compagnia inglese delle Indie orientali. Viene anche chiamata Prima guerra di indipendenza indiana o Ribellione indiana del 1857.

 

 

7.  Figura di prima importanza del XVIII secolo, questo teologo può essere considerato come uno dei primi islamisti sud asiatici. Nonostante fosse sufi, si è anche ispirato alle tesi takfire di Abd-el-Wahhab  per combattere contemporaneamente contro il sincretismo religioso e tollerante dell’imperatore mongolo Akbar, le innovazioni dell’islam e gli invasori britannici.

 

8.  Occorre dire che nel 1979, anno dell’invasione sovietica, i Pashtun e i Pathan erano molto presenti nei ranghi della burocrazia locale e dell’esercito, ma l’islamizzazione di queste due istituzioni da parte di Zia-ul-Haq, come anche l’eliminazione dei malik corrotti da parte dei Talebani, diede luogo all’emergere di un nazionalismo pashtun legato all’islam, allora diventato un riferimento identitario violento.

 

 

9.   Ibn Taymiyya (nato nel 1263 a Harran nell’attuale Turchia, morto nel 1328 a Damasco, in Siria) è un teologo e giureconsulto mussulmano tradizionalista, influente in seno al madhhab hanbalita. Caratterizzandosi per il ripudio di tutto ciò che considerava come una innovazione nella pratica religiosa, critico nei confronti sia di Al-Ghazâlî che di Ibn Arabî  e di tutti gli altri filosofi, il suo radicalismo lo ha portato ripetutamente in carcere, da parte delle autorità mammalucche della sua epoca e morì in prigione.

 

10.   Questa associazione apolitica e revivalista che significa « Associazione per la predicazione » è apparsa nel 1927, a Mewat, in India. Essa aveva – ed ha ancora - per obiettivo la re-islamizzazione dei mussulmani di tutto il mondo, attraverso una ampia rete di missionari che, compiendo missioni umanitarie, favoriscono indirettamente la radicalizzazione dei giovani mussulmani poveri o devianti. Molto presenti in Europa, le associazioni del Tabligh sono accusate di ricevere finanziamenti dall’Arabia Saudita e dal Pakistan. Secondo uno studio realizzato dalla DST nel 2003, l’80% delle reclute europee salafite sarebbero passate per il Tabligh.

 

 

11.    Abdullah Azzam è u religioso palestinese, descritto come l’« imam del jihad » in seno al movimento jihadista a causa del ruolo di primo piano giocato nello sviluppo del « Movimento del jihad mondiale » sorto dalla guerra d’Afghanistan.

 

12.    Jalaluddin Haqqani è nato a Paktia nel nord. Studia a Darul Uloom Haqqania nella North West Frontier Province (NWFP), un seminario deobandi istituito nel 1947 vicino a Peshawar. Si tratta di una madrasa affiliata al JUI, un partito politico deobandi che è riuscito a federare molti Pashtun provenienti dalle zone tribali autonomiste povere, come il Waziristan, influenzato soprattutto dagli scritti di Sayyed Qutb, introdotti in Afghanistan da Yunus Khalis per lottare contro l’influenza marxista dei Sovietici e preservare la cultura islamica tradizionale. E’ solo nel 1973, quando Daud prende il potere e promette di istituire il Pashtunistan, che gli abitanti della NWFP si avvicinano a lui, lasciando il PPP, il partito di Ali Bhutto.

 

 

13.     Fondato nel dicembre 2007, il Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP) ha giurato fedeltà ad Al Qaeda ed è costituito da una quarantina di fazioni situate nel nord ovest del Pakistan il cui obiettivo è il rovesciamento del governo pakistano e la costituzione di un emirato.

 

14.     Si trattava essenzialmente di combattere contro l’Alleanza del Nord di Massud, considerato troppo vicino all’india e all’Iran, di estendere la propria influenza politica e militare fino alle porte delle ex Repubbliche sovietiche e del Nord dell’Iran, di attribuire seggi ai Talebani nell’assemblea provinciale del Belucistan, perché domassero i secessionisti beluci e, infine di esportare il jihad in Kashmir.

 

15.    Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India Pipeline. Si tratta di un progetto che risale agli anni 1990 ma la cui costruzione, avviata nel 2015 dovrebbe concludersi nel 2019. Permetterà di trasportare il gas naturale del Turkmenistan, attraverso l’Afghanistan, verso il Pakistan e l’India.

 

 

16.     Il Lashkar-e-Jhangvi ha molti contatti coi Talebani, Al Qaeda, il Movimento islamico dell’Uzbekistan ecc.

 

17.    Questa strategia tende per esempio a legittimare le azioni del gruppo terrorista Jaish-e-Mohammad o di Muhammad Saeed, testa pensante del Lashkar-e-Taiba sospettato di aver commesso molti attentati in India, tra cui quello del 2008 contro l’hotel Taj Mahal di Mumbai.