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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), aprile 2018 (trad.ossin)
 
Il Profeta e i Briganti
Abderrahmane Mekkaoui
 
Questa analisi mira a mettere in luce i legami organici tra l'islamismo violento e la filosofia dei banditi che terrorizzavano l'Arabia prima dell'avvento dell'Islam. In effetti, gruppi di banditi anarchici e nichilisti furono trasformati dal profeta Maometto in un formidabile esercito che avrebbe sottomesso e islamizzato con la forza tutte le tribù della penisola arabica, prima di volgere la propria attenzione verso altri orizzonti più redditizi e attraenti in Medio Oriente e nel Maghreb. Questi ribelli, noti come Al-Saaliks, giocarono un ruolo decisivo nella diffusione dell'Islam attraverso l'occasionale interazione tra la loro dottrina della ribellione e la profezia di Maometto.
 
Il profeta Maometto alla "Battaglia di Badr", in periodo medinese 

Ne troviamo tracce evidenti in diverse sure “medinesi” del Corano. Prima della loro adesione all'Islam, le poesie di questi briganti esprimevano superiorità, orgoglio, coraggio e lotta contro i ricchi. In seguito, vi si sono aggiunti i temi della superiorità dei musulmani rispetto agli altri uomini, della fedeltà e del disconoscimento.
 
I Briganti in Arabia al tempo della "ignoranza" (Jahilyya) e la loro filosofia
 
Questi briganti erano arabi vissuti prima dell'Islam, intorno al 520, che agivano in tutta la penisola arabica. Appartenevano a diverse tribù, ma ne rinnegarono l’autorità non riconoscendo i propri doveri verso di loro: lo spirito di corpo tribale, chiamato Assayya, fu da essi trasceso e sostituito con uno spirito di ribellione che negava le gerarchie tribali, e si opponeva alle ingiustizie e ai confini. La maggior parte dei ribelli di questo movimento nichilista erano poveri e poeti, e le loro poesie esprimevano la violenza della loro dottrina, che fu recuperata dal profeta Maometto.
 
Fu a causa del loro rifiuto di rientrare nei ranghi che le loro tribù li respinsero e li privarono di ogni protezione nei confronti degli altri clan. A quel tempo, i rapporti tra le tribù erano governati da leggi consuetudinarie che stabilivano lo scambio di questi ribelli e / o la loro eliminazione fisica. Il suk Okad, che era un incontro annuale e uno scambio tra le tribù dell'Arabia, divenne un'opportunità per denunciare i misfatti di questi ribelli e il disordine che propagavano in tutto questo territorio desertico, arido e aspro.
 
A causa del fatto che erano stati banditi dalle tribù e della loro povertà, i briganti si rifugiarono nelle montagne e nelle caverne, in luoghi molto remoti e inospitali. Si riunirono in gruppi o tribù che avevano il loro proprio codice fondato su razzie, rapimenti e bottini, condivisi coi poveri e i miserabili, in violazione di tutti i trattati e i patti firmati tra le tribù. Era un atteggiamento rivoluzionario grazie al quale i Sa'lik combattevano la miseria e la repressione. Si deve notare che il fatto di averli banditi non impediva a certe tribù, anche a La Mecca, di ingaggiarli contro i propri nemici.
 
I briganti erano divisi in tre categorie:
 
- Il primo gruppo era composto da fuorilegge proscritti, banditi dalle loro tribù di origine a causa dei loro atti ritenuti incompatibili con le abitudini tribali (furto, assassinio dei capi, non rispetto dei trattati e delle alleanze e sottrazione agli obblighi di protezione della tribù). A questa categoria appartenevano di solito figli proscritti della nobiltà tribale;
 
- la seconda categoria comprendeva figli schiave etiopi di Abissinia i cui padri non ne avevano riconosciuto la legittimità e rifiutavano di integrarli nella discendenza delle famiglie fondatrici della tribù;
 
- Il terzo gruppo era costituito da ribelli che avevano scelto il brigantaggio e i sequestri come professione e stile di vita, che si consideravano cavalieri e coraggiosi a causa delle loro imprese e azioni benefiche a favore dei poveri.
 
Alla fine del VI secolo, la penisola arabica ha assistito quindi alla comparsa di piccole tribù le cui principali attività erano i sequestri e il furto, come la tribù Touhama (che controllava le vie carovaniere tra lo Yemen e la Siria) , la tribù Ghifara (vicina alla Mecca, cui spesso ricorsero i ricchi mercanti di questa città) e la tribù Houdaïl (che controllava un territorio desertico situato tra l'attuale città di Taef e il Mar Rosso). Erano conosciute per la rapidità delle loro razzie e la diligenza con cui decapitavano i loro nemici e coloro che non condividevano la loro dottrina. Le loro incursioni, dalle montagne verso le terre fertili, e i loro attacchi alle carovane di mercanti e ai pellegrini diretti a La Mecca divennero assai frequenti.
 
La violenza di questi gruppi si esprimeva nei loro poemi rivoluzionari [1] costellati da invettive contro povertà, fame e isolamento. I loro discorsi poetici erano caratterizzati da fierezza, da volontà di supremazia e dal sentimento di dignità della vita. La loro filosofia rivoluzionaria predicava l'odio contro i ricchi, gli avari e il rifiuto di una vita confortevole, e idealizzava, a loro immagine, un'esistenza guidata dal coraggio, dalla pazienza e dalla forza. Il loro motto era: "Rubare con la mano destra per dare con la mano sinistra alle famiglie e ai bisognosi".
 
Questa matrice filosofica venne ripresa dal profeta Maometto nelle sure “medinesi”, soprattutto nella Sura 8 chiamata Al-Anfal ( "Il Bottino"), nella Sura 9 Al-Touba ("Pentimento" e nel versetto al-Seif , "la Spada" nella stessa sura "Pentimento"), nella sura 58, al-Moujadala, (la "Polemica"), nella sura 60 al-Moumtahina, nella Sura 47, Mohamed, ecc. Tutte queste sure, quindi, riflettono le idee e gli orientamenti dei Saaliks, vale a dire i briganti. Abrogano le sure di La Mecca e insistono sulla supremazia della forza sul dialogo e sul convincimento.
 
Come può essere avvenuta questa metamorfosi, come mai si è passati dalle sure di La Mecca che predicano l'amore e la giustizia ai versetti “medinesi” rancorosi ed escludenti?
 
L'incontro tra il Profeta e i briganti: profezia contro bottini e sequestri, strategia del do ut des
 
L'analisi di tutte le sure di La Mecca del Corano, considerate come pacifiste, predicatrici di tolleranza e amore tra tutte le persone che vivono a La Mecca, città aperta e accogliente, permette di evidenziare l'assenza della cultura del brigantaggio e del sequestro.
 
Tuttavia, durante il suo soggiorno alla Mecca, il profeta Maometto non riuscì a convincere tutti, in particolar modo i briganti rifugiatisi in quella città sacra. Solo un centinaio di poveri e bambini ritennero fosse meglio credergli. Investì il suo patrimonio, ereditato dalla ricchissima moglie - giudeo-nazarena - Khadija, nell’affrancamento e nella liberazione di diversi schiavi. Anche la ricchezza del suo compagno Abu Bakr - intimo amico del profeta e commerciante di professione - venne investito in questo progetto profetico. Eppure i rapporti tra il profeta Maometto e le principali tribù d'Arabia erano caratterizzati da un rifiuto della sua profezia. 
 
La sua intesa con l'imperatore cristiano di Abissinia, al quale aveva fatto una proposta di alleanza, venne considerata come la goccia che fa traboccare il vaso e provocò un conflitto a La Mecca tra i seguaci del Profeta e i suoi avversari. Questa situazione di tensione affrettò la fuga del Profeta e dei suoi compagni a Yathrib [2] città ebraica situata al centro del territorio di due tribù - Al-Aouss e Al Khazrajs - note per la loro gelosia e l'odio nei confronti ebrei residenti in questa città.
 
Il Profeta venne accolto con favore da queste tribù, conosciute per la loro barbarie, il loro odio nei confronti dei loro vicini ebrei. Strinse quindi un patto fraterno con queste tribù, chiamato "Il patto di sangue" (Al-Akaba), che stabiliva il riconoscimento dei Sa'lik e della loro filosofia. Attraverso questo patto, il Profeta Maometto riconobbe e legittimò tutte le pratiche di questi briganti in cambio del loro impegno a riconoscere la sua profezia e il suo primato come leader politico e signore della guerra.
 
L’adesione alla sua causa di quasi 1.500 ribelli permise al Profeta di condurre in porto una quarantina di raid vittoriosi, che realizzarono l'islamizzazione delle tribù con la forza e la costrizione. Nell’occasione, il profeta Maometto ottenne un quinto del bottino, la sua parte di donne e schiavi, mentre la fanteria dei briganti ne percepì un decimo e i cavalieri due decimi.
 
Fu questo incontro della spada con l’ideologia a portare alla creazione di un esercito omogeneo, forte, coraggioso e ricco, i cui elementi basilari erano la fedeltà ad Allah e a Maometto, e la sconfessione di tutti coloro che non credevano nel Messaggero di Allah.
 
Dunque, fin dai primi anni dell'Islam, si realizzò un'alleanza storica tra due ideologie: una pacifica e tollerante (il Corano del periodo di La Mecca); l'altra ribelle e nichilista (i saalik).
 
Alla luce di quest’analisi, emerge con chiarezza un parallelismo, di forma e di sostanza, tra i capitoli “medinesi” del Corano (che seguirono la fuga del Profeta da La Mecca), in numero di ventidue, e le poesie dei Saalik.
 
Il Corano del periodo di La Mecca si compone di ottantasei sure, tutte pacifiste e universaliste, considerate come una continuità con la dottrina di Cristo, mentre il Corano “medinese” è bellicoso e guerriero, inneggiante all’odio e alla barbarie e riflette l’atteggiamento socioculturale delle tribù arabe ribelli.
 
Purtroppo siamo costretti a notare che è la cultura della violenza, che incarna la  guerra eterna e generale contro l'Altro, fondata su questa economia di guerra, che ha preso il sopravvento e viene riattualizzata nei tempi presenti da Organizzazioni terroristiche islamiste che, instancabilmente, cercano di reiterare questi "tempi idilliaci dell'Islam". Sono questi capitoli del Corano “medinese” ad essere applicati alla lettera da jihadisti e takfir, come Al Qaeda, Daesh e Boko Haram.
 
Per memoria, ricordiamo il libro di Mohamed Mahmoud Taha (Il secondo messaggio dell'Islam), nel quale si consigliava agli studiosi musulmani di abbandonare le sure “medinesi”, incompatibili con il contesto attuale, e tornare ai capitoli fondamentali del Corano. Questa posizione saggia di un sufi musulmano gli è valsa l’impiccagione  nel 1986, all'età di ottantasei anni, per ordine dei salafiti dell’Università di Al-Azhar, dei Fratelli Musulmani e dei wahhabiti, che avevano quindi paura di perdere il loro potere spirituale e la sottomissione della società.
 
Sfortunatamente, la maggioranza dei musulmani continua a vedere il futuro attraverso le caverne del passato progettate dai saccheggiatori dell'Arabia. Attraverso l'analisi delle origini del linguaggio della violenza nel Corano di Medina, siamo convinti di aprire un percorso ancora inesplorato e di proporre un nuovo campo di studio per i ricercatori, concentrato sulla comprensione della radicalità e del terrorismo islamista.
 
Noi crediamo che sia possibile una modifica dei meccanismi di trasmissione del testo sacro, eliminando in modo intelligente le sure ispirate al jihad e all’odio dai programmi scolastici e dai sermoni religiosi. È un'azione a lungo termine che dobbiamo alle generazioni future, in modo che non siano più inquinate dalle dottrine della barbarie e dell'estremismo. Tale riforma dovrebbe interrompere la stampa e la diffusione del Corano nella sua versione attuale e deve essere imposta a tutti i paesi da parte dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, tutti vittime della barbarie islamica.
 
 
Riferimenti bibliografici
 
- Sami Aldeeb ,, Il Corano, testo arabo e traduzione in ordine cronologico con riferimento alle varianti, le abrogazioni e scritture ebraiche e cristiane, CreateSpace Publishing Platform Independent, Large Print Edition, 2016 (Sami Aldeeb blog: http: // www.blog.sami-aldeeb.com/mes-livres/ & Amazon: https://www.amazon.fr/Coran-traduction-francaise-chronologique-abrogations/dp/1533072450).
 
- Dr. Jawad Ali, Storia degli arabi prima dell'islam (in arabo), Cairo, University Press Cairotes, 1968.
 
- Sayyed Al-Qimni: The Hashemite Party (in arabo).
 
- Jan Assmann, Monotheism e The Language of Violence, Bayard, 2018.
 
- Chouki Daïf: La poesia dell'ignoranza.
 
- Anne Nivat, gli islamisti come ci vedono, Fayard, 2006.
 
- Sayyid Qutb: Le pietre miliari sulla strada all'Islam (1 ° edizione 1964), Parigi, Cartagine stampa, il 1968 e Ar-Risala Publishing, 1977.
 
- Hmami Rachid Daesh e Islam (https://www.amazon.fr/Daech-LIslam-LAnalyse-dUn-Ex-Musulman/dp/1935577735).
 
- Mahmud Muhammad Taha: Il secondo messaggio dell'Islam (https://www.amazon.fr/Second-Message-Islam-Mahmoud-Mohamed/dp/081562705X).
 
 
Note:
 
[1] I principali poeti Saàliks sono: Chadad Al-Dhabi, Abu Al-Kharach Houdli, Oulwa bin Al-Ward, Ben Al-Salik Salkta, Tabata Haran Al-Shanfara Al-Azadi, etc.
 
[2] Nome ebraico di Medina prima dell'islamizzazione.